Pennsylvania Avenue

Stati e banche in allerta: nel 2014 il refrain sarà “default”

Domenico Lombardi

Nel nuovo anno sarà il debito pubblico a richiamare l’attenzione delle autorità e degli analisti internazionali. Nell’ultimo scorcio dell’anno che si sta per chiudere sono infatti emersi alcuni elementi rilevanti, anche per l’Italia. Tra le economie sotto stress, la Grecia beneficia di un miglioramento del suo merito di credito sovrano con la decisione di Moody’s di sollevare l’economia ellenica dal rating di default tecnico (“C”), in seguito alla ristrutturazione volontaria del debito.

    Nel nuovo anno sarà il debito pubblico a richiamare l’attenzione delle autorità e degli analisti internazionali. Nell’ultimo scorcio dell’anno che si sta per chiudere sono infatti emersi alcuni elementi rilevanti, anche per l’Italia. Tra le economie sotto stress, la Grecia beneficia di un miglioramento del suo merito di credito sovrano con la decisione di Moody’s di sollevare l’economia ellenica dal rating di default tecnico (“C”), in seguito alla ristrutturazione volontaria del debito. Nel caso dell’Irlanda, Standard & Poor’s, ha rivisto l’outlook da stabile a positivo, riflettendo l’attesa di una riduzione del debito pubblico a un ritmo superiore alle previsioni. Per la Spagna, entrambe le agenzie hanno migliorato il loro outlook da negativo a stabile. Vi ha contribuito il netto miglioramento nei conti con l’estero, l’attesa diffusa di un crescita del suo pil, e l’aspettativa che la ristrutturazione avviata nel settore finanziario dovrebbe contenere l’impatto di nuove, eventuali fonti di vulnerabilità. Anche Cipro, l’ultimo paese dell’Eurozona a richiedere l’intervento finanziario della Troika, porta a casa un piccolo ma incoraggiante miglioramento nel suo merito di credito. La crescente attenzione con cui le agenzie di rating vagliano le economie dell’Eurozona non risparmia neanche le economie settentrionali. I Paesi Bassi hanno da poco perso la prestigiosa tripla A, di cui oggi beneficiano solo Germania, Finlandia e Lussemburgo, a causa del drastico deterioramento delle prospettive di crescita e del fardello del debito, in questo caso privato. Per l’Italia, viene confermato il rating della tripla B (appena superiore al livello di “spazzatura” previsto per i valori sotto la tripla B meno) che condivide con Bulgaria, Panama, Colombia e altre economie emergenti, e, con esso, l’outlook negativo di una possibile, ulteriore riduzione del merito del credito.

    Sulla staticità della valutazione pesano le incertezze sulle prospettive di crescita, il torpore riformista che avvolge la politica del paese, e l’elevata vulnerabilità indotta dal rapporto debito pil, pari a circa il 133 per cento, secondo nell’Eurozona solo alla Grecia. Per quanto ciascuna di queste decisioni rifletta le circostanze specifiche del paese in esame, le economie sotto stress appaiono sospinte, negli ultimi mesi, da una dinamica favorevole che traduce gli sforzi e i risultati sinora conseguiti sul piano delle riforme in corrispondenti valutazioni del proprio merito di credito. Rimane, tuttavia, un nodo fondamentale da sciogliere legato all’Italia. Un eventuale deteriorarsi del merito di credito al di sotto della soglia spazzatura, o la semplice aspettativa che tale decisione possa verificarsi, scatenerebbero una massiccia ondata di vendite dei titoli di stato da parte di quegli investitori che, per scelta o per obbligo, non intendano detenere obbligazioni di questo tipo con conseguenti problemi di accesso per il Tesoro al mercato primario delle emissioni.

    In questo quadro vanno considerate le conseguenze dell’Unione bancaria per il debito sovrano. Quest’ultima sancisce la fine della sacralità delle istituzioni creditizie, il cui passivo potrà essere ristrutturato in caso di difficoltà dell’azienda bancaria medesima imponendo la partecipazione coattiva degli azionisti e di alcune categorie di creditori a perdite in conto capitale. Acquisito tale principio, la sua estensione a un altro debitore speciale – come lo stato – non richiede iperboli logiche. Per la verità, l’introduzione di un meccanismo di ristrutturazione del debito sovrano era presente nel programma dell’Spd tedesca, poi scomparso nel contratto di coalizione che ha dato vita al terzo governo Merkel poche settimane fa. Eppure sarebbe un errore interpretare un semplice ripiegamento tattico per un cambio di strategia. Alla cancelleria di Berlino rimangono convinti della necessità di disciplinare i governi spendaccioni così come si farebbe con una qualsiasi azienda, ma sono esitanti nel sollevare unilateralmente la questione per evitare di alimentare l’antagonismo con le economie meridionali. Meglio sarebbe se ad appropriarsi dell’agenda fosse un organo regionale o, meglio, internazionale. La Commissione sta vagliando il problema e un suo studio, atteso nei primi mesi del 2014, servirà a saggiare le acque in Europa. Il G20, inizialmente recalcitrante sotto la presidenza russa, appare ora più pragmatico. La nuova presidenza australiana, pur senza alcun entusiasmo per quest’agenda, ha mostrato, infatti, una qualche apertura e, nella riunione di Brisbane di due settimane fa, il foro intergovernativo ha concordato di affidarsi ai lavori in seno al Fondo monetario internazionale.

    L’ipotesi dell’Omt di Mario Draghi
    E proprio il Fmi potrebbe rivelarsi, per un serie di coincidenze, il migliore alleato di Berlino. Dopo aver invano proposto un meccanismo statutario per la ristrutturazione del debito sovrano nella prima parte della scorsa decade, l’attuale direttore generale, Christine Lagarde, incalzata dal suo staff sempre più insofferente per le continue ingerenze europee nei programmi di assistenza all’Eurozona, è determinato a ripristinare la credibilità e il rigore che i recenti prestiti hanno, in parte, eroso. Dopo una lunga esplorazione, il management dell’organizzazione internazionale con sede sulla Pennsylvania Avenue ha ottenuto un mandato a lavorare su possibili opzioni per la ristrutturazione del debito sovrano che dovrebbe concludersi con una proposta condivisa a cui pervenire entro la fine del nuovo anno. Sebbene i termini di tale proposta siano ancora da definire, è probabile che essa, nella sua versione minimale, finisca col condizionare l’accesso alle risorse del Fmi a una ristrutturazione del debito, qualora esso non risulti sostenibile. Le implicazioni per l’Italia non sono immediate, poiché la dimensione della sua economia e del suo debito la rendono un cliente improbabile del Fmi. Tuttavia, il programma Outright monetary transactions (Omt) di acquisto potenzialmente illimitato di titoli di stato da parte della Banca centrale europea prevede il coinvolgimento dello stesso Fmi e, presumibilmente, delle regole che ne disciplinano il suo intervento.