Lo sviluppo langue, ecco servita la via giuridica per riformare l'Europa

Paolo Savona

Sul Financial Times di martedì scorso è apparsa la seguente notizia: “I gruppi dominanti della Cdu della cancelliera Angela Merkel hanno dichiarato di non gradire la proposta dei potenziali partner della coalizione di tenere un referendum in Germania sui principali problemi europei”. La notizia è esaminata con attenzione dallo stesso quotidiano, dove viene sottolineato, insieme alla “consueta” posizione dei tedeschi di non voler pagare i debiti altrui, che gli elettori si lamentano della “carenza di democrazia” nell’Unione europea.

    Sul Financial Times di martedì scorso è apparsa la seguente notizia: “I gruppi dominanti della Cdu della cancelliera Angela Merkel hanno dichiarato di non gradire la proposta dei potenziali partner della coalizione di tenere un referendum in Germania sui principali problemi europei”. La notizia è esaminata con attenzione dallo stesso quotidiano, dove viene sottolineato, insieme alla “consueta” posizione dei tedeschi di non voler pagare i debiti altrui, che gli elettori si lamentano della “carenza di democrazia” nell’Unione europea. Commentando la pubblicazione sul Foglio dello studio di Giuseppe Guarino sull’illegittimità della decisione di azzerare il parametro del deficit di bilancio pubblico del 3 per cento stabilito a Maastricht e sul mancato rispetto dell’oggetto principale del Trattato del 1992 e di quelli che sono seguiti che prevedeva un maggiore sviluppo (e tante altre belle cose) mentre ha prodotto deflazione e disoccupazione, Angelo de Mattia, con la sua ben nota arguzia, non solo ha asseverato la fondatezza dell’analisi giuridica di Guarino, ma ha aggiunto che “si è arrivati al Fiscal compact con la definitiva espropriazione del diritto dei cittadini di influire sugli obblighi facenti capo al proprio paese di concorrere a delineare le rispettive politiche economiche, in particolare con l’obiettivo, oggi, della crescita”. In breve, la stessa richiesta degli elettori tedeschi alla quale i loro attuali gruppi dirigenti rispondono con un diniego.

    Il problema sollevato è centrale nella costruzione dell’Ue e le attuali reazioni contro l’architettura e il funzionamento dell’Unione sono frutto proprio del mancato ricorso alla volontà popolare che consente agli elettori di dire che essi non hanno colpe per i modi in cui funziona l’Eurosistema e l’Unione, senza che possano essere smentiti con i risultati di un referendum. E’ pur vero che i referendum sui Trattati non sono ammessi in Italia, ma per le modifiche della Costituzione, anche negli aspetti economici, non sono solo legittimi, ma doverosi e l’euro e il Fiscal compact sono profondi mutamenti costituzionali. Ciò avviene per il riemergere di una filosofia della democrazia impropria e pericolosa: che il popolo non capisca queste cose e non sappia valutare i suoi interessi di lungo periodo, mentre i gruppi dirigenti abbiano questa capacità; questa è una matrice di stampo monarchico-assolutista e dittatoriale che, per essere sconfitta, sono occorse rivoluzioni di popolo e due guerre mondiali.

    Se lasciamo la via della legalità normativa negando la validità della denuncia di Guarino che una norma di rango inferiore, il regolamento, non possa modificare una norma di rango superiore, il Trattato, e se ignoriamo che l’obbligo di adempiere agli impegni presi nasce dal rispetto dell’oggetto concordato, salta ogni parvenza di stato di diritto e di democrazia per scivolare nell’arbitrio delle dittature illuminate, anche se queste fossero ispirate alle rispettabili idee di Babeuf e Buonarroti. Non dobbiamo mai dimenticare che la democrazia, secondo un’idea che se ben ricordo ho tratto da Giovanni Sartori, è il diritto del popolo a prendere anche decisioni sbagliate, purché ovviamente sia disposto ad assumersi la responsabilità degli errori. E’ pericolosissimo per i sistemi di libertà che qualcuno si creda talmente presuntuoso da ritenere di poter impedire che il popolo sbagli e sia legittimato ad agire in loro vece forzando le scelte senza passare dal consenso di almeno una maggioranza degli elettori terrorizzandoli nel diffondere timori di cadere in un baratro economico, come accade attualmente in  Italia e nel resto d’Europa. L’economia non è una scienza esatta come per certi versi è il diritto. Ribadisco quanto già scritto su queste stesse colonne, che la via economica alla riforma europea ha mostrato i suoi limiti e non resta ora che seguire la via giuridica di invocare il rispetto degli accordi, nell’oggetto e delle forme corrette.