Siamo tutti populisti

David Carretta

Noi parliamo alla pancia della gente, siamo populisti veri, non dobbiamo vergognarci”, ha detto Beppe Grillo per ricompattare i suoi dopo le liti e gli strappi nel Movimento 5 stelle, secondo la ricostruzione del Fatto quotidiano ché la riunione di martedì sera era rigorosamente a porte chiuse. Il populismo non è una malattia, è un punto di forza, tanto che nei corridoi di Bruxelles va forte un horror-fantasy che è sceneggiato più o meno così: nell’ultima settimana del maggio 2014, centinaia di milioni di europei vanno alle urne per eleggere i nuovi deputati dell’Europarlamento.

    Noi parliamo alla pancia della gente, siamo populisti veri, non dobbiamo vergognarci”, ha detto Beppe Grillo per ricompattare i suoi dopo le liti e gli strappi nel Movimento 5 stelle, secondo la ricostruzione del Fatto quotidiano ché la riunione di martedì sera era rigorosamente a porte chiuse. Il populismo non è una malattia, è un punto di forza, tanto che nei corridoi di Bruxelles va forte un horror-fantasy che è sceneggiato più o meno così: nell’ultima settimana del maggio 2014, centinaia di milioni di europei vanno alle urne per eleggere i nuovi deputati dell’Europarlamento. Stanchi di una crisi economica senza fine e spaventati dai continui sbarchi di migranti, dopo una campagna elettorale fiacca e incentrata sui temi nazionali, gli elettori europei decidono comunque di andare a depositare la scheda nell’urna. E infliggono uno schiaffo all’Europa. Alle dieci della sera di domenica 25 maggio i risultati sono senza appello: il Front national di Marine Le Pen è il primo partito in Francia, il Partito della libertà di Geert Wilders è in testa in Olanda, il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo ha fatto il pieno di voti in Italia, i Veri finlandesi sono la principale forza politica in Finlandia. Nel Regno Unito, l’Ukip ha superato i Tory e il Labour al grido di “fuori il Regno Unito dall’Unione europea!”. In Grecia, Alba dorata e Syriza – insieme – raccolgono la maggioranza assoluta. In Germania, Alternative für Deutschland supera lo sbarramento del 3 per cento necessario a entrare all’Europarlamento. In Ungheria, il Fidesz del neonazionalista Viktor Orbán ha sfiorato il 50 per cento, mentre i neonazisti del Jobbik hanno ottenuto più del 20 per cento. In Polonia torna uno dei terribili gemelli Kaczynski, Jaroslaw, con il suo partito ultracattolico e antieuropeo della Legge e della Giustizia. Alle tre del mattino di lunedì 26 maggio, dopo la ripartizione dei seggi tra i gruppi politici, il verdetto è definitivo: l’Europarlamento, e dunque l’Europa, sono ingovernabili. Anche uniti in una Grande coalizione, i partiti tradizionali – i popolari del Ppe, i socialisti del Pse, i liberali dell’Alde – non hanno la maggioranza. Nazionalisti, populisti, xenofobi, eurocritici, euroscettici, eurofobici, estremisti di destra e sinistra hanno ucciso il progetto di integrazione del continente.

    Nelle menti e nelle dichiarazioni delle classi dirigenti europee, questo horror-fantasy sulla catastrofe politica dell’Unione europea ha sostituito la molto più concreta catastrofe economica della zona euro come principale minaccia per i destini dell’Europa. Enrico Letta lo ha detto in un’intervista al New York Times la scorsa settimana: il prossimo Europarlamento rischia di non funzionare, se gli euroscettici otterranno più del 25 per cento dei seggi. Nel discorso sullo stato dell’Unione in settembre, il presidente della Commissione, José Manuel Barroso, ha lanciato un appello a tutti gli europeisti affinché si uniscano per difendere l’Europa, invece di continuare a criticare la sua persona. Le elezioni europee del prossimo anno potrebbero rappresentare “un momento di svolta per un European Tea Party”, ha scritto Gideon Rachman del Financial Times. Quando era presidente del Consiglio, Mario Monti aveva più volte chiesto ai leader europei di convocare un vertice straordinario a Roma per fermare l’ondata dell’euroscetticismo.

