Così il Pd sulla decadenza del Cav. ritrova una coesione mai vista

Alessandra Sardoni

“Visto? Aveva torto chi come Ugo Sposetti sosteneva che il Pd sulla condanna di Berlusconi si sarebbe spaccato…”, dice al Foglio Walter Verini, veltroniano storico, non tenero con le larghe intese e solitamente pronto ai distinguo rispetto all’asse Letta-Franceschini. “E’ esattamente il contrario, come avevo detto io: su questo, non ci sono divisioni”. Eppure la compattezza obbligata, irrinunciabile, per il partito del presidente del Consiglio e di Guglielmo Epifani, della leadership sofferente e affollata e confusamente contesa, non esaurisce la questione tecnico-politica legata alla “decadenza” di Silvio Berlusconi dal seggio di senatore.

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    “Visto? Aveva torto chi come Ugo Sposetti sosteneva che il Pd sulla condanna di Berlusconi si sarebbe spaccato…”, dice al Foglio Walter Verini, veltroniano storico, non tenero con le larghe intese e solitamente pronto ai distinguo rispetto all’asse Letta-Franceschini. “E’ esattamente il contrario, come avevo detto io: su questo, non ci sono divisioni”. Eppure la compattezza obbligata, irrinunciabile, per il partito del presidente del Consiglio e di Guglielmo Epifani, della leadership sofferente e affollata e confusamente contesa, non esaurisce la questione tecnico-politica legata alla “decadenza” di Silvio Berlusconi dal seggio di senatore. Visto che il Pdl ha trasformato l’ipotesi di un suo superamento (tutto da costruire) nella richiesta vitale, nel punto di non ritorno, l’argomento decisivo sul quale far ballare fino a settembre e magari oltre il governo di coalizione.

    Semmai è proprio questa prova di forza a spingere ancor di più il Pd in una trincea invalicabile anche per gli ultra-governisti, come si è visto nelle dichiarazioni pubbliche dei capigruppo Speranza e Zanda, o per garantisti spesso fuori dal coro come Nicola Latorre. Per bersaniani e renziani. Per un lettiano di ferro come Marco Meloni: “Rispetto per tutti, ma il principio di legalità viene prima e non si discute. Non provino ad addebitare a noi responsabilità che in realtà sono solo loro”, dichiara al Foglio. Spiega ancora Verini: “Nessuno nel Pd pensa che per salvare il governo si possano usare nei confronti di Berlusconi atteggiamenti ad personam, anche i più pacati pensano che la decadenza sia un atto dovuto”. Altre voci sottolineano come, del resto, neppure il Quirinale stia premendo in quella direzione.
    “Certo se Berlusconi dicesse sono il leader di otto milioni di italiani, ma sono stato condannato in via definitiva, ho altri processi, capisco che il mio ciclo è finito, mi ritiro davvero… Di fronte a dichiarazioni come queste – mi rendo conto fuori dallo spirito berlusconiano – anche Scalfari potrebbe convenire su qualcosa come una pacificazione”, osserva ancora Verini, consapevole del fatto che si tratterebbe per Berlusconi della rinuncia al concetto stesso di agibilità politica e l’aria, almeno a giudicare dal “non mollo” via Facebook di ieri, è tutt’altra. E anche che la “pacificazione” assumerebbe modalità tutte da scoprire. Quella che emerge è dunque l’immagine di un Pd paradossalmente per una volta coeso nell’intransigenza su Berlusconi.

    Altra cosa è concedere tempo, giocare sull’allungamento dei lavori della giunta e poi dell’Aula. “Il Pd non potrebbe rifiutare al relatore Andrea Augello un approfondimento della questione”, è la linea del veltroniano-renziano Giorgio Tonini. Purché, ovