Le lettere private di Bernstein

Lenny, istrione in musica vita e gossip

Redazione

Nel 1966 Leonard Bernstein diresse “La sagra della primavera” e la Sinfonia n. 5 di Sibelius con la London Symphony Orchestra, e recentemente la Bbc ha pubblicato per la prima volta in Dvd la registrazione del concerto. E’ una cosa magnifica, non soltanto per la splendida esecuzione, ma anche per la possibilità di vedere “Lenny” in azione, in primo piano. Certo, tutti i direttori d’orchestra hanno atteggiamenti estremamente personali; ma c’è mai stato qualcuno più teatrale, esibizionista, gigione di lui? O più entusiasmante, convincente e appassionato?

di Robert Gottlieb

    Nel 1966 Leonard Bernstein diresse “La sagra della primavera” e la Sinfonia n. 5 di Sibelius con la London Symphony Orchestra, e recentemente la Bbc ha pubblicato per la prima volta in Dvd la registrazione del concerto. E’ una cosa magnifica, non soltanto per la splendida esecuzione, ma anche per la possibilità di vedere “Lenny” in azione, in primo piano. Certo, tutti i direttori d’orchestra hanno atteggiamenti estremamente personali; ma c’è mai stato qualcuno più teatrale, esibizionista, gigione di lui? O più entusiasmante, convincente e appassionato?

    E’ questo il problema Lenny: è autentico o sta recitando? Lo dobbiamo amare o prendere a calci? Il suo cuore è tutto spalmato sulla sua manica, oppure ce n’è un altro dentro di lui? E chi di noi è cresciuto insieme a lui, in tutti i suoi innumerevoli avatar, reagisce nello stesso modo di chi lo incontra per la prima volta, senza conoscerne la storia e probabilmente senza nessuna particolare aspettativa?
    Osservatelo mentre sta sul palco, di fronte a un’orchestra di severi e impeccabilmente eleganti musicisti inglesi (a quei tempi non c’erano molte donne nella London Symphony Orchestra). Loro lo guardano con estrema attenzione, naturalmente – è solo una mia fantasiosa impressione che lo stiano guardando come tenendosi a distanza da una pericolosa tigre? Con loro Bernstein si comporta in modo assolutamente cordiale e rispettoso. Anzi, sorprendentemente gentile: stringe mani, dà pacche sulle spalle, sfodera caldi sorrisi. Non potrete mai sapere se sia insoddisfatto del loro modo di suonare.
    Ma hanno forse mai lavorato con un direttore non soltanto leggendario ma anche così esagerato nei modi? Non si tratta semplicemente dei suoi celebri balzi. Digrigna i denti, si contorce in smorfie, si lancia in avanti ed è percorso da spasmi in tutto il corpo. L’emozione della musica si rispecchia direttamente sul suo viso: in un momento è invaso dall’eccitazione e in un altro è preda dell’angoscia. Si piega e oscilla. Suda. Le sue labbra si muovono, mentre canta sottovoce la musica. Dato che dirige senza partitura – è famosa la sua prodigiosa memoria musicale – la sua concentrazione è assoluta. Se vedessimo un attore recitare “Re Lear” con la stessa enfasi, probabilmente lo faremmo cacciare dal palco. Ma proprio quando siamo pronti a considerare l’esibizione ridicola, cominciamo a crederci. No, non è un ciarlatano; non è un imbroglione. E’ un credente. E’ autentico.

    Tuttavia… Il mistero di chi e cosa fosse Leonard Bernstein ci ha spinto a interessarci alla sua vita, e ora a un’ampia raccolta delle sue lettere, The Leonard Bernstein Letters, a cura di Nigel Simeone. Si potrebbe facilmente supporre che le lettere di un uomo così colto e raffinato, un esperto e prolifico scrittore, autore di bestseller sulla musica, di importanti conferenze e di trasmissioni televisive di grande successo, siano rivelatrici. Ahimè, non lo sono. Malgrado la sua intelligenza e il suo fascino – che risaltano perfettamente – la lettura di queste lettere non ci fa scoprire nulla più di quanto già sapevamo. Il dilemma tra genio e narcisismo, eroismo e superbia, generosità ed egoismo rimane irrisolto. La sua stupefacente energia è ciò che lo ha reso grande e al tempo stesso ciò che lo rende sospetto. E’ stato un compositore o soltanto un direttore? Era un musicista “serio” (la Sinfonia “Jeremiah”, i “Chichester Psalms”) oppure pensava soprattutto allo “showbiz” (“On the Town”, “West Side Story”)? Era eterosessuale (la sua adorata moglie Felicia, e i loro tre altrettanto adorati figli) oppure gay (praticamente tutti gli altri rapporti)? Era leale con i suoi amici e benefattori oppure se ne infischiava? Era un uomo dalle profonde emozioni o semplicemente un sentimentale? Ha sfruttato bene il suo straordinario talento oppure lo ha sprecato? E cosa gli importava veramente?

