Non solo per principio

Perché ora Pechino si rifà il trucco all'antioccidentale

Ugo Bertone

Compagni, all’erta. “Il potere vi scapperà di mano se non sarete in grado di spazzar via le sette tendenze sovversive che oggi circolano nella società cinese”. Parole grosse, soprattutto se a pronunciare l’anatema contro i sette vizi capitali in arrivo dal capitalismo occidentale è nientemeno che il numero uno, il presidente Xi Jinping. E’ lui in persona, ricostruisce il New York Times, ad aver voluto apporre il sigillo al “Documento numero nove” che il Comitato centrale ha emanato in risposta alle proteste dei giornalisti contro la mossa dei censori intervenuti con mano pesante su un editoriale del Southern Weekend Newspaper di Guangzhou.

    Compagni, all’erta. “Il potere vi scapperà di mano se non sarete in grado di spazzar via le sette tendenze sovversive che oggi circolano nella società cinese”. Parole grosse, soprattutto se a pronunciare l’anatema contro i sette vizi capitali in arrivo dal capitalismo occidentale è nientemeno che il numero uno, il presidente Xi Jinping. E’ lui in persona, ricostruisce il New York Times, ad aver voluto apporre il sigillo al “Documento numero nove” che il Comitato centrale ha emanato in risposta alle proteste dei giornalisti contro la mossa dei censori intervenuti con mano pesante su un editoriale del Southern Weekend Newspaper di Guangzhou. Il conflitto, che risale alla scorsa primavera, è stato l’occasione per misurare i rapporti di forza all’interno del Pcc. E l’esito non lascia adito a dubbi: Xi Jinping si è schierato con la nomenklatura, benedicendo il violento attacco via Web del responsabile della propaganda Zhang Guangdong. Poi, dopo l’anatema, è arrivato il documento numero 9, una sorta di enciclica ai quadri del Partito contro i sette flagelli dell’occidente. Il primo è “la Costituzione democratica occidentale” disgiunta dai “valori universali”dei diritti dell’uomo, l’indipendenza dei media, la partecipazione civica, il neoliberalismo e nondimeno “le critiche nichiliste alla storia del partito”. Tema di non poco conto visto che la Cina si accinge a celebrare il 120esimo anniversario dalla nascita del Grande Timoniere Mao Tse Tung, un’occasione che la sinistra del partito, ostile alle riforme economiche già ventilate dal premier Li Keqiang, potrebbe sfruttare per protestare contro le liberalizzazioni.

    E’ la necessità di coprirsi a sinistra, dice Xiao Gongqin, professore di Storia alla Normal University di Shanghai, che potrebbe aver spinto il presidente a una svolta che rischia di compromettere, almeno nell’immediato, l’introduzione di alcuni princìpi di mercato (a partire dalla gestione delle banche) già annunciate dai vertici. In questa cornice si spiega meglio anche l’offensiva contro le multinazionali occidentali, da mesi nel mirino delle autorità: la campagna anticorruzione serve a consolidare il potere dei vertici in un momento delicato, con l’economia in frenata. Meglio prendersela con profittatori e stranieri. Si è partiti dal settore sanità, con ispezioni a tappeto da cui sono emerse accuse di mazzette e di pagamento di prestazioni sessuali per i medici a carico dell’inglese Glaxo SmithKline, seguita dalla francese Sanofi e dalla svizzera Novartis. Poi è stata la volta delle indagini della Ndrs, la potente agenzia della pianificazione che ha aperto un’inchiesta sui profitti sul latte in polvere per l’infanzia: sia Danone che Nestlé hanno evitato il peggio con un brusco taglio dei listini, mentre la mannaia della polizia cadeva sulle aziende neozelandesi. E pochi giorni fa Xu Kunlin, numero uno dell’ufficio antimonopoli, ha annunciato indagini sulle auto di importazione, ma anche su idrocarburi, telecomunicazioni e banche.

    E’ proprio il fronte del credito, zavorrato da crediti inesigibili verso le società del partito, dell’esercito o delle varie lobby, il terreno più delicato. Le banche sono il cuore della nomenclatura, come dimostra l’inchiesta a carico di JP Morgan, accusata di aver assunto, non per motivi di merito, il figlio di un membro della Consob cinese e la figlia di un alto funzionario del governo. Non è un’eccezione: la nipote dell’ex presidente Zhao Ziyang è presidente della Merrill Lynch cinese, affiancata dal nipote dell’ex presidente del Parlamento. Il figlio di Zhu Rongji, Levin Zhu, si è fatto le ossa al Credit Suisse, mentre Alvin Jiang, nipote del presidente Jiang Zemin, è passato da Goldman Sachs.