Scrittori impiccioni vs Stato spione

Redazione

Con pochi clic i governi possono accedere al vostro cellulare, al vostro indirizzo email, ai vostri social network e alle ricerche che fate su internet”, denunciano via appello più di cinquecento importanti scrittori da tutto il mondo. Martin Amis, Julian Barnes, Arundhati Roy, Ian McEwan, Roddy Doyle, Amos Oz, David Grossman, Günter Grass, Don DeLillo e moltissimi altri.

    “Con pochi clic i governi possono accedere al vostro cellulare, al vostro indirizzo email, ai vostri social network e alle ricerche che fate su internet”, denunciano via appello più di cinquecento importanti scrittori da tutto il mondo. Martin Amis, Julian Barnes, Arundhati Roy, Ian McEwan, Roddy Doyle, Amos Oz, David Grossman, Günter Grass, Don DeLillo e moltissimi altri. Chiedono una carta dei diritti virtuali, non vogliono essere spiati, spiegano che dobbiamo tutti batterci contro la sorveglianza della nostra sfera privata e pretendono, con la forza intellettuale dei premi Nobel, con la forza morale data dall’essere cantori degli individui e delle loro storie, che i diritti democratici siano applicati nel mondo virtuale come nel mondo reale.

    Compatti, contestano il furto delle nostre vite: non è accettabile, non è democratico, ma lo fanno con una tensione morale stonata, indicano con troppa elementare assolutezza dove si trovino i cattivi: gli scrittori, abituati da sempre al furto delle proprie vite e di quelle degli altri, furti eseguiti in ogni modo possibile, per la sete di storie e di mondo, si indignano perché qualcuno, per ragioni non di vanità né di curiosità, strappa loro il monopolio dell’impiccionaggio. Qualcun altro si accaparra le storie, di cui loro avrebbero tantissimo bisogno, e mette a rischio il mestiere di romanziere.

    Così come Facebook, il social network dei fatti altrui, si scaglia contro la Nsa con tale foga da far pensare che sia per ragioni di guerra per la supremazia. Vogliamo tutti spiare, ma non essere spiati. Anzi vogliamo essere anche gli unici a spiare, solo così ci sembra che la democrazia sia salva. Ma forse i cinquecentosessantadue scrittori hanno avuto la stessa idea: un grande romanzo collettivo sul Datagate.