L'asse mediterraneo in Europa è troppo debole per fronteggiare il problema dell'indebitamento crescente

Domenico Lombardi

La crescente eterogeneità nelle dinamiche delle economie sotto stress dell’Eurozona acuisce la difficoltà di esprimere aggregazioni che salvaguardino i rispettivi interessi nazionali nei negoziati europei. Consideriamo il caso della Spagna. Nonostante gli ultimi dati pubblicati dall’Eurostat la scorsa settimana diano la disoccupazione a poco meno del 27 per cento – più del doppio della media dell’Eurozona – le agenzie di rating sono moderatamente positive sulle prospettive dell’economia iberica per la quale prevedono una ricaduta favorevole, nel medio periodo, delle riforme sinora attuate da Madrid.

    La crescente eterogeneità nelle dinamiche delle economie sotto stress dell’Eurozona acuisce la difficoltà di esprimere aggregazioni che salvaguardino i rispettivi interessi nazionali nei negoziati europei.
    Consideriamo il caso della Spagna. Nonostante gli ultimi dati pubblicati dall’Eurostat la scorsa settimana diano la disoccupazione a poco meno del 27 per cento – più del doppio della media dell’Eurozona – le agenzie di rating sono moderatamente positive sulle prospettive dell’economia iberica per la quale prevedono una ricaduta favorevole, nel medio periodo, delle riforme sinora attuate da Madrid. E’ sintomatico che per il settore finanziario, tra breve sotto la lente della Asset Quality Review della Banca centrale europea, esse assumono che il programma di ricapitalizzazione finanziato dallo European stability mechanism (Esm), il Fondo salva stati, non richieda significative risorse aggiuntive. Se ci spostiamo al di là dei Pirenei, invece, l’economia francese, pur risparmiata dalle asperità della crisi, appare prospetticamente in una posizione più difficile dei suoi vicini, dato che la sua Amministrazione non ha ricevuto un mandato pieno a fronteggiare la crisi introducendo riforme anche impopolari. E’ indicativo che quest’economia non abbia registrato alcun miglioramento dei costi del lavoro per unità di prodotto, un indicatore importante di competitività, che permane sistematicamente al di sopra della media dell’Eurozona, insieme all’Italia. Nel complesso, il reddito aggregato continua a essere su livelli pre-crisi. La situazione diventa ulteriormente variegata se si considerano i paesi della periferia con l’Irlanda che mostra segni di ripresa, la Grecia di stabilizzazione, e, infine, il Portogallo per cui pare accentuarsi l’incertezza sul corso delle riforme.

    E’ azzardato parlare di un “asse mediterraneo” nella gestione della crisi, ma occasionalmente si sono registrate delle convergenze. Per esempio, nella preparazione del vertice europeo nel giugno 2012, il governo Monti sfruttò abilmente l’iniziale disponibilità tattica della nuova Amministrazione Hollande a porsi in funzione dialettica rispetto alla Germania, imponendo al summit l’esigenza di una risposta sistemica di fronte al dilagare della crisi nell’Eurozona; risposta che non si limitasse unicamente all’aggiustamento unilaterale delle economie in crisi. I francesi avevano omesso di comunicare l’intesa con Madrid e Roma nella consueta riunione bilaterale Parigi e Berlino tengono prima di ciascun summit. Il cancelliere tedesco, Angela Merkel, pur indispettita, alla fine ne dovette prendere nota. Il mese dopo Mario Draghi pronunciava il famoso discorso di Londra che spianò la strada al programma Outright monetary transactions (Omt), introdotto dalla Bce nel settembre di quello stesso anno.

    Se il summit del giugno 2012 rappresenta un momento felice nella costruttiva articolazione degli interessi dei paesi mediterranei, cui va dato ampio credito all’iniziativa personale dell’allora presidente del Consiglio Mario Monti, in molti altri casi l’asse è morto ancora prima di cominciare. La Spagna, infatti, fu lasciata sola dall’atteggiamento pavido dell’Italia, quando sollevò a Bruxelles l’esigenza di un aggiustamento economico simmetrico, che prevedesse una riduzione del surplus delle partite correnti della Germania per facilitare l’aggiustamento delle economie meridionali in deficit.
    In molti altri casi, si è registrato, invece, un asse simmetricamente opposto, quello tra Berlino e Parigi, motivato dalla speranza dell’Eliseo – infondata – di poter preservare la tripla A per il rating del proprio debito appiattendosi servilmente sull’agenda tedesca. Il 18 ottobre del 2010, con i ministri delle Finanze che discutevano dello sgretolamento dell’Eurozona, Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, passeggiando sul lungomare di Deauville, “siglavano” un accordo verbale che avrebbero cercato di imporre agli altri colleghi europei: la ristrutturazione del debito sovrano per quelle economie con un debito insostenibile, con perdite in conto capitale a carico dei rispettivi investitori. La Francia avrebbe avallato tale principio in cambio dell’appoggio tedesco a evitare la procedura di infrazione automatica qualora il deficit nelle finanze pubbliche di un paese membro scendesse sotto la linea del 3 per cento. I ministri finanziari riuniti in Lussemburgo in quelle stesse ore si sono infuriati. L’allora presidente della Bce Jean-Claude Trichet,  incontrollabile, urlava in francese contro la delegazione ministeriale del proprio paese, e, successivamente, la sensazione che si potesse amplificare il contagio a debitori sistemici come Italia e Spagna, convinse la Germania ad accantonare strategicamente il dossier.

    E’ proprio su questo dossier, tuttavia, che si può registrare un’altra convergenza mediterranea. Esaurita la fase propulsiva nel disegno dell’Unione bancaria europea, l’attenzione di Berlino si concentrerà sulle implicazioni destabilizzanti per l’Eurozona di stock crescenti di debito pubblico che un’inflazione minima e una crescita anemica contribuiranno ad accentuare. Naturalmente, lo spettro è il debito italiano superiore al 130 per cento del pil, secondo solo alla Grecia. In Spagna, però, il debito si è quasi triplicato dal 2007, passando dal 36 a oltre il 92 per cento del pil alla fine dell’anno appena passato. In Francia, è aumentato dal 57 per cento nel 2001 al 95 atteso per la fine di quest’anno. Vedremo se la posizione europea che emergerà su questo dossier assomiglierà di più al summit europeo del giugno 2012 o al vertice segreto di Deauville dell’ottobre del 2010. Nei rapporti con Berlino, tuttavia, Hollande assomiglia sempre più al suo predecessore Sarkozy.