Con la clemenza zar Putin suggella un anno di grande forza

Massimo Boffa

Vladimir Putin si muove a volte, sulla scena pubblica, come un principe rinascimentale. E così ha giudicato essere giunto, per il potere sovrano, dopo il tempo della severità, quello della clemenza. La mossa a sorpresa con cui ha concesso la grazia a Mikhail Khodorkovsky, in prigione da dieci anni per frode fiscale e appropriazione indebita, invia diversi messaggi ai suoi interlocutori. In primo luogo, è il gesto magnanimo del vincitore nei confronti del vinto (anche se non piegato).

    Vladimir Putin si muove a volte, sulla scena pubblica, come un principe rinascimentale. E così ha giudicato essere giunto, per il potere sovrano, dopo il tempo della severità, quello della clemenza. La mossa a sorpresa con cui ha concesso la grazia a Mikhail Khodorkovsky, in prigione da dieci anni per frode fiscale e appropriazione indebita, invia diversi messaggi ai suoi interlocutori. In primo luogo, è il gesto magnanimo del vincitore nei confronti del vinto (anche se non piegato). Dal punto di vista storico, infatti, la presidenza Putin, soprattutto nel suo primo mandato, si è qualificata per la lotta contro lo strapotere degli oligarchi che, negli anni di Eltsin, facevano e disfacevano i governi russi; e il processo Khodorkovsky, condotto e replicato senza troppi scrupoli, di quella lotta è stato il drammatico culmine simbolico. Oggi in Russia non esistono più “oligarchi”, esistono miliardari, anche ricchissimi, i quali però non esercitano autonomamente e in prima persona il potere politico, come negli anni Novanta. Naturalmente nella scelta ha pesato anche, e non poco, la volontà di liberarsi di quello che era diventato un motivo di imbarazzo sulla scena internazionale e di lasciare senza troppi argomenti umanitari i molti nemici della Russia, tanto più alla vigilia dell’appuntamento olimpionico, immaginato come una vetrina dei successi del paese.

    L’amnistia, invece, varata per il ventesimo anniversario della Costituzione, da tempo era in calendario. E’ stata però votata dalla Duma e, come è noto, di rado il popolo e i suoi rappresentanti amano i gesti di clemenza. In questo caso il presidente ha dovuto esercitare la propria leadership per trovare un punto di equilibrio tra spinte di segno opposto. Ma troppo ghiotta era l’occasione per chiudere svariati contenziosi umanitari e quindi alla fine è prevalsa una variante allargata, con le Pussy Riot, gli attivisti di Greenpeace e alcuni degli arrestati nei disordini del maggio 2012. L’opposizione, facendo il proprio legittimo mestiere, lamenta che l’amnistia non sia stata più ampia. Ma l’uscita anticipata dal carcere di circa 25 mila persone non è mai una cattiva notizia e, nel confronto, l’Italia non può certo andare fiera.
    La clemenza di Putin arriva a coronare un mese di dicembre particolarmente intenso per il presidente russo, che nei giorni scorsi ha potuto affrontare la tradizionale maratona di domande e risposte con i giornalisti con l’agio di chi può esibire incontestabili successi. Un anno fa era apparso ingessato e sulla difensiva (correvano le voci sulla sua presunta malattia alla schiena), quest’anno è apparso brillante e sicuro di sé. Ne ha ben donde: nella guerra civile siriana la diplomazia russa ha svolto il ruolo di protagonista e nella crisi ucraina, di fronte alla pasticciata e poco generosa politica europea, ha potuto far valere i rapporti storici ed economici con il paese confinante.

    Ma è soprattutto nel suo discorso sullo stato della nazione, pronunciato il 12 dicembre di fronte al Parlamento (passato ovviamente quasi inosservato sulla nostra stampa), che Putin ha voluto abbozzare i lineamenti di un ambizioso manifesto politico-culturale. Citando il filosofo Nikolaj Berdjaev, ha fatto orgogliosamente ed esplicitamente proprio il punto di vista “conservatore”, proponendosi come difensore dei valori della tradizione, insidiati dalle ideologie progressiste di America ed Europa. Certo, lo ha fatto con la necessaria prudenza, ricordando che la Russia non vuole insegnare agli altri paesi come si deve vivere e pretendendo in cambio che nessuno le venga a fare lezioni in casa sua. Ma quando ha preso di petto certe derive nichiliste occidentali (“in cui non si distingue il bene dal male”), ha anche voluto implicitamente tracciare una linea netta sul problema, oggi così sensibile non soltanto in Russia, delle minoranze sessuali: devono godere di diritti uguali, non però pretendere status speciali né imporre al discorso pubblico il loro punto di vista. Con ciò candidandosi, per così dire, nel conflitto culturale internazionale, a campione delle maggioranze silenziose e dei loro sentimenti. Ricambiato, almeno finora, dal consenso dalla maggioranza dei propri concittadini.