Perché il Togliatti di Macaluso mi sta simpatico

Giuliano Ferrara

Il libro su Togliatti di Emanuele Macaluso (Feltrinelli, in tutte le librerie) è sottile. Potrebbe sembrare una bizzarria senile, se Macaluso non fosse un giovanotto e se non avesse scelto un taglio di interpretazione intelligente e ambiguo, intelligente perché ambiguo, di questa figura storica per certi aspetti indecifrabile. Togliatti fu padre della Patria e internazionalista filosovietico; fu riformista non a chiacchiere e rivoluzionario; fu stalinista da Hotel Lux e profondo strutturatore della democrazia italiana; fu intellettuale di prim’ordine e rozzissimo agit prop di idee ristrette.

    Il libro su Togliatti di Emanuele Macaluso (Feltrinelli, in tutte le librerie) è sottile. Potrebbe sembrare una bizzarria senile, se Macaluso non fosse un giovanotto e se non avesse scelto un taglio di interpretazione intelligente e ambiguo, intelligente perché ambiguo, di questa figura storica per certi aspetti indecifrabile. Togliatti fu padre della Patria e internazionalista filosovietico; fu riformista non a chiacchiere e rivoluzionario; fu stalinista da Hotel Lux e profondo strutturatore della democrazia italiana; fu intellettuale di prim’ordine e rozzissimo agit prop di idee ristrette. Per Macaluso Togliatti, e in questo ha ragione, fu sempre nemico dei radical chic, della loro protostoria nello stesso tronco del Partito comunista, della loro prosopopea massimalista, del loro gusto ginnastico del movimento, del loro culturalismo di consumo e frou frou. Lui chiedeva loro di suonare il piffero per la rivoluzione, nel quale programma messo sotto accusa dallo scrittore Elio Vittorini forse un certo senso, magari regressivo, c’era, ma loro erano, e lo dimostrarono in seguito, pifferai nati, incantatori di serpenti, e il piffero (per riprendere il titolo del libro appena uscito di Luca Mastrantonio) lo hanno suonato sempre per la caricatura della rivoluzione, fino all’epigono allegro di Rodotà-tà-tà.

    L’idea che traspare dall’accurato racconto storico nelle pieghe dell’avventura comunista italiana, con riscontri documentali cercati con il lanternino e trovati infallibilmente, è che Togliatti poté essere un riformista, un ricostruttore della democrazia italiana, e alla fine anche un leader spregiudicato del movimento comunista internazionale nella crisi dello stalinismo, perché fu davvero formato, nel bene e nel male, negli anni di ferro e di fuoco del socialismo in un paese solo, della guerra calda e fredda, dell’ideologia. Insomma, era il carisma della storia internazionalista, e una cultura realista molto cinica, ciò che permetteva a Togliatti di essere alla fine moderno e gradualista nel rapporto con l’Italia della ricostruzione, del miracolo economico, del neocapitalismo, fino alla sua morte nel 1964. Se oggi può venire in mente di passer à tabac, di spianare alcuni argomenti profetizzanti di una Barbara Spinelli, imbracciando Togliatti, ed è precisamente quello che Macaluso fa nel suo pamphlet, vuol dire che il residuo storico della sua opera è ancora un fattore sensibile per chi abbia memoria e si serva, oltre che delle giunture sofisticate del linguaggio postmoderno e della sociologia delle comunicazioni, anche della storia del mondo oggi dimenticata.

    Evitò la guerra civile, fece in modo che la Costituzione nascesse, incoraggiò e stimolò grandi battaglie laburiste nei modi dell’epoca ma stando attento ai ceti medi, resse il fronte del rapporto con i cattolici in una nazione ipercattolica e con un papato che scomunicava i comunisti di parrocchia, inventò una politica della cultura che ancora resiste almeno in premessa, si fece rispettare come parlamentare e oratore politico, e tutte le sue numerose scelte sbagliate, sulle quali Macaluso non tace, furono il risvolto solforoso del principio “salvare il salvabile”, di un realismo cocciuto e duttile nella gestione del potere d’apparato e nella conduzione di una politica nazionale, la famosa via italiana al socialismo, dentro le condizioni malsane della guerra fredda, della divisione di Yalta, del legame di ferro tra il gruppo dirgente comunista e il partito unico dominante in unione Sovietica e nel Cominform. Nell’Italia di oggi, appoggiandosi su un criterio chiuso e di partito, e magari su una certa violenza della storia, avrebbe promosso la pacificazione, varato l’amnistia tombale, riformato la Costituzione, cambiato il sistema politico, preso per le orecchie i NoTav e gli ottuagenari che civettano con loro, sottratto il Pd al suo destino cinico e baro, tosato gli aspetti più irrisori e talvolta grotteschi del politicamente corretto del gruppo di Repubblica. Forse è per questo che a Macaluso e a me Togliatti, straordinario manipolatore, opportunista di elevatissimo rango, amico e nemico di Stalin allo stesso tempo, castigatore dell’incuria nel pensiero e nella prassi, sta simpatico. Chissà. D’altra parte alcuni di noi sono, per dirla con il mio amico Buttafuoco, relitti del totalitarismo, e forse per via di questo vaccino non siamo liberali al Barolo, qualcosa di diverso, non dico di migliore, ma di diverso sì.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.