Merkel e la manutenzione dell'Europa

Giovanni Boggero

Dalle urne tedesche di domenica esce rafforzata un’idea, più ancora che un partito o una persona. L’idea è quella che la cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha forgiato nel corso della passata legislatura, non appena scoppiata l’eurocrisi: lo sconquasso europeo è dovuto a una crisi del debito, in particolare del debito pubblico, cui si può porre rimedio risparmiando e approvando riforme di struttura. Soltanto a queste condizioni è possibile per uno stato ottenere un temporaneo aiuto finanziario. Chi non è d’accordo è fuori. La versione merkeliana della solidarietà europea è piaciuta ai tedeschi, i quali l’hanno sostenuta nelle urne.

Lo Prete L’Euroflop socialdemocratico, da Berlino in giù, visto dai politologi

    Dalle urne tedesche di domenica esce rafforzata un’idea, più ancora che un partito o una persona. L’idea è quella che la cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha forgiato nel corso della passata legislatura, non appena scoppiata l’eurocrisi: lo sconquasso europeo è dovuto a una crisi del debito, in particolare del debito pubblico, cui si può porre rimedio risparmiando e approvando riforme di struttura. Soltanto a queste condizioni è possibile per uno stato ottenere un temporaneo aiuto finanziario. Chi non è d’accordo è fuori. La versione merkeliana della solidarietà europea è piaciuta ai tedeschi, i quali l’hanno sostenuta nelle urne. Come ha ricordato lei stessa nella conferenza stampa all’indomani del voto, “la politica europea è sempre stata nel nostro Dna e proseguirà nello stesso spirito”. Come dire: avanti così, a piccoli passi, senza scossoni. I futuri alleati, che siano i socialdemocratici (con i quali ieri Merkel ha detto di aver avviato un “contatto iniziale”) o i Verdi non importa, seguiranno. L’Europa, ha scritto il quotidiano francese Monde, verrà così poco a poco plasmata a immagine e somiglianza di Angela che è, sì, “cancelliera di Germania”, ma soprattutto “chef d’Europe”.

    Nell’Europa merkeliana del rigore c’è sicuramente spazio per Mario Draghi. E così ieri il presidente della Banca centrale europea, riconoscendo che il credito non affluisce a sufficienza verso le imprese, ha detto che “la Bce è pronta, se necessario, a usare altre misure, anche un’altra operazione Ltro”, cioè di finanziamento illimitato alle banche. Angela Merkel e il suo ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, sono stati tra i principali sostenitori della politica monetaria di Draghi, in cui rientra pure il discusso piano di acquisto illimitato dei titoli di stato (Omt), sulla cui legittimità costituzionale deciderà tra qualche settimana il Tribunale di Karlsruhe. E’ il primo appuntamento di peso per la politica europea del nuovo governo di Berlino. Di recente, l’istituto di ricerca economica IW di Colonia, tradizionalmente vicino alla Cdu, ha presentato uno studio nel quale si mette in luce la perfetta compatibilità dello strumento con gli obiettivi di politica monetaria della Bce. Insomma, per Draghi la vittoria di Merkel e la sconfitta degli euroscettici è un buon segnale. Per il resto, Frau Merkel, orfana dei liberali, priva di un’opposizione euroscettica in Parlamento e forte di un esercito di trecentoundici deputati, godrebbe ora di tutte le condizioni favorevoli per accentuare il proprio profilo europeista. Come hanno scritto ieri gli analisti dello European Council on Foreign Relations (Ecfr), “è possibile affermare che qualsiasi coalizione si formerà sarà lievemente più costruttiva nei confronti del resto dell’Europa e lavorerà in maniera più coerente per risolvere i due problemi principali che si porranno nei prossimi mesi: il problema del debito greco e l’Unione bancaria”. Più disincantati altri osservatori. In una conversazione con il Foglio, Michael Wohlgemuth, direttore del think tank Open Europe di Berlino, ha chiarito che, “anche in una grande coalizione, la politica europea sostanzialmente non cambierà. Per la cancelliera è vantaggioso poter condividere con l’Spd la responsabilità per decisioni difficili come quelle sulla Grecia e sull’Unione bancaria”. In altre parole, l’Spd sa bene di dover fare i conti con l’opinione pubblica e non porrà gli Eurobond come condizione per la formazione di un nuovo governo, mentre sull’Unione bancaria, spiega Wohlgemuth, “l’accordo non dovrebbe essere difficile: sì a un’autorità di vigilanza unificata, sì a un meccanismo che consenta di sgravare i contribuenti dalle perdite delle banche e no a una garanzia comune sui depositi”. Al di là di qualche frizione, conferma al Foglio il professor Eckart Stratenschulte, politologo e presidente della Europäische Akademie di Berlino, “la politica della grande coalizione non avrà un impatto molto diverso sull’Europa. L’Spd vorrebbe un allentamento dei parametri del patto di stabilità per i paesi in crisi, mentre la Cdu, complice la buona affermazione degli euroscettici, si irrigidirà un po’”. Sono avvertiti i paesi sotto programma di salvataggio, a partire dalla Grecia per cui si continua a parlare di un terzo pacchetto di aiuti. Così come i paesi in cui la stabilità politica e la continuità delle riforme non sono garantite, Italia inclusa. Anche nel caso in cui Merkel avesse avuto la maggioranza assoluta o, nel caso, abbastanza di scuola, in cui propendesse ora per un governo di minoranza, le cose non cambierebbero: “La cancelliera avrebbe comunque difficoltà a imporsi nei confronti della costola bavarese, la Csu, e dovrebbe badare a quanto stabilito da Karlsruhe, oltreché agli umori dell’opinione pubblica”, conclude Stratenschulte. Insomma, le trattative di coalizione non si areneranno certo sul capitolo europeo. La visione di Merkel, ormai dominante dentro e fuori il Parlamento, non consentirà grossi cambiamenti. Niente soluzioni magiche, scriveva ieri il Wall Street Journal: “Il nuovo probabile corso sembra lento e stabile”. Anche i socialdemocratici (e i Verdi) marceranno spediti verso l’edificazione di un’Europa sempre più a immagine e somiglianza merkeliana.

    Lo Prete L’Euroflop socialdemocratico, da Berlino in giù, visto dai politologi