    Non sarà certo lui a dircelo; ma le “Lettere”, insieme all’eccellente biografia pubblicata da Humphrey Burton nel 1994, indicano che c’erano almeno tre cose a muoverlo: la musica, naturalmente; la sua famiglia, malgrado i conflitti (o forse proprio a causa di essi); il suo giudaismo (e la sua fede in Israele). Il denaro, la celebrità, il sesso erano cose importanti ma, in definitiva, non fondamentali. Il giovane Bernstein non aveva difficoltà a scrivere lettere – era uno scrittore talentuoso, com’era talentuoso in qualsiasi altra cosa – ed era perfettamente consapevole del suo egocentrismo (al suo grande amico Kenny Ehrman un volta confidò: “Chi credo di essere? Tutti”). E a Helen Coates, la sua prima insegnante di pianoforte e, successivamente e per svariati decenni, la sua assistente e la sua guida nella vita, disse: “Prima che mi dimentichi e mi metta a scrivere una lettera centrata su di me, voglio augurarti una piacevole estate”. Apre il suo cuore praticamente a tutti. Ha incontrato la ragazza (ragazzo) perfetta. Ha scritto questo e fatto quest’altro. Un tale gli ha fatto i complimenti, un altro lo ha elogiato. E’ sempre convinto che, chiunque sia il destinatario delle sue lettere, questi voglia inevitabilmente sapere tutto di lui – un narcisismo che è normale, persino commovente in un giovane, ma non più in un uomo maturo (o presunto tale). Pensate soltanto come sarebbe andato pazzo per i blog!

    Ha bisogno, in modo ossessivo, di essere apprezzato, ammirato, amato. Ha bisogno della gente. “Ricorderai la mia principale debolezza: il mio amore per la gente”, scrive a Ehrman nel 1939 (all’età di vent’anni). “Ho bisogno della gente tutto il tempo, in ogni momento. E’ qualcosa che probabilmente non puoi comprendere: ma non posso passare un unico giorno da solo senza farmi prendere da una profonda depressione. Qualsiasi persona va bene. E’ un terribile difetto”. Ha bisogno che la sua vita sia testimoniata – nel profondo, è un performer, e anche le sue lettere sono delle performance. Soltanto con poche persone – sua sorella e suo fratello, per esempio – parla sinceramente e senza veli, come quando gli racconta cosa sta facendo e quanto li ami e ne senta la mancanza: qui chi parla è il vero Lenny – se mai è esistito un vero Lenny.

    C’è un particolare gruppo di lettere giovanili in cui risalta immediatamente la disperata ricerca di attenzione di un giovane ancora alle prime armi. All’età di vent’anni aveva già stregato numerosi illustri musicisti. Naturalmente, erano anche affascinati dalle sue straordinarie capacità, evidenti a tutti fin dall’inizio: il mondo della musica capì subito che era un prodigio e un futuro leader. Ed erano attratti dal suo bell’aspetto, dalla sua intelligenza e dal suo carisma personale. Ma la loro parzialità fu certamente aumentata dal modo in cui gli si accostava. Ad Aaron Copland, il primo dei suoi formidabili mentori, nell’aprile del 1942 scrisse:

    Sarebbe stato bellissimo vederti. Oh Dio, sì. Nel nostro primo meraviglioso giorno di primavera. E avremmo camminato per tutti i parchi di Boston, e avremmo chiacchierato a lungo, con calma e serenità. Non puoi venire lo stesso? Dobbiamo fare una sessione sull’opera giovanile di Copland, lo sai. L’interpretazione del maestro. Diavolo, mi manchi moltissimo.

