Modello Londra vs. Saccomanni

Redazione

La promessa di Saccomanni: nel 2014 caleranno le tasse, si intitolava ieri l’intervista di Repubblica al ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni. Dopo nove punti di pil persi per strada dall’inizio della crisi, non certo per colpa dell’ex numero due della Banca d’Italia, siamo ancora alle “promesse” (9 miliardi di sgravio nei prossimi tre anni), e questo invece è anche un demerito dell’ex numero due della Banca d’Italia.

    La promessa di Saccomanni: nel 2014 caleranno le tasse, si intitolava ieri l’intervista di Repubblica al ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni. Dopo nove punti di pil persi per strada dall’inizio della crisi, non certo per colpa dell’ex numero due della Banca d’Italia, siamo ancora alle “promesse” (9 miliardi di sgravio nei prossimi tre anni), e questo invece è anche un demerito dell’ex numero due della Banca d’Italia. Abbiamo però una “certezza”, assicura il ministro: “L’Italia e gli altri paesi possono fare pressione sull’Europa perché faccia di più sulla disoccupazione o sulle infrastrutture. Ma sui vincoli di bilancio, il 3 per cento non è in discussione”. Questa è la risposta, ingessata e un po’ burocratica, a una realtà che si fa sempre più avversa per il governo Letta: tutti i politici con maggiori consensi nell’opinione pubblica, da Matteo Renzi a Silvio Berlusconi, passando per Beppe Grillo, auspicano un’interpretazione più elastica del tetto europeo sul rapporto deficit/pil, quello del 3 per cento. I tre leader (extraparlamentari) suggeriscono, in altri termini, di “sforare”, così da allentare un rigore fiscale che nel nostro paese abbiamo saputo declinare soltanto come aumento continuo e strisciante di accise, imposte e tasse. Se l’approccio contabile del ministro lascia il tempo che trova, è pur vero che lo “sforamento” non è garanzia di successo, perché l’Italia soffre di troppo debito pubblico (notare l’aggettivo) e di troppa spesa pubblica, quindi ricominciare ad allargare le maglie delle uscite statali non sarà la panacea dei nostri mali.

    Tuttavia lo sforamento può essere anche di tipo virtuoso, come hanno spiegato sul Corriere della Sera di domenica Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, non certo sospettabili di parteggiare per il lassismo fiscale. La loro idea è che un governo italiano che abbia a cuore le sorti dell’economia reale dovrebbe “proporre a Bruxelles una riduzione immediata delle imposte sul lavoro di almeno 23 miliardi (quanto necessario per portare i contributi a carico delle imprese a livello tedesco), accompagnata da tagli corrispondenti, ma graduali, della spesa, e riforme coraggiose, soprattutto del mercato del lavoro, da attuare in un triennio”. Non è fantascienza, è quanto sta facendo per esempio il governo conservatore inglese. Ancora ieri il cancelliere dello Scacchiere, George Osborne, ha impegnato pubblicamente l’esecutivo e il Parlamento su alcuni punti: ridurre la spesa statale (di 17 miliardi di sterline nel 2014 e di 20 nel 2015), abbassare le tasse per i lavoratori ma soprattutto per le imprese (50 miliardi di sterline di riduzione finora), razionalizzare il welfare per i disoccupati (e a chi si lamenta, suggerisce il ministro inglese, si chieda: “Allora quali servizi pubblici tagliereste, invece di razionalizzare il welfare?”). Osborne ha parlato da una fabbrica della Sertec, azienda manifatturiera che produce per il settore dell’auto, che nell’ultimo anno ha assunto 100 lavoratori e così farà nei prossimi quattro anni. Mentre il nostro Parlamento insegue Sergio Marchionne in giro per il mondo (“ci deve delle spiegazioni”), e il ministro Saccomanni ripete la solita eurolitania, a Londra hanno trovato una soluzione al problema del “tre per cento”.