    La tendenza è confermata dai risultati di elezioni locali e sondaggi. Dopo aver conquistato Brignoles, il Front national (Fn) francese supera i gollisti dell’Ump e i socialisti di François Hollande nelle intenzioni di voto per le europee. In Austria, il Partito della libertà (Fpo) fondato da Jörg Haider ha conquistato più del 20 per cento dei voti nelle legislative di settembre. In Grecia, Syriza tallona nei sondaggi i conservatori del premier Antonis Samaras. Come se non bastasse, alcuni populisti antieuropei di destra si preparano a creare una grande Alleanza europea di “brutti, sporchi e cattivi”: una riunione organizzata da Le Pen e Wilders all’Aia in novembre potrebbe trasformarsi nel congresso di fondazione del “Partito europeo dei patriottici”. La Sinistra unitaria europea – la famiglia politica dei comunisti – ha scelto il più anti Bruxelles dei suoi leader come suo candidato alla presidenza della Commissione: il greco Alexis Tsipras. A sette mesi dalle elezioni europee, la ripresa economica è fragile e diversi paesi sono ancora in recessione. Cinque anni di crisi finanziaria hanno alimentato le tensioni politiche tra nord e sud. L’Europa viene abitualmente usata dai governi in carica come capro espiatorio dei fallimenti nazionali, oltre che europei. Insomma, la progressione delle forze populiste è reale. E il lavoro del prossimo Europarlamento, che con il trattato di Lisbona ha acquisito nuovi poteri, potrebbe complicarsi con l’arrivo di nuovi deputati antieuropei di destra e sinistra. Ma lo scenario di un’orda di euroscettici che nel maggio 2014 paralizzi o travolga Bruxelles e Strasburgo appare comunque improbabile.
    “Il successo degli euroscettici, se ci sarà, non sarà paneuropeo ma nazionale”, spiega al Foglio Thomas Klau, direttore dell’ufficio di Parigi dell’European Council on Foreign Relations. Merito dell’aritmetica elettorale nazionale e dello strano modo di funzionare delle istituzioni europee che, di fatto, hanno istituzionalizzato la Grande coalizione dei pro europei. Inoltre, “i nazionalisti hanno un problema. Sono nazionalisti”, come ha spiegato al Financial Times il politologo francese Joël Gombin: “E’ sempre difficile per loro allearsi con nazionalisti di altri paesi”. Il primo tentativo di formare un gruppo dell’estrema destra all’Europarlamento – Identità Tradizione e Sovranità – fallì miseramente nel 2007, quando Alessandra Mussolini insultò i rumeni che invadevano l’Italia, provocando la furia del partito Grande Romania. Il “tutti uniti per trasformare le prossime elezioni europee in un trionfo elettorale europeo contro Bruxelles” – l’obiettivo dichiarato di Wilders – potrebbe infrangersi contro le frontiere nazionali. Ma in Francia e nel Regno Unito un successo delle forze euroscettiche “rischia di porre un problema a livello nazionale”, dice Klau. E così i “commentatori francesi e inglesi sollevano l’allarme” per “riproporre i timori delle loro classi politiche”, salvo produrre una “distorsione della realtà”. Perché alla fine, “se si guarda alla situazione concreta paese per paese, non è scritto da nessuna parte che il numero globale di deputati europei di questa famiglia politica debba aumentare in modo così consistente”.

    Tra Le Pen e Wilders galeotto fu un pranzo ad aprile al ristorante la Grande Cascade del Bois de Boulogne a Parigi. Da mesi il leader del Partito della libertà in Olanda stava corteggiando l’erede del Front national. Entrambi sono finti biondi, carismatici, anti immigrazione e anti islam: dopo più di due ore di discussione a tavola, è scoppiato l’amore anche sull’odiata Europa. Le Pen e Wilders hanno messo da parte le loro molte divergenze per tentare di unire i populisti di destra nella “Alleanza europea per la libertà”. “L’embrione di un gruppo parlamentare è già costituito”, dice Marine Le Pen: l’obiettivo è riunire i “patrioti” per “combattere l’Ue che impone i suoi diktat contro l’opinione dei popoli”. Le discussioni coinvolgono i Democratici svedesi, la Fpo austriaca, il Vlaams Belang belga e alcuni esponenti della Lega nord (anche se il partito di Roberto Maroni è spaccato). “Abbiamo contatti con un membro dell’Ukip – aggiunge Le Pen – Accarezziamo la speranza di formare un gruppo nel prossimo Europarlamento. Sono molto ottimista”.

