Rohani non muove passo senza suo fratello (e altri cinque)

Tatiana Boutourline

“Le nostre centrifughe gireranno bene solo quando anche l’economia delle persone girerà nella giusta direzione”. E’ con frasi come questa che Hassan Rohani lo scorso giugno ha convinto gli iraniani. Sei mesi dopo “lo sceicco della diplomazia” ha rotto il ghiaccio con Barack Obama e rilanciato le relazioni tra Teheran e la comunità internazionale a Ginevra. E’ l’inizio del suo “Gorbaciov moment” o l’acme di una speranza collettiva destinata a morire?

    “Le nostre centrifughe gireranno bene solo quando anche l’economia delle persone girerà nella giusta direzione”. E’ con frasi come questa che Hassan Rohani lo scorso giugno ha convinto gli iraniani. Sei mesi dopo “lo sceicco della diplomazia” ha rotto il ghiaccio con Barack Obama e rilanciato le relazioni tra Teheran e la comunità internazionale a Ginevra. E’ l’inizio del suo “Gorbaciov moment” o l’acme di una speranza collettiva destinata a morire? L’Arabia Saudita non pare intenzionata a offrire a Rohani il beneficio del dubbio e il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman, intervistato ieri dal Foglio, non ha dubbi: Gerusalemme è contraria all’accordo di Ginevra e osserva come Cassandra la nuova corsa verso l’eldorado iraniano di europei, giapponesi e indiani.

    Un giornalista iraniano vicino all’entourage del presidente Rohani ha spiegato al Foglio la sua strategia per riformare l’Iran senza destabilizzare il regime e alienarsi il sostegno dell’ayatollah Ali Khamenei. “Ogni ingranaggio della macchina va oliato”: vanno corteggiati gli interlocutori stranieri (“Is he for real?”, chiedeva il Financial Times in un’intervista a Rohani in cui il messaggio da Teheran era lampante: venite, siamo pronti a fare affari) e vanno sedotti gli iraniani con una comunicazione il più possibile onesta: la direttiva dall’alto è “non indorare la pillola”, ma all’occorrenza anche pop come nel video à la “yes we can” dei primi cento giorni. Secondo la fonte del Foglio Rohani è stato irremovibile sulla scelta di alcuni esponenti del suo staff. Per la sua offensiva mediatica – Rohani è persuaso che la forma in politica conti quanto la sostanza – ha messo insieme un gruppo di sei collaboratori tra cui due registi e l’ex direttore di un quotidiano. Dirigono il gruppo Mohammed Reza Sadegh e Hossein Fereidoun, il fratello di Rohani. Hanno entrambi la fama di esecutori ostinati. Sadegh è stato a lungo consigliere dell’ex presidente Hassan Rafsanjani (“per Rafsanjani, Rohani è come un figlio”) e ha un rapporto complicato con i riformisti che lo giudicano sin troppo spregiudicato. Fereidoun è l’ombra del presidente, l’unico di cui si fidi fino in fondo. Dove va Rohani, va il fratello, che si tratti dell’Assemblea generale dell’Onu o di negoziare con i 5+1. Un altro personaggio chiave è Bijan Zanganeh (“uno a cui nessuno è riuscito ancora a trovare uno scheletro nell’armadio”), l’uomo che negli anni Novanta portò a Teheran Total, Royal Dutch Shell, Eni e Statoil: è tornato al ministero del Petrolio e ha già ripreso a tessere rapporti con le maggiori società europee e indirettamente – ha rivelato al Financial Times – anche con quelle americane (“non credo sarebbero felici se io menzionassi i loro nomi”, ha detto in un’intervista al sito del suo ministero). Ieri a Vienna a una riunione dell’Opec ha esordito battagliero: l’obiettivo dell’Iran è tornare a produrre 4 milioni di barili al giorno (l’Iran è sceso a 1,1 milioni di barili in questi anni) anche se il prezzo del petrolio dovesse scendere a 20 dollari al barile. Sicumera a parte, Zanganeh sa che la rivoluzione dello shale gas ha moltiplicato le possibilità di investimento e che i termini dei contratti offerti in passato da Teheran erano poco appetibili, però c’è di che sperare. Il mese scorso il direttore della divisione esplorazioni di Total per il medio oriente, Arnaud Breuillac, ha incontrato a Teheran Rokneddin Javadi, il capo della National Iranian Oil Company, e Christophe de Margerie, direttore generale di Total, ha risposto: “Certo!”, a chi gli domandava se il suo gruppo fosse intenzionato a tornare in Iran una volta cadute le sanzioni. Nel frattempo a Teheran la fiera internazionale dell’Automobile ha registrato numeri da capogiro: mai visti da otto anni a questa parte tanti stranieri girare per gli stand di una manifestazione iraniana.