    Questa relazione, della quale non si sa se iniziò come storia d’amore, fu probabilmente la più duratura e produttiva di tutta la vita di Lenny. Ci furono alti e bassi, ma Copland si preoccupò sempre del suo giovane amico, e Lenny non smise mai di riverirlo. Uno dei suoi più convincenti scritti fu il discorso d’introduzione che pronunciò al Kennedy Center Honors nel 1979, che terminava con queste parole:

    Di solito le persone caratterizzate da simile contegno e moderazione, che sono però anche mossi da tumultuose passioni e rabbie interne, sono persone malate, psicotiche, esposte a imprevedibili e irrazionali esplosioni. Ma non nel caso di Aaron… Quest’uomo è la sanità incarnata, ed è per questo che, fin dal primo momento in cui l’ho incontrato – il giorno del suo trentasettesimo compleanno – mi sono istantaneamente fidato di lui e affidato integralmente al suo giudizio come fosse il vangelo, e ho continuato a farlo da allora in poi. E’ un grande onore per me presentarvelo, il mio primo amico a New York, il mio maestro, il mio idolo, il mio saggio, la cosa più vicina a un insegnante di composizione che ho mai avuto, la mia guida, il mio consigliere, il mio fratello più anziano, il mio adorato amico: Aaron Copland.

    I suoi rapporti con il formidabile direttore Dmitri Mitropoulos, un uomo tormentato (e omosessuale), furono sempre dolorosi. Mitropoulos era un uomo così solo e bisognoso che le attenzioni prestategli da Lenny divennero per lui fondamentali. Egli stesso gli scrisse: “E, caro ragazzo, ho bisogno della tua approvazione, del tuo rispetto, del tuo amore! E’ molto importante per la mia vita… Posso chiederti una piccola foto da portare con me nel mio viaggio in Europa?”. E un mese dopo:

    Puoi immaginare, per un momento, ho pensato di avere perduto il tuo amore, e poi, mi sono domandato, forse non ero in diritto di chiedere alcunché, di aspettarmi alcunché, da chiunque, e ho pensato che il mio destino fosse di rimanere solo con me stesso e la mia arte. Ma tu, mio caro amico, dimmi che non è così, che io per te conto, sì… non dimenticarti di me. Arrivederci caro, Dmitri.

    Humphrey Burton ritiene che non si trattasse di una relazione di tipo sessuale, e che fosse “sostanzialmente un’amicizia spirituale”. Ma il linguaggio di Dmitri è il linguaggio dell’amore; e per quanto lo venerasse, Lenny sfruttò anche le opportunità di lavoro che Mitropoulos gli offriva. Lo fece consciamente? Lenny, semplicemente, non poteva fare a meno di essere seducente, e l’uomo più anziano non poteva fare a meno di essere emotivamente sedotto.
    Corteggiava anche Fritz Reiner (Pittsburgh) e Artur Rodzinski (New York Philharmonic), che favorirono entrambi la sua carriera. In seguito, riuscì persino a conquistare il leone più grande di tutti, Arturo Toscanini, il quale nel 1949 gli scrisse (la citazione è tratta dalla biografia di Burton): “La vostra gentile visita e la vostra cara lettera mi hanno reso davvero molto felice… Mi sono sentito di quarant’anni più giovane” (ahimè, purtroppo non possediamo la “cara lettera”).
    La più intensa esibizione di adulazione bernsteiniana fu diretta all’uomo che, più di qualsiasi altro, diede impulso alla sua carriera, il più illustre direttore d’orchestra americano, Serge Koussevitsky (Boston Symphony, Tanglewood). Ecco un esempio risalente al 1943, ancora all’inizio della loro relazione:

    Caro dottore, ogni tanto sono spaventato dall’idea di non vederla mai più – e sento che devo scriverle, o parlarle, se non altro per soddisfare il mio costante affetto per lei. Non importa quanto tempo passi senza che io la veda, perché lei è sempre con me, a guidare il mio lavoro, fornendomi gli strumenti attraverso i quali misuro i miei progressi nella nostra arte. E oggi sento semplicemente che devo comunicare con lei, per amore e amicizia – ecco tutto.

    Non molto tempo dopo, è amore da “Lenushka”. E nel 1945 – mentre era in tour nel paese –

    Ogni volta che sollevo le braccia per dirigere sono invaso da un senso di meraviglia per la grande ispirazione che mi hai comunicato … è qualcosa per cui ti sono grato ogni giorno della mia vita – qualcosa che mi ha liberato e allo stesso tempo legato in una benvenuta schiavitù – come Prospero con Ariele… e quando mi sento così, mi accorgo che posso esprimere al meglio i miei sentimenti proprio a te e, attraverso di te, alla Mente Creativa Universale, alla quale tu sei molto più vicino di me.

