L'effetto farfalla inquieta Draghi

David Carretta

La partenza di Jörg Asmussen dalla Banca centrale europea è “un’enorme perdita per il Consiglio esecutivo e per me stesso personalmente. Andavamo molto, molto, molto d’accordo”. Mario Draghi non poteva essere più esplicito, ieri, davanti al Parlamento europeo, sulla decisione di Asmussen di abbandonare Francoforte per tornare a Berlino come sottosegretario al Lavoro in quota socialdemocratici nel governo Merkel III.

    Bruxelles. La partenza di Jörg Asmussen dalla Banca centrale europea è “un’enorme perdita per il Consiglio esecutivo e per me stesso personalmente. Andavamo molto, molto, molto d’accordo”. Mario Draghi non poteva essere più esplicito, ieri, davanti al Parlamento europeo, sulla decisione di Asmussen di abbandonare Francoforte per tornare a Berlino come sottosegretario al Lavoro in quota socialdemocratici nel governo Merkel III. C’è il pericolo di vedersi piombare nel board della Bce un super-falco tedesco, come l’attuale vicepresidente della Bundesbank Sabine Lautenschläger, favorita della coppia Schäuble-Weidmann per succedere a Asmussen. C’è il rischio di indebolire la posizione europeista della Bce sull’Unione bancaria, nel momento in cui i ministri delle Finanze negoziano gli ultimi dettagli del Meccanismo unico di risoluzione delle banche in crisi. Soprattutto, con il trasloco di Asmussen, Draghi perde un alleato formidabile di fronte all’opinione pubblica tedesca e un canale di comunicazione permanente e influente con Angela Merkel. “I contatti di Asmussen nel governo tedesco mancheranno sicuramente” alla Bce, ha spiegato l’economista di Ing Carsten Brzeski a Bloomberg: “Agiva come contrappeso, difendendo in modo convinto la linea della Bce”.

    Ufficialmente le ragioni di Asmussen sono “personali”: con due figli piccoli a Berlino, l’impegno a Francoforte era diventato troppo duro. Nei corridoi europei, i più europeisti sospettano un affaticamento politico del membro tedesco del board della Bce, chiamato costantemente a mediare tra il campo dei falchi, capitanati dal presidente della BuBa Jens Weidmann, e quello delle colombe, diventato maggioritario in questi anni di crisi dell’euro. Del resto, lo stesso Asmussen aveva votato contro la decisione di novembre di tagliare il costo del denaro allo 0,25 per cento. Dopo l’ex padrone della BuBa, Axel Weber, e l’ex capoeconomista della Bce, Jürgen Stark, Asmussen è il terzo tedesco ad abbandonare l’Eurotower dall’inizio della crisi della zona euro. Di certo, il suo ritorno al governo mette in discussione la pretesa ortodossia tedesca sull’indipendenza della Banca centrale.

    Dal 2008 al 2011, Asmussen era stato vice ministro delle Finanze del governo Merkel. La pratica delle porte scorrevoli – il passaggio da posizioni di governo a ruoli nelle Banche centrali – è evidentemente diffusa in Germania: Weidmann era stato il più ascoltato consigliere economico di Merkel alla cancelleria, prima di essere nominato alla testa della BuBa.

    A differenza di Weidmann, Asmussen non può essere classificato come un falco. Semmai rientra nella categoria sempre più rara di europeista convinto, pronto a utilizzare la creatività pur di preservare la zona euro nel suo insieme. Dopo aver difeso la Long Term Refinancing Operation (l’iniezione di liquidità da mille miliardi del dicembre 2011), Asmussen ha votato a favore dell’Outright Monetary Transactions (il cosiddetto “scudo anti spread” annunciato nel settembre dello scorso anno) e di due precedenti tagli dei tassi. Secondo i ben informati, senza i pranzi del lunedì a Berlino tra Asmussen e la cancelliera, sarebbe stato impossibile forgiare il patto tra Merkel e Draghi che nell’estate dello scorso anno ha permesso di salvare la zona euro con lo scudo anti spread. Non è un caso se era stato Asmussen a difendere davanti alla Corte costituzionale tedesca l’Omt dagli attacchi politico-giuridici-monetari di Weidmann.

    Asmussen “ci mancherà molto”, ha spiegato Draghi: “Il suo contributo al lavoro del board è stato inestimabile”. Tornando a Berlino, Asmussen ha lasciato incompiuti alcuni dossier chiave, come la pubblicazione dei verbali della Bce e il completamento dell’Unione bancaria. All’Ecofin, aveva assunto il ruolo di argine contro il tentativo del ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, di annacquare il Meccanismo unico di risoluzione per ristrutturare o chiudere le banche in crisi. Rimasto più solo, ieri Draghi è intervenuto personalmente per criticare l’accordo di massima raggiunto dai governi in vista dell’Ecofin, dicendosi “preoccupato” che il Meccanismo sia “eccessivamente complesso” e con paracaduti finanziari “non adeguati”. Per il presidente della Bce, “non dobbiamo creare un Meccanismo unico di risoluzione che sia unico solo di nome”.