Risiko telefonico

Il divorzio miliardario tra Vodafone e Verizon eccita il mercato tlc

Ugo Bertone

Ieri pomeriggio Vittorio Colao, manager bresciano al soldo della regina della Borsa di Londra, Vodafone, ha offerto il tè più ricco della storia della City: 130 miliardi di dollari in arrivo dall’americana Verizon per il 49 per cento di Verizon wireless, il colosso del mobile americano. Un affare formidabile, se si pensa che, fino a pochi mesi fa, diversi consiglieri del gruppo inglese insistevano per vendere per 100 miliardi o anche meno. Ma Colao si è rivelato un ottimo venditore, capace tra l’altro di modulare l’affare in maniera da ridurre quasi a zero l’impatto fiscale dell’operazione: il prezzo sarà pagato, infatti, metà in azioni Verizon, metà in cash.

    Ieri pomeriggio Vittorio Colao, manager bresciano al soldo della regina della Borsa di Londra, Vodafone, ha offerto il tè più ricco della storia della City: 130 miliardi di dollari in arrivo dall’americana Verizon per il 49 per cento di Verizon wireless, il colosso del mobile americano. Un affare formidabile, se si pensa che, fino a pochi mesi fa, diversi consiglieri del gruppo inglese insistevano per vendere per 100 miliardi o anche meno. Ma Colao si è rivelato un ottimo venditore, capace tra l’altro di modulare l’affare in maniera da ridurre quasi a zero l’impatto fiscale dell’operazione: il prezzo sarà pagato, infatti, metà in azioni Verizon, metà in cash.
    Anche per questo, ieri sera, molti gestori di fondi e azionisti festeggiavano: le azioni Verizon e una parte del cash, infatti, finiranno ai soci. Una pioggia di denaro, “quasi un Quantitative easing”, esultava un gestore sul Financial Times, evocando l’effetto che tanta liquidità può avere per gli affari della Borsa inglese. Ma anche il segnale, fragoroso, che dopo tante false partenze il processo di consolidamento delle telecomunicazioni è finalmente iniziato. E presto investirà, tra l’altro, anche l’Italia. Perché, si legge in un recente report di Mediobanca Securities, “l’interesse per il mercato italiano sta aumentando come conseguenza di una guerra insostenibile dei prezzi nel business mobile, che probabilmente terminerà dopo un’estate estremamente calda, e dei primi segni tangibili di ripresa economica del paese”. Difficile, anzi assai improbabile, che Vodafone voglia giocare un ruolo nella partita di Telecom Italia. Colao, secondo gli analisti, punta al quad play, cioè a mettere assieme in più paesi un’offerta ai clienti che preveda fisso, mobile, banda larga e Internet tv in un solo abbonamento. Per questo, forte dei quattrini incassati, punterà ad acquistare in Italia Fastweb da Swisscom, Ono in Spagna e Ziggo in Olanda, da combinare al gruppo tedesco Kabel già rilevato a giugno. Ma il risiko delle tlc potrebbe riservare ben altre emozioni. La stessa Vodafone potrebbe finire nel mirino di At&t che, assieme al magnate messicano Carlos Slim (appena respinto in Olanda), intende costruire un network europeo a banda larga. E Colao, ipotizzano le case d’affari (che annusano aria di pingui commissioni), potrebbe ritirarsi dal mobile e reagire acquisendo il controllo di Liberty Global, gigante sul cavo.

    L’ombra dell’ex nemico Slim
    Ma che fine farà, in questo scontro di giganti che coinvolge anche la spagnola Telefónica, la travagliata Telecom Italia? A Piazza Affari, dove il titolo Telecom galoppa da una settimana (ieri ha chiuso in rialzo del 3,87 per cento), sono certi che a settembre si scopriranno le carte. Per almeno cinque ragioni. La prima è che sia Generali sia Mediobanca, soci eccellenti di Telco, la holding che controlla il 22,8 per cento della società capitanata da Franco Bernabè, denunceranno a giorni il patto. In secondo luogo, prima di dar la disdetta, per rispettare il galateo degli affari, sia Alberto Nagel (che da tempo chiede la testa di Bernabè) sia Mario Greco aspetteranno il “cda strategico” del 15 settembre, anche se è difficile che in quell’occasione emerga una strategia per abbattere il debito (28,8 miliardi) e così scongiurare la bocciatura del rating, vicino allo scomodo status di junk bond. Terzo: la carta in extremis potrebbe essere un aumento di capitale riservato a un socio industriale, secondo uno schema già tentato (e fallito) con Naguib Sawiris e H3g. Ma Marco Fossati, il socio privato più importante attraverso Findim, ha già frenato: “Per partecipare a un eventuale aumento di capitale di Telecom il nostro gruppo avrebbe bisogno di un piano industriale capace di creare davvero valore”. Il quarto motivo riguarda l’orientamento della (decisiva) Telefónica: difficile che accetti un nuovo socio industriale, a meno che questo non avvenga nell’ambito di un accordo più vasto che preveda in sostanza lo spezzatino di Telecom Italia. Detto in breve, potrebbe maturare un accordo con l’ex nemico Slim: via libera al magnate messicano in cambio della cessione a Telefónica di Tim Brasil, la perla del gruppo. O combinazioni simili. Infine, ultimo punto, resta comunque da vedere se l’azienda è in grado di farcela da sola, grazie soprattutto al possibile scorporo della rete (e al conseguente passaggio dei dipendenti a una nuova consociata in condominio con Cassa depositi e prestiti). Il futuro è incerto sia perché mancano i tempi tecnici, sia perché non si vede all’orizzonte il cavaliere bianco né tantomeno una cordata d’imprenditori tricolore. E così, come notano gli analisti di Bernstein, la prospettiva di uno stop del governo a eventuali accordi è diminuito, forse più per necessità che per reale convinzione.