    In realtà, l’esercizio si sta dimostrando complicato, perché la geografia dell’anti-europeismo in Europa è molto varia e spesso contraddittoria. L’Ukip ufficialmente ha declinato l’invito del duo Le Pen-Wilders. Il suo leader, Nigel Farage, preferirebbe Beppe Grillo e la sua “narrazione molto euroscettica”: il “non leader” del Movimento 5 stelle era stato invitato (invano) a Londra per “un piatto di roast-beef e una pinta di birra”. “L’Ukip è un partito molto giovane: non ha la nostra maturità – spiega Le Pen – Ha paura di essere demonizzato, ma prima o poi si convincerà che siamo davanti a un appuntamento con la storia”. Ma nemmeno il Partito popolare danese e i Veri finlandesi vogliono avere nulla a che fare con il Fn francese, la Fpo austriaca o il Jobbik ungherese: troppo estremisti e vicini ai neonazisti, agli occhi degli scandinavi. Il partito neonazista greco di Alba dorata e il Jobbik ungherese sono messi al bando perfino da Le Pen figlia, nonostante il padre Jean-Marie sia ancora membro dell’alleanza di estrema destra europea. Alla fine, Alba dorata e Jobbik saranno esclusi dalla “Alleanza europea per la libertà” perché “non sono le nostre idee politiche”, annuncia Le Pen. Una parte della Fpo austriaca, dopo aver epurato gli elementi più estremisti, fatica ad allearsi con la Lega nord. Il malcelato razzismo dei padani è mal tollerato anche dall’Ukip: per continuare l’esperienza di un gruppo parlamentare comune a Strasburgo, Farage ha preteso l’espulsione di Mario Borghezio.

    La mappa dell’euroscetticismo è ancor più confusa, se si guardano gli estremi dello spettro politico a livello nazionale. In Francia, oltre al Fn di Le Pen, un elettore su dieci sembra intenzionato a votare per il Front de Gauche del tribuno Jean-Luc Mélenchon. In Olanda, i maoisti del Partito socialista sono la versione di sinistra del Partito della libertà di Wilders. In Germania, l’estrema sinistra della Linke è la formazione più antieuropeista presente nel nuovo Bundestag. In Austria, la lista del miliardario Frank Stronach (quasi il 6 per cento alle ultime elezioni) contende la bandiera antieuro alla Fpo, ma è aperta all’immigrazione e ha un programma liberal-libertario. I sistemi elettorali nazionali, inoltre, chiuderanno le porte dell’Europarlamento a diverse forze euroscettiche. Con la soglia di sbarramento al 4 per cento, la Lega è in bilico. Alba dorata è in caduta nei sondaggi. Gli euroscettici dei piccoli paesi invieranno a Bruxelles e Strasburgo al massimo un paio di parlamentari.

    A contare sono soprattutto i grandi paesi e, tra “quelli che pesano demograficamente”, alcuni non invieranno alcun europarlamentare anti Europa, ricorda Thomas Klau. “La Germania è il caso tipico: anche se Alternative für Deutschland dovesse entrare all’Europarlamento, l’immensa maggioranza dei deputati tedeschi verrà dai partiti tradizionali e pro europei. La Spagna – secondo Klau – è un altro esempio di paese che non manderà alcun deputato veramente euroscettico nella sua versione più dura”. In Polonia, il partito dei gemelli Kaczynski è più affine ai Tory di David Cameron che all’Ukip di Nigel Farage. Anche se in Francia dovesse vincere Le Pen, “nella maggior parte dei paesi membri, una maggioranza schiacciante di elettori voterà partiti che sostengono il principio dell’integrazione europea e che chiedono altri passi in avanti”, dice Klau.

