La sinistra è innocente, purtroppo

Ritanna Armeni

Va bene, Silvio Berlusconi è finito. E questo l’hanno detto o gridato più o meno tutti. Tutti l’abbiamo visto gonfio di dolore e di rassegnazione dichiarare la sua fiducia all’odiato governo. E la sinistra? La sinistra non l’abbiamo vista. Eppure avrebbe dovuto essere una protagonista degli ultimi giorni di Silvio. Avrebbe dovuto condizionarli, determinarli, almeno controllarli. E con la morte dell’arcinemico avrebbe dovuto acquistare spazio, visibilità, ruolo politico. Invece è scomparsa. E nella grande euforia per la fine dell’impero berlusconiano, nel susseguirsi di colpi di scena e sbigottimenti, nella disperazione di alcuni e nell’entusiasmo di altri nessuno finora se n’è accorto.

    Va bene, Silvio Berlusconi è finito. E questo l’hanno detto o gridato più o meno tutti. Tutti l’abbiamo visto gonfio di dolore e di rassegnazione dichiarare la sua fiducia all’odiato governo. E la sinistra? La sinistra non l’abbiamo vista. Eppure avrebbe dovuto essere una protagonista degli ultimi giorni di Silvio. Avrebbe dovuto condizionarli, determinarli, almeno controllarli. E con la morte dell’arcinemico avrebbe dovuto acquistare spazio, visibilità, ruolo politico. Invece è scomparsa. E nella grande euforia per la fine dell’impero berlusconiano, nel susseguirsi di colpi di scena e sbigottimenti, nella disperazione di alcuni e nell’entusiasmo di altri nessuno finora se n’è accorto. Nessuno ha notato che non ha avuto alcun protagonismo nell’uccisione del suo grande avversario. Nessuno si è accorto che è rimasta silenziosa e defilata.

    Silvio Berlusconi non è stato battuto (alcuni dicono definitivamente, ma staremo a vedere) da coloro che sulla carta avrebbero dovuto essere i suoi maggiori nemici, gli oppositori della sua politica e delle sue proposte ma da una linea moderata e perbenista. Da coloro che non perdono occasione di inneggiare al rapporto corretto con le istituzioni (se poi non funzionano chi se frega), che vogliono una forte distinzione fra vita pubblica e vita privata (se poi in questa si commette qualche nefandezza, ancora chi se ne frega) che accomunano abilmente il cosiddetto bene del paese al loro rapporto con il potere. Silvio Berlusconi è stato battuto dalla affermazione di una cultura pervasiva e di un pensiero unico e dilagante le cui parole d’ordine sono stabilità e responsabilità, che certo hanno poco a che fare con lui, con la sua storia e il suo passato, ma – chiediamoci – quanto hanno a che fare con una proposta e una cultura di sinistra?

    Meno che niente. Il Cavaliere che aveva tanta paura del fantasma dei comunisti, che nelle sue fantasie e nella sua propaganda non erano mai morti, è stato fatto fuori invece da una risorta Democrazia cristiana. Da un fantasma che è tornato sia pure sotto spoglie diverse. Certo non è più una balena. Forse con i pesci vari che lo compongono si potrebbe fare un fritto misto. Ma appare guizzante e in forma . E’ proprio un caso che tutti o quasi i protagonisti della vicenda politica che ha portato alla sconfitta di Berlusconi provengano dalle file della Dc? Enrico Letta e Angelino Alfano. E poi Franceschini, Formigoni, Giovanardi. Certo c’è stato il soccorso di qualche ex socialista come Sacconi e Cicchitto. Proprio come ai bei tempi precedenti gli anni Novanta.

    Ma allora negli anni Novanta la sinistra c’era. Scombiccherata, pronta a mettere in azione una macchina da guerra senza accorgersi che era già a pezzi, sotto choc per il crollo del regime sovietico. Ma c’era. Oggi in tutte le sue componenti più meno moderate, più o meno estremiste, ha fatto fare ad altri, si è dileguata, si è nascosta. Ha evitato ogni parola, ogni discorso, ogni dichiarazione che potesse dare alla crisi del berlusconismo una connotazione che non fosse di moderatismo democristiano. Si è accodata alla parola d’ordine della stabilità che è diventata indistintamente di tutti coloro che volevano la resa berlusconiana. Trasformazione, innovazione, miglioramento, cambiamento, riforma, tutte quelle parole che dovrebbero far parte del suo vocabolario sono state prudentemente messe da parte. Sparite dal linguaggio della politica. Dimenticate. Berlusconi è stato battuto in nome dello status quo, del “meglio non muoversi”. Lui che voleva tornare al ’94 è stato ghermito da un mostro più antico, dall’immobilismo dei moderati. E la sinistra è stata soffocata con lui. Con una differenza: Berlusconi e i berlusconiani fino all’ultimo momento della battaglia sono stati capaci di usare l’arma della tattica, quella per cui si cercano alleanze, si fanno compromessi e se la sconfitta è inevitabile si cerca quella meno cocente.

    La sinistra nel Pd, i vecchi Ds per intenderci, ai quali da un pezzo non si chiede una strategia, in queste ultime vicende hanno dimostrato di aver perduto anche la capacità di agire una tattica, di esercitare questa antica arma della cultura dei loro padri. Non hanno neppure fatto finta di esserci, di contare. Quieta non movere è stato il loro slogan, tutto fermo per non danneggiare un governo. O meglio l’apparenza di un governo. Perché si sa che quello effettivo non sta a palazzo Chigi.