    Appare chiaro che l’ego di Koussevitsky era altrettanto grande della capacità che aveva Bernstein di adularlo, e nel 1946 stava ormai diventando sempre più suscettibile. C’è un disaccordo sul programma per un concerto che Lenny deve dirigere con la Boston Symphony Orchestra di Koussevitsky, e Lenny, a quanto sembra, si è preso troppe libertà. Koussevitsky lo rimprovera e immediatamente Lenny – “profondamente addolorato” – ritratta, si scusa, si inchina: “C’è forse qualcosa di malvagio nella mia natura che mi fa fare e dire cose immorali? Forse che dico una cosa e ne intendo un’altra? Oppure è semplicemente il fatto che la comunicazione tra due persone che sono così vicine è estremamente difficile?”. Lo strappo è ricucito, ma ormai le cose non sono più come erano un tempo. Infatti, a questo punto, Bernstein non è più un appassionato esordiente, in cerca di un appoggio nel mondo della musica classica, ma un fenomeno pubblico: ha ottenuto il trionfo – con tanto di prime pagine sui giornali (“Giovane direttore ha la sua opportunità”) – con la sua sostituzione all’ultimo minuto di Bruno Walter sul podio della New York Philharmonic; ha scritto la sinfonia “Jeremiah”, e il suo spartito per il balletto “Fancy Free” di Jerome Robbins, seguito a breve distanza dal musical “On the Town”, lo ha reso una star e una celebrità. Una delle migliori qualità di Lenny era la lealtà, e non abbandonò mai Koussevitsky o la sua famiglia; ma ormai non ne aveva più bisogno.

    La sua stima per i grandi direttori era reale, persino fervida. Basta leggere la sincera espressione di rispetto e affetto nella lettera scritta al quasi novantenne Karl Böhm, ormai moribondo, nel 1981, che termina con queste parole:

    Tu sei giovane. Per favore rimani così, per me, per i miei colleghi, per la sacra arte. Ciò che hai fatto nella musica ti ha già reso immortale: questo non ti incoraggia a rimanere con noi, e continuare a insegnarci per sempre? Io prego per te, esattamente come sta pregando tutto il mondo della musica. Con devozione, Bernstein.

    Ahimè, Böhm morì il giorno dopo la scrittura di questa lettera, ma la cosa importante è che Lenny intendeva veramente quelle parole, almeno al momento in cui le scriveva. Poteva lasciarsi trasportare dai suoi sentimenti; ma lasciarsi trasportare dai propri sentimenti, per quanto fugaci, non è un crimine così grande come non averne affatto.

    Con i suoi primi amici del mondo dello showbiz il tono di Lenny è naturalmente molto più rilassato, come una chiacchierata tra gente dello stesso rango. Incontrò per la prima volta Adolph Green quando entrambi lavoravano in un campo estivo, e Adolph fu immediatamente colpito dalla sua brillantezza. Quando Adolph viveva sempre appiccicato al suo partner, Betty Comden, e stava lavorando con la loro altra grande amica, Judy Holliday, in uno spettacolo per nightclub intitolato “The Revuers”, Lenny vi prese parte, suonando il piano per loro al Village Vanguard (in occasione di una trasmissione televisiva sperimentale nel 1940, come ha notato l’editorialista Leonard Lyons, l’illustre assistente di Bernstein, con il compito di girare le pagine dello spartito, era Aaron Copland).

    Nel presente volume sono incluse soltanto un paio di lettere di Lenny ad Adolph, e nessuna invece a Betty o Judy – forse non se n’è conservata nessuna – ma le lettere che loro hanno scritto a Lenny nel corso degli anni punteggiano tutto il libro e gli danno maggiore vitalità. Comden, in particolare, rimase una fedele amica, sensibile, onesta e affettuosa. Adolph è fanfarone, socievole, impetuoso: “Carissimo Lennie, che c’è da dire? Tu sei brillante, impulsivo, giovane (ventotto anni) – Io sono grasso, vecchio (quarantanove anni e mezzo) e debole. Insomma, che c’è da dire?”. (In realtà Adolph aveva trentadue anni).