    Le fortune elettorali e demoscopiche di nazionalisti, populisti ed estremisti sono cicliche. Il Fn aveva ottenuto il 10 per cento nelle elezioni europee del 2004, salvo dimezzare i suoi voti cinque anni dopo. I sondaggi in Olanda dicono che Wilders è allo stesso livello del 1999: attorno al 17 per cento. In Belgio, i nazional-regionalisti fiamminghi della Nva hanno preso il posto dell’estrema destra fiamminga del Vlaams Belang. Nel Regno Unito la ripresa dell’economia è stata accompagnata da una ripresa dei conservatori di David Cameron ai danni dell’Ukip di Farage. In Francia, la progressione di Marine Le Pen nei sondaggi è direttamente proporzionale al tracollo della popolarità del presidente François Hollande. Infine, ogni volta che l’appuntamento elettorale è stato presentato come un referendum sull’Ue o sull’euro – come le elezioni politiche in Olanda e quelle presidenziali in Finlandia nel 2012 – gli anti-europeisti sono stati schiacciati dai grandi partiti tradizionali pro europei.

    A rendere quasi immune l’Europa è anche il suo modo di funzionare. “L’Ue è governata da una grande coalizione politica, come la Svizzera, che si nasconde dietro a finzioni come l’interesse generale europeo o la somma di interessi nazionali”, dice Thomas Klau: all’Europarlamento, alla Commissione e al Consiglio “di fatto c’è un cartello dei partiti tradizionali di centrodestra e centrosinistra”, che “si rafforzerà dopo le elezioni europee” in caso di successo degli euroscettici. I popolari del Ppe, i socialisti del Pse e i liberali dell’Alde continueranno ad avere la maggioranza nelle tre istituzioni e a lavorare insieme per forgiare compromessi. Perfino i Tory britannici e i Verdi partecipano al gioco: le forze politiche che sono presenti nei governi nazionali sono costretti a muoversi nel gioco europeo. Ma il “cartello” degli europeisti rappresenta anche un pericolo, avverte Klau: “Se la Svizzera rende equilibrato il suo modello con il referendum, l’Europa non ha questa valvola di sicurezza democratica”. Risultato: “Se i grandi partiti classici fanno cartello, l’opposizione si può cristallizzare solo con i partiti di rigetto” dell’Europa, come quelli di Le Pen e Wilders.

    C’è un altro effetto secondario “politicamente nocivo” legato alla progressione degli antieuropei. “Se in paesi influenti come Francia e Regno Unito ci sarà uno choc euroscettico, gli altri partiti saranno tentati di reagire andando verso una posizione di reticenza ancora più forte sui passi supplementari dell’integrazione europea”, avverte Klau. Il britannico Cameron ha già ceduto alle pressioni dell’ala euroscettica dei Tory, promettendo un referendum “dentro o fuori” dall’Ue nel 2017, dopo che avrà rinegoziato la relazione del Regno Unito con Bruxelles. Il francese Hollande, rimasto scottato dal “no” di una parte dei suoi socialisti nel referendum del 2005 sul trattato costituzionale, non ha ancora presentato una dottrina coerente sull’Europa. Anzi, di fronte alla crescita di Le Pen nei sondaggi, Hollande si è rinchiuso in un mutismo assoluto sui temi europei. Il finlandese Jyrki Katainen, pur aspirando a una delle massime cariche europee in vista del grande ricambio ai vertici delle istituzioni del 2014, ha indurito le sue posizioni sui salvataggi, dopo il successo elettorale dei Veri finlandesi. Durante tutta la crisi, la cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha dovuto mediare tra l’europeismo ufficiale della classe dirigente della Cdu e un elettorato molto più scettico. Secondo Gideon Rachman, in un’Ue che sta ancora faticando a ricostruire la fiducia nell’euro, l’emergere di un Tea Party europeo potrebbe rivelarsi “un disastro”.