I Tea Party d'Europa

La Lega si arruola nella brigata della Le Pen, ma qualcun altro si smarca

David Carretta

Con la decisione di abbracciare la coppia terribile Marine Le Pen-Geert Wilders in vista delle prossime elezioni europee, il segretario della Lega nord, Matteo Salvini, completa la transizione del suo partito verso il gruppo degli “infrequentabili” d’Europa. Agganciarsi al carro della Le Pen, leader del Front national francese che percorre mezzo continente alla ricerca di alleati, è il tentativo di recuperare consenso elettorale, nel momento in cui la Lega langue attorno alla soglia del 4 per cento, necessaria per inviare eurodeputati a Strasburgo.

    Con la decisione di abbracciare la coppia terribile Marine Le Pen-Geert Wilders in vista delle prossime elezioni europee, il segretario della Lega nord, Matteo Salvini, completa la transizione del suo partito verso il gruppo degli “infrequentabili” d’Europa. Agganciarsi al carro della Le Pen, leader del Front national francese che percorre mezzo continente alla ricerca di alleati, è il tentativo di recuperare consenso elettorale, nel momento in cui la Lega langue attorno alla soglia del 4 per cento, necessaria per inviare eurodeputati a Strasburgo. Il nuovo amore di Salvini per la Le Pen (tra l’altro fino a poco fa sospettosa verso la Lega: “In passato sull’Europa ha avuto una linea ambigua”) rappresenta un ribaltamento rispetto alla tradizione federalista e autonomista della Lega, incarnata nella linea governativa del presidente della regione Lombardia, Roberto Maroni, e del sindaco di Verona, Flavio Tosi. E’ finita l’epoca della “Europa dei popoli” e del federalismo, quando la Lega delle origini poteva chiedere di entrare nel gruppo liberale all’Europarlamento o almeno di lavorare con i partiti regionalisti, come quello catalano o scozzese. Sono finiti anche i tempi dell’alleanza con gli “euroscettici da pub” dell’Ukip britannico di Nigel Farage, che non vogliono sporcarsi le mani con partiti dal sapore antisemita o anti islamico, come il Front national e il Pvv (Partito della libertà) di Wilders. Scegliendo “l’alleanza europea dei patrioti” – come la definisce Le Pen – la Lega di Salvini entra nel gruppo dei nazionalisti più centralisti. Se un tempo lo slogan era: “Non siamo italiani, vogliamo essere federalisti in Europa”, oggi è diventato: “Dobbiamo essere anti europei per non scomparire, e quindi rivendichiamo di essere più italiani”.

    L’identità nazionale, tanto più in tempi di crisi economica, tocca nel profondo la pancia degli elettori, e ancor più lo fa la lotta agli stati che – come ha scritto l’Economist sul primo numero di gennaio dedicato ai “Tea Party europei” – hanno da ultimo dato il peggio di sé. Il magazine britannico arriva a dichiarare una certa simpatia per alcune istanze degli “infrequentabili”, soprattutto laddove lo stato ha pensato più ai suoi interessi che a quelli dei cittadini. Il fenomeno prende piede, nonostante il mainstream politicamente corretto sia tutto contrario. Alcuni sondaggi danno la Le Pen in testa, oltre il 24 per cento, in vista del voto europeo del 25 maggio. In Olanda, Wilders sembra in grado di superare i liberali del premier Mark Rutte. Ci sono altri partiti nella brigata: l’Fpo austriaca fondata da Jörg Haider, l’estrema destra belga del Vlaams Belang e i Democratici svedesi. Secondo l’Economist, “questi partiti dell’insurrezione dovrebbero ottenere il risultato più alto dalla Seconda guerra mondiale”. Ma, a parte alcune questioni come l’immigrazione, sono molto diversi dal Tea Party americano. Le Pen vede lo stato nazionale centrale come la soluzione a tutti i mali. Wilders è pronto ad ampliare all’infinito la spesa pubblica per difendere i pensionati olandesi. Ciò che li unisce è “la sovranità nazionale” e “una politica di immigrazione giusta”, come ha detto Franz Obermayr dell’Fpo. “Le elezioni europee saranno un referendum sull’Ue”, ha annunciato la leader del Front national. Ma il programma è vago e contraddittorio: se Marine considera la fine dell’Europa l’unica salvezza per la Francia, per Obermayr “la priorità non è uscire dall’Ue”.

    Sporcarsi le mani con “gli infrequentabili”
    L’Ukip di Nigel Farage, che alcuni sondaggi danno oltre il 20 per cento nel Regno Unito, ha resistito ai corteggiamenti di Marine. Oltremanica, mettersi con i “fascisti” significherebbe perdere gran parte del consenso accumulato in anni di propaganda antieuropea. Non è un caso se, dopo alcune dichiarazioni razziste, Farage ha insistito per espellere Mario Borghezio dal gruppo Europe of freedom and democracy all’Europarlamento, nel quale Lega e Ukip sono state alleate nell’ultima legislatura. Anche il Partito del popolo danese e i Veri finlandesi hanno declinato l’invito: Le Pen e Wilders sono considerati di estrema destra. Per darsi una ripulita Marine ha costretto il padre Jean-Marie – storico leader del Fn – ad abbandonare l’alleanza dei partiti neonazisti in Europa, il Jobbik ungherese e la greca Alba dorata. E pure l’accordo con la Lega non era scontato. Marine avrebbe preferito imbarcare Beppe Grillo e diversi gruppi che ruotano attorno al suo M5s – come alcuni professori no-euro della scuola di Pescara – vorrebbero spostarsi verso di lei. “Se vinciamo le elezioni europee, in Francia chiederò di sciogliere l’Assemblea nazionale”, ha riconosciuto Marine Le Pen durante una conferenza stampa in dicembre: a tutti gli antieuropeisti, alla fine, l’antieuropeismo fa comodo soprattutto a livello nazionale.