Ganja style

Sarà la crisi, o forse no, ma la marijuana è il nuovo nero

Marianna Rizzini

Era il tema di nicchia (o da evitare in società). Era il tema scomodo. Era il tema che solo a sentirlo nominare gli appassionati di politica sbuffavano come colti da noia abissale. Era il tema che periodicamente spuntava come campo di battaglia da referendum, convegno Onu, provocazione vintage, intervento mattutino di Marco Pannella a Radio Radicale. Era il punto vagheggiato dai candidati meno noti negli incontri pre-elettorali con i giovani; il punto ignorato, per prudenza, dai programmi politici progressisti; il terreno comune su cui si trovavano d’accordo i “centri” politici di questo e quel partito.

    Era il tema di nicchia (o da evitare in società). Era il tema scomodo. Era il tema che solo a sentirlo nominare gli appassionati di politica sbuffavano come colti da noia abissale. Era il tema che periodicamente spuntava come campo di battaglia da referendum, convegno Onu, provocazione vintage, intervento mattutino di Marco Pannella a Radio Radicale. Era il punto vagheggiato dai candidati meno noti negli incontri pre-elettorali con i giovani; il punto ignorato, per prudenza, dai programmi politici progressisti; il terreno comune su cui si trovavano d’accordo (nella deprecazione in stile “law and order”) i “centri” politici di questo e quel partito.

    Ma improvvisamente qualcosa è cambiato e la marijuana è stata promossa a “tema del giorno”, con il suo bravo sondaggio di SkyTg24 (ieri: siete favorevoli alla legalizzazione delle droghe leggere?), lo status di oggetto per domanda a Matteo Renzi durante “Otto e mezzo” (che ne pensa?) e il rango di argomento sommamente divisivo (nella Lega, ma anche nel Pd, dove Renzi si è mostrato cauto), eppure magicamente capace di rilanciare gli appannati (Nichi Vendola, ma anche la stessa Lega), rispolverare gli ex ingroiani (da Paolo Ferrero in giù) e dare al vicepremier Angelino Alfano l’occasione di martellare sulle “priorità” del Nuovo centrodestra (“prima il lavoro!”).

    Non sappiamo se Gianni Fava, l’assessore leghista della regione Lombardia che ha dato il via al dibattito sulla legalizzazione via Twitter, abbia soltanto riproposto la celebre frase del presidente uruguayano José Pepe Mujica (“il proibizionismo ha fallito”) o se abbia pensato la stessa cosa di Mujica, previa “riflessione politica” (così hanno detto vari leghisti d’accordo con lui). Certo è, però, che non ha bisogno di un’ispirazione d’oltremare il senatore pd Luigi Manconi, colui che due giorni fa ha presentato il ddl per modificare due articoli della Fini-Giovanardi e depenalizzare il consumo personale e la coltivazione di marijuana entro certi limiti. Manconi studia l’argomento da molti anni, e ieri, in pieno deflagrare della febbre da “pro o contro”, ha messo in guardia contro le semplificazioni (“legalizzare è cosa opposta a liberalizzare. Liberalizzazione corrisponde esattamente al regime in vigore oggi in Italia. Ovvero la possibilità di acquistare sostanze stupefacenti a qualunque ora del giorno e della notte, presso un grandissimo numero di piccoli esercizi commerciali illegali: gli spacciatori. Legalizzazione è il suo opposto: regolamentazione di produzione, commercio e consumo di hashish e marijuana, all’interno di un sistema di vincoli, tassazione e controllo…”).

    Ma com’è stato possibile che il tema negletto, da tirare fuori obtorto collo (Bill Clinton ammise di aver fumato ma non “aspirato” lo spinello) si sia tramutato in una “issue” da sfondamento e in salvifico rimpiazzo, nei battibecchi sul web, delle onnipresenti tiritere anticasta?

    In Colorado va forte fra gli ex marines
    Sì, c’è l’avamposto uruguayano (recente legalizzazione di produzione, vendita e consumo), con una prima linea antiproibizionista rappresentata dal presidente Mujica, ex tupamaro che vive con poco, si decurta lo stipendio e, mentre coltiva il sogno di trasformare l’Uruguay nella Finlandia (“da esportatori di legna a produttori di cellulari”), persegue “pragmaticamente” l’obiettivo di “strappare” il mercato ai narcos, rimpinguando nel contempo le casse statali (per misurare l’efficacia della legge bisogna aspettare però l’entrata in vigore, nella prossima primavera). E c’è l’effetto-traino di un Colorado liberal-liberista: legalizzazione per “scopi ricreativi”, con vendita al dettaglio, code fuori dagli esercizi autorizzati (primo acquirente, un ex marine reduce dall’Iraq) e mirabolanti foto di vecchietti arzilli in stile “Cocoon” (dal film dove un gruppo di anziani riscopriva, dopo un’invasione aliena, le gioie della giovinezza: lì erano alcol e ballo e qui il sacchettino della prima marijuana messa in vendita a gennaio). Ma chissà se basteranno, poi, le notizie della Befana da luoghi lontani a far penetrare l’idea che quelle bustine ordinatamente appese alla parete degli empori (altra foto dal Colorado legalizzatore) siano cosa anche politicamente augurabile (e votabile).

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.