Dopo Barilla anche Hallmark inciampa nell'equivoco antigay

Michela Maisti

E’ passato poco più di un mese dalle polemiche suscitate dalla parole del manager del brand italiano più conosciuto nel mondo, Guido Barilla, che nel corso di una trasmissione radiofonica si era lasciato sfuggire che no, una famiglia gay che mangia la pasta a tavola non si sarebbe mai vista nei suoi spot pubblicitari, che adesso anche il marketing della storica catena statunitense Hallmark – la stessa che per prima, qualche anno fa, mise in commercio biglietti d’auguri per le nozze gay – è finito nel mirino del mondo omosex.

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    E’ passato poco più di un mese dalle polemiche suscitate dalla parole del manager del brand italiano più conosciuto nel mondo, Guido Barilla, che nel corso di una trasmissione radiofonica si era lasciato sfuggire che no, una famiglia gay che mangia la pasta a tavola non si sarebbe mai vista nei suoi spot pubblicitari, che adesso anche il marketing della storica catena statunitense Hallmark – la stessa che per prima, qualche anno fa, mise in commercio biglietti d’auguri per le nozze gay – è finito nel mirino del mondo omosex. Mancano quasi due mesi a Natale e le aziende così come i grandi negozi, si sa, si portano sempre un po’ avanti con il lavoro. L’ha fatto anche Hallmark. Mettendo in commercio un biglietto di auguri sul quale fa la sua bella figura un maglione, uno di quelli che si indossa a Natale, specialmente nel mondo anglosassone (come quello un po’ da sfigato che Mark Darcy indossava al primo incontro con Bridget Jones nella omonima saga) con su scritta la strofa ripresa da un motivetto natalizio diffuso ormai in tutto il mondo, “Deck the Halls”.

    “Don we now our fun apparel!”, si legge sul maglione. “Fun” e non “gay” come invece è scritto nel testo originale della canzone. Ed è stato proprio a causa di questa scelta semantica che si sono rotti gli argini del politicamente corretto e che Hallmark si è – involontariamente – esposta all’indignazione di una valanga di clienti. Che non hanno tardato a far arrivare tutta la loro disapprovazione al brand via Facebook e Twitter: “Rispediremo al mittente tutti i prodotti acquistati da voi”, “con questa campagna pubblicitaria Hallmark ha deciso di diventare anti-gay. Non comprerò più i vostri biglietti”, “quello di Hallmark è un modo viscido di fare marketing” e via così.

    Grossolano, forse, l’errore di chi ha modificato la strofa credendo ingenuamente di usare un riguardo proprio al mondo gay. Almeno per le conseguenze che ha prodotto in termini di immagine. A poco, infatti, è valsa la risposta dell’azienda che ha ufficialmente giustificato così la sua scelta: “Quando la canzone fu tradotta dal gaelico all’inglese nel 1800 la parola “gay” stava a significare gioia e felicità. Oggi questo termine si presta a molteplici interpretazioni e ha assunto anche altri significati. Così, per evitare fraintendimenti, abbiamo pensato di sostituire la parola con un sinonimo”. “D’altronde – ha proseguito Hallmark – indossare maglioni natalizi come quello che appare sul nostro biglietto è una cosa divertente ed è proprio in ragione di questo che abbiamo trovato più appropriato usare la parola 'fun'”. L’effetto boomerang dell’eccessiva tutela nei confronti di alcune minoranze è anche questo. La vicenda infatti porta con sé una domanda: cosa sarebbe successo se Hallmark avesse rispettato la lettera del motivetto seguendo il solco della tradizione, senza apportare alcuna modifica?

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