    I due musical che Lenny, Adolph e Betty scrissero insieme – “On the Town” e “Wonderful Town” – furono grandi successi; e sebbene si parlasse costantemente di una loro nuova collaborazione, non avvenne mai. Adolph e Betty erano a Hollywood impegnati a scrivere “Singin’ in the Rain” e molti altri film; Bernstein era in Europa per dirigere Maria Callas nella “Sonnambula”. Anche Lenny ebbe la sua esperienza hollywoodiana, da una storia di due notti con il giovane Farley Granger fino a un serio progetto della Paramount per un film nel quale avrebbe dovuto figurare insieme alla Garbo: Bernstein avrebbe impersonato Cˇ aikovskij, mentre la Garbo sarebbe stata la sua protettrice Madame von Meck. Pensate soltanto a quale musica avrebbero potuto creare insieme Lenny e Greta – anche se, nella vita reale, non si incontrarono mai.

    Uno degli scambi epistolari più rivelatori e illuminanti è quello fra Lenny e la donna che avrebbe sposato, la bellissima e talentuosa Felicia Montealegre. Cilena di ottima famiglia, attrice e anche musicista, adorata da tutti, Lenny compreso. Lei lo adorò fin dal primo momento, e presto si iniziò a parlare di matrimonio. In una delle sue prime lettere, Felicia lo saluta così: “Mio adorato boss, buonanotte!”, non certo un felice presagio. Il matrimonio sfumò, poi tornò alla ribalta e finalmente fu concluso. Felicia conosceva lo spartito. Non erano sposati da molto quando gli scrisse per parlargli di quella che lei stessa definisce la “nostra vita ‘coniugale’”:

    Primo: Non siamo condannati da una sentenza eterna – nulla è davvero irrevocabile, nemmeno il matrimonio (anche se un tempo credevo di sì).
    Secondo: Tu sei omosessuale e probabilmente non cambierai mai – tu non ammetti la possibilità di una doppia vita, ma se la tua pace mentale, la tua salute e tutto il tuo sistema nervoso dipende da certi costumi sessuali cosa puoi farci?
    Terzo: Sono pronta ad accettarti come sei, senza diventare una martire o dovermi sacrificare sull’altare di L. B. (ti ho amato molto – questa potrebbe essere una malattia, e se lo è, quale cura migliore?) …
    Quanto a me – una volta che ti sarai liberato delle tue tensioni, sono certo che scompariranno anche le mie. Può nascere una amicizia che probabilmente nessun altro sarebbe in grado di offrirti. I tuoi sentimenti per me diventeranno più chiari e più facili da esprimere – il nostro matrimonio non è basato sulla passione ma sulla tenerezza e sul reciproco rispetto. Perché non averli?

    Li ebbero, e lui aveva saputo fin dall’inizio che sarebbe stato così: in una lettera su Felicia scritta a sua sorella Shirley – la persona con cui fu sempre più aperto e onesto – nel 1951, poco prima del matrimonio, afferma: “Sento una completa sicurezza sul nostro rapporto – So che abbiamo davanti un autentico futuro, con una profonda amicizia, una casa, dei bambini, viaggi, e una tenerezza che ho provato raramente”. Funzionò, ma non sempre. Quando Bernstein era a New York, vivevano un’intensa vita domestica. Poi lui ripartiva per i suoi interminabili tour, e le scriveva lunghe lettere ricche di pettegolezzi, e di tanto in tanto si incontravano. Felicia faceva saltuariamente l’attrice e allevava i bambini.

    Ma negli anni Settanta la sua vita da omosessuale era diventata un fatto aperto ed evidente, con sempre maggiore tormento di sua moglie. Bernstein era ormai famosissimo e potente e abbandonò ogni freno – la notevole autoconsiderazione che aveva sempre mostrato si era trasformata in un narcisismo assoluto. Burton ricorda che Paul Bowles, un vecchio amico, incontrandolo dopo molti anni, ebbe l’impressione che fosse diventato “superbo” e “falso”, “una misera briciola di ciò che era stato un tempo”. Il suo successo aveva avuto un effetto “dolorosamente distruttivo” sulla sua personalità. Si tratta, osserva Burton, di “una dichiarazione agghiacciante”, e le lettere la confermano.

    Nel 1976 Lenny lasciò Felicia per un giovane uomo chiamato Tom Cothran. Fu una rottura pubblica, devastante e umiliante per lei. Alla fine Bernstein tornò da lei, ma era ormai troppo tardi. Poco dopo, nel 1978, Felicia morì di cancro ai polmoni, e questa volta fu lui a rimanerne devastato. Malgrado tutto, Felicia fu certamente il grande amore della sua vita. “Non si riprese mai da questa perdita”, conclude Burton, “e non dimenticò mai la maledizione che lei gli lanciò quando le disse che la lasciava per Cothran. Gli aveva puntato il dito contro infuriata e aveva sentenziato, con uno stridente sussurro: ‘Morirai di un’amara morte vecchio e solo’”.

    L’idea più brillante di Nigel Simeone è stata quella di includere molte lettere indirizzate a Lenny. Sono spessissimo più interessanti delle sue stesse lettere, probabilmente perché molte di esse sembrano più dirette e sincere, in confronto alle sue performance. Ho già citato le lettere di Comden e di Green: sono divertenti, spiritose e vere. La lettera che gli scrisse Jackie Onassis per ringraziarlo delle musiche dirette per il funerale di Bobby Kennedy, celebrato nella cattedrale di St. Patrick, svela il lato più aperto e commosso di questa enigmatica donna. Ecco un brano tratto dalla sua lunga lettera, scritta alle quattro del mattino la notte stessa del funerale:

    Oggi, quando il vostro Mahler ha iniziato a riempire la Cattedrale, ho pensato che fosse la musica più splendida che avessi mai ascoltato. Sono davvero contenta che non la conoscessi già – era come una strana musica di dèi che stavano piangendo… La sola cosa che contava al mondo era che Ethel avesse la musica che aveva desiderato per suo marito… Caro Lennie, tu sei stato così tenero, gentile e comprensivo – pieno di tatto e premuroso – così lei ha avuto tutto ciò che desiderava.

    Le lettere di Martha Gellhorn – apparentemente una strana scelta come amica – sono interessantissime. Bernstein le scrive che ha incontrato il suo ex marito Ernest Hemingway:

    … Mi ha colto completamente di sorpresa. Non ero stato preparato da conversazioni, foto o interviste a un tale fascino e a una tale bellezza. Dio, cosa vibra sotto quei suoi occhi? Cos’è quella affascinante tenerezza adolescenziale? E la voce e la memoria, e il sincero interesse per ogni anima vivente: fantastico.

    In risposta, lei gli scrive:

    Interessato a Ernest. La tenerezza è una nuova qualità in lui; ma per fortuna la gente cambia e i più fortunati cambiano in meglio man mano che invecchiano. Il suo principale difetto era proprio la mancanza di tenerezza nei confronti di chiunque. L’ho desiderata così tanto in lui, per me e per gli altri. Mi ero quasi accontentata che la mostrasse almeno agli altri… Era interessato a tutti, ma c’era un lato brutto. Era come flirtare (infatti, proprio come te, ha un eccessivo bisogno di essere amato da tutti, e specialmente da tutte le strane persone che riesce a intrappolare con quell’interesse, come fai tu con il tuo fascino, anche se in realtà di tutte quelle persone non gliene importava niente)…
    Quando l’ho sposato in realtà non volevo farlo, ma ormai era troppo tardi. La notte prima del matrimonio, e anche la notte stessa del matrimonio, ho pianto segretamente, in silenzio; mi sentivo totalmente intrappolata… Ti sorprenderà sapere anche che non mi sono mai annoiata così tanto nella mia vita come durante i lunghi mesi che passavamo da soli a Cuba. Pensavo che sarei morta di noia.

    Ci sono poi le lettere di Saul Chaplin – reduce dall’esperienza di collaborazione alla produzione del film “West Side Story” – che scrive di Jerome Robbins, con il quale Lenny ebbe una relazione durata tutta la vita, fruttuosa per entrambi, ma, come tutte le relazioni con Robbins, pericolosa:

    Jerry, naturalmente, è pieno di talento. Ma ha altrettanto talento per distruggere le persone e le relazioni. Quanto a me, una cosa non compensa l’altra. E’ probabilmente la persona più biasimevole che abbia mai conosciuto. Quindi, quando finalmente arriverà il giorno che mi sarò liberato da “West Side Story”, mi prenderò l’impegno di non menzionare mai più il suo nome o pensare a lui. Quello, davvero, sarà un giorno di grandi festeggiamenti.

    Jerry, in effetti, era un cliente difficile. Appare quindi molto interessante, come ci riferisce Simeone, citando il produttore musicale di Lenny, sapere che “Felicia aveva un’importanza fondamentale per la sua stabilità, esattamente come Jerry Robbins, le sole due persone in grado di fare sudare freddo Lenny”. Sì, anche Felicia poteva essere un cliente difficile.
    In tutto il volume spiccano tracce dello spirito e dell’intelligenza di Lenny.
    Da una lettera inviata a Copland, su Anton Bruckner: “Insopportabilmente noioso, senza personalità, strano e ottuso, mascherato dietro un velo di solennità”.

    Da una lettera a Felicia, su Lillian Hellman: “Avevo dimenticato il fascino di Lil: parlarle al telefono mi ha fatto ricordare perché si rimane appiccicati a lei: ha una grande capacità d’attrazione, malgrado tutto, e una combinazione di forza e debolezza che in una donna è irresistibile”.
    Da una lettera a Felicia, su Herbert von Karajan: “Il mio primo nazista”.

    Putroppo Simeone ha diluito l’oro presente nel suo libro con inutili e insignificanti lettere – spesso delle semplici note – da e per Lenny. Ecco un telegramma del 1957: “Caro Lenny, ho sentito eccezionali recensioni del tuo nuovo show [“West Side Story”]. Le mie migliori congratulazioni a te e a Jerry. Saluti, Cole Porter”. A quanto sembra, ogni persona famosa viene automaticamente inclusa. E l’apparato critico di Simeone è incoerente: alcune note forniscono informazioni che tutti sanno, mentre mancano proprio dove le si vorrebbe. Le lettere dove si discute di musica sono molto impegnative – qui appare il Lenny più serio – ma ce ne dovrebbero essere di più (se esistono). Alcune amicizie – come quella con il compositore David Diamond o con il clarinettista David Oppenheim (primo marito di Judy Holliday) – sono ben rappresentate, ma altre no. Sarebbe stato desiderabile avere più lettere da e per i suoi parenti e fratelli. Non c’è praticamente nessuna lettera tra Bernstein e i suoi tre figli – per loro stessa decisione, suppongo.

    Simeone riferisce che si sono conservate oltre diecimila (!) lettere di Bernstein, e fare una selezione di appena seicentocinquanta deve essere stata un’impresa davvero ardua. Il risultato non è perfetto, ma il vero problema non sta nel curatore del libro bensì nello stesso Lenny: spessissimo ci appare come un uomo piuttosto superficiale e tutt’altro che integerrimo. La sua amica e celebre musicista Nadia Boulanger, quando Lenny le inviò lo spartito di “West Side Story”, rispose elegantemente con queste parole: “Merci – Sono rimasta incantata dalla sua scintillante natura; forse la facilità è un pericolo, ma è sufficiente esserne consapevoli e seguirla… Spesso ti penso, e penso ai problemi e alle tentazioni che i tuoi doni ti provocano – divergenti e convergenti”. Lenny era consapevole del pericolo, ma era inerme di fronte alle tentazioni.

    Sì, voleva essere tutto per tutti; ma dobbiamo ricordare come sia splendidamente riuscito a essere così tanto per molti. E’ stato uno dei più acclamati direttori d’orchestra dei suoi tempi. E’ stato un compositore di successo, anche se tendiamo a considerare la sua musica leggera – i musical – più seriamente di quanto facciamo con la sua musica più impegnata. Voglio dire, non preferireste ascoltare “On the Town” o “Candide” piuttosto che “Kaddish Symphony” o “Dybbuk”? E’ stato un appassionato patrocinatore della musica e un formidabile e influente promotore, tanto nei suoi scritti che nelle sue apparizioni televisive. Il suo impulso fu sempre essenzialmente pedagogico (“Non mi creo un’impressione finché non l’ho condivisa”).

    Quali che fossero le sue stravaganze emotive, era un professionista eccezionale. Ho lavorato con lui una volta sola, negli anni Sessanta, come curatore del suo libro “The Infinite Variety of Music”. Era uno scrittore molto disponibile – talvolta in ritardo sulle consegne, ma, considerando i suoi enormi impegni, come non avrebbe potuto esserlo? Prendeva molto sul serio il suo lavoro di scrittore ed era pronto ad accogliere consigli e suggerimenti. Ed era riconoscente. Pochi mesi dopo l’uscita del libro, mi inviò un regalo di Natale. Perché non fui minimante sorpreso del fatto che si trattava di una copia dell’“Infinite Variety of Music”?

    di Robert Gottlieb

    Da The New York Review of Books.
    Copyright © 2013 by Robert Gottlieb

    (Traduzione di Aldo Piccato)