Fiaccato dai repubblicani, Obama adesso torna esitante anche sul G20

Domenico Lombardi

Rimandato di pochi mesi il nuovo confronto con la Camera bassa, in questi giorni la Casa Bianca tira le somme della battaglia congressuale che, se pure non ha portato la più grande economia del mondo a un passo dal baratro, ha  segnato irreversibilmente il secondo mandato di Barack Obama. A meno di un anno dalla rielezione, appare ormai chiaro ai consiglieri di Pennsylvania Avenue che il nuovo mandato presidenziale consisterà nell’erigere un saldo anello di recinzione sulle riforme conseguite nel primo mandato, con l’obiettivo di consolidarle politicamente e assicurarne la piena attuazione entro la scadenza del secondo quadriennio.

    Rimandato di pochi mesi il nuovo confronto con la Camera bassa, in questi giorni la Casa Bianca tira le somme della battaglia congressuale che, se pure non ha portato la più grande economia del mondo a un passo dal baratro, ha  segnato irreversibilmente il secondo mandato di Barack Obama. A meno di un anno dalla rielezione, appare ormai chiaro ai consiglieri di Pennsylvania Avenue che il nuovo mandato presidenziale consisterà nell’erigere un saldo anello di recinzione sulle riforme conseguite nel primo mandato, con l’obiettivo di consolidarle politicamente e assicurarne la piena attuazione entro la scadenza del secondo quadriennio.

    Sul fronte economico-finanziario, i risultati dell’Amministrazione si riassumono in due parole: Obamacare, la riforma sanitaria, e Dodd-Frank, la nuova legge bancaria. La riforma sanitaria è stata promulgata nel luglio 2010, un anno dopo l’insediamento di Obama alla Casa Bianca. Pur operativa, il 42 per cento degli americani sembra ignorarlo del tutto secondo un recente sondaggio, mentre il 51 per cento dei giovani addirittura ignora che la legge esista. Sinora, l’Obamacare è uscita indenne nonostante il recente confronto con la Camera bassa, due elezioni congressuali, e una richiesta di giudizio della Corte suprema.

    Sul versante finanziario, la nuova legge bancaria, promulgata nell’ottobre 2010 in risposta alle falle nella Vigilanza bancaria e finanziaria emerse nella crisi del 2007-’09, ha richiesto tempi di attuazione piuttosto estesi. Riflettendo l’accresciuta complessità del sistema finanziario che intende regolare, la Dodd-Frank, lunga 828 pagine, prevede l’attuazione di 398 regolamenti da parte delle molteplici agenzie federali con responsabilità di vigilanza e 87 studi che, una volta conclusi, metteranno presumibilmente in evidenza l’opportunità di ulteriore regolamentazione. Alcuni studi legali stimano che, nel complesso, il lavoro preparatorio svolto dalle agenzie federali sia all’incirca a metà dell’opera. Da qui si intuisce l’ansia velata dello Studio ovale che intende lasciare all’America una piattaforma regolamentare moderna dopo il disastro ereditato con la crisi finanziaria.

    Eppure, per consolidare la sua eredità, oltre a una nuova legge bancaria Obama deve soprattutto consegnare al successore un’economia in stabile ripresa. Con la politica fiscale inutilizzabile a causa dell’aspro confronto congressuale, con il nuovo segretario al Tesoro, Jack Lew, che ha dato prova di grandi virtuosismi tecnici nei negoziati con il Campidoglio, ma anche di debolezza nella sottostante regia politica che la Casa Bianca ha dovuto assumere interamente sulle proprie spalle, il ruolo della Fed sarà ancora più critico. Il prossimo capo della Fed, Janet Yellen, di cui il Senato avvierà il processo di conferma la prossima settimana, è noto per il fatto di seguire con attenzione sviluppi e performance del mercato del lavoro. Questa inclinazione la rende particolarmente gradita alla Casa Bianca che si aspetta una politica monetaria orientata a gestire le fragilità e le incertezze di una ripresa economica inedita. L’ambizione del presidente Obama, tuttavia, fatica a contenersi nelle strettoie che l’ala oltranzista del Partito repubblicano ha previsto per il suo secondo mandato.

    I consiglieri dello Studio ovale stanno lavorando alacremente per finalizzare i negoziati per un grande accordo di libero scambio con le economie del Pacifico, che stringerebbe in una morsa l’economia di Pechino, intenzionalmente esclusa, e per il quale la Casa Bianca si aspetta di terminare i negoziati a breve. Galvanizzato inoltre dalla favorevole conclusione dei negoziati tra Ue e Canada, lo Studio ovale ha impartito disposizioni per proseguire i negoziati con Bruxelles per un’area transatlantica di libero scambio. Proprio la strategia di grandi accordi commerciali che ristabiliscano il ruolo da “pivot” degli Stati Uniti, generando solide prospettive di crescita per l’economia del paese, rappresenta il potenziale collante con l’ala moderata repubblicana che fornirebbe lo spazio politico necessario per conseguire nuovi traguardi. Sullo sfondo, la centralità del commercio nell’agenda internazionale della Casa Bianca sarà accompagnata dal graduale ripiegamento degli Stati Uniti dal G20, sui cui il presidente Obama aveva inizialmente investito il suo capitale politico. Tale riposizionamento strategico è simbolicamente rappresentato dal trasferimento di Mike Froman dal ruolo di sherpa per il G20 a quello di rappresentante del presidente per gli Affari commerciali internazionali. E’ emblematico che allo Studio ovale stiano valutando l’eventuale opportunità di partecipare al prossimo summit del G20, previsto tra un anno in Australia. Per un’infelice coincidenza, tale summit si terrà subito dopo quello dell’estremo oriente e quello dell’Apec, l’organizzazione per la liberalizzazione del commercio tra 21 paesi del Pacifico. Una cosa è certa: alla Casa Bianca hanno già deciso che il presidente non parteciperà a tutti e tre i summit.