Previti l'alfaniano

Salvatore Merlo

Non meno persuaso di Gianni Letta e Fedele Confalonieri, Cesare Previti considera Enrico Letta “un campione, un cavallo di razza”, per lui, come per gli altri amici e famigliari di Silvio Berlusconi, la stabilità di governo è una virtù di cui tener conto. E così, nel momento della scelta, trovandosi a dover suggerire, a esprimere un parere, un’opinione nel canaio animatissimo del Pdl che stava per scindersi, osservato da un lato il corpo donchisciottesco del mai amato Niccolò Ghedini, e dall’altro il viso sorridente e per lui amichevole di Beatrice Lorenzin, l’ex ministro della Difesa non ha avuto dubbi, come pochi dubbi ha ovviamente avuto anche Letta zio: meglio Angelino Alfano.

    Non meno persuaso di Gianni Letta e Fedele Confalonieri, Cesare Previti considera Enrico Letta “un campione, un cavallo di razza”, per lui, come per gli altri amici e famigliari di Silvio Berlusconi, la stabilità di governo è una virtù di cui tener conto. E così, nel momento della scelta, trovandosi a dover suggerire, a esprimere un parere, un’opinione nel canaio animatissimo del Pdl che stava per scindersi, osservato da un lato il corpo donchisciottesco del mai amato Niccolò Ghedini, e dall’altro il viso sorridente e per lui amichevole di Beatrice Lorenzin, l’ex ministro della Difesa non ha avuto dubbi, come pochi dubbi ha ovviamente avuto anche Letta zio: meglio Angelino Alfano. E malgrado Previti abbia talvolta spinto il suo ironico e romanesco disincanto fino a dubitare dell’altalenante “quid” del giovane Alfano, sin dai giorni in cui germogliavano i semi della strana scissione, il vecchio avvocato ha disposto sullo scacchiere le sue truppe, le sue amicizie politiche, la sua rete di relazioni e persino la sua vivace intelligenza strategica dalla parte del nuovo centrodestra. Ed è vero che Jole Santelli, sottosegretario al Lavoro della grande coalizione, giovane avvocatessa cresciuta nello studio Previti, ha preferito Forza Italia – “però sono amica di Alfano e rimango piantata come un chiodo nel governo di Letta”, precisa lei – ma il gruppo Previti sta tutto con Alfano e Letta nipote. E’ Roma la chiave di ogni cosa, è Roma la città di  Previti, ed è a Roma che Gianfranco Sammarco, il suo potentissimo e schivo cognato, deputato, ex coordinatore cittadino del Pdl, padrino del ministro Lorenzin, un politico che parla pochissimo, che mai rilascia interviste e di cui si racconta che “sta a Previti come il servo muto Bernardo stava a Zorro”; ebbene Sammarco si è schierato con il partito ministeriale di Alfano, di Lupi e di Quagliariello. Dunque la trama del potere rivela, per così dire, una questione aristotelica, un sillogismo. Eccolo: “Previti è amico di Berlusconi. Alfano sta con Previti. Berlusconi sta con Alfano”. Associazione logica che riflette la natura sottile, ambigua e trasversale della nuova categoria del potere politico italiano, l’enricolettismo.

    Via Sant’Andrea delle Fratte, il Nazareno, è una di quelle strade del centro di Roma che scende come un’ansa di fiume verso il quadrilatero dei palazzi della politica, c’è la sede del Partito democratico e poco più avanti, di fronte a uno dei barbieri più famosi della capitale, protetti da un bel portone e da una facciata gentilizia, ci sono anche gli uffici che Fedele Confalonieri, a Roma, divide con Gianni Letta. E lì non è difficile incontrare spesso anche Cesare Previti che entra, o che esce. Tutti e tre questi uomini così diversi tra loro amano Berlusconi con una sorta d’orgogliosa disperazione, e per questo vogliono salvare il Cavaliere a modo loro, anche da se stesso, se necessario. I loro incontri avvengono in un silenzio di roccaforte, disteso e uguale, intervallato da battute di spirito confidenziali, come succede solo tra vecchi amici, intimi, solidali. Ed è lì, al Nazareno, tra queste personalità che non sono né falchi né colombe, ma consanguinei del Cavaliere, legati a Berlusconi da una fedeltà incoercibile, che la singolare scissione di Alfano, e il sostegno alla grande coalizione di Letta il Giovane, è stata argomento di lunghe, animate, dubbiose conversazioni, sempre precipitate su un piano di avvolgente condiscendenza nei confronti delle larghe intese e del governo. E sempre l’avvocato Previti ha suggerito doppie vie, e alternative, sempre arcuate, sottili e inserite in una fasciante logica di sistema e di relazioni, persino nella difesa giudiziaria del Cavaliere, mai distinta dai destini della grande coalizione, contrapponendosi per ciò non di rado e con vivacità di linguaggio agli spasmi e ai cerchi di fuoco disegnati dall’onorevole e avvocato Ghedini.

    Il fascino di Previti risiede in quella che si potrebbe chiamare la caratterizzazione della schiettezza. E’ un uomo impetuoso, il che s’inquadra nella psicologia romana; possiede un senso istintivo dell’umorismo e un curvo senso del potere, e per ciò ha sùbito elaborato, prima del Cavaliere (ammesso che Berlusconi ci abbia mai pensato), la teoria del doppio binario, del bipolarismo in casa propria, del partito di lotta e di quello di governo, tutto insieme, tutto distante, eppure tutto molto vicino, “Letta non può essere abbandonato e Alfano al governo è un asset strategico”. E d’altra parte quest’uomo, la cui vita è così intrecciata con quella del Cavaliere, ha sempre avuto elaboratissime parole di stima nei confronti del presidente del Consiglio, leader non soltanto del governo, ma espressione d’un potere sinuoso, esteso fin dentro la residenza di Arcore, e non soltanto per i buoni uffici dello zio Gianni. Mai Berlusconi, che su Giorgio Napolitano ha sviluppato un’ampia e non sempre benevola letteratura di corte, si fa sfuggire una parola, un cenno, una contrazione muscolare che non sia un sorriso quando parla del giovane Letta. E così anche Previti, che al governo delle larghe intese ha consegnato la sua preziosa Jole Santelli, sottosegretario inamovibile, e un ministro, Beatrice Lorenzin, mentre al partito di Alfano ha ceduto l’intero blocco delle sue amicizie e relazioni capitoline. Non poco. E d’altra parte, nei momenti di passaggio e di crisi, lo spirito, se non soffia dove vuole, si rifugia dove può. Ed Enrico Letta è anche un rifugio. Perché il lettismo, l’enricolettismo, non è una professione di fede, una vocazione, un vuoto, un’idea divorante, ma è una trama immateriale eppure solidissima di interessi e rapporti, incolore, pervasiva, discreta, trasversale, mai pungolata dall’esibizionismo. E’ come il rovescio di un ricamo, un groviglio di fili e di nodi. E al suo interno, il profilo del potere si fa sfumato, inconoscibile, il mistero della sua identità quieto e rassicurante. Cesare Previti ci si è installato e in qualche modo, così, con la sua sola presenza fisica, assieme allo zio Gianni Letta, tiene dentro anche il suo imprevedibile amico Cavaliere, bon gré mal gré, lettiano e antilettiano, di lotta e di governo, leader di Forza Italia e guida monumentalizzata dei diversamente berlusconiani che stanno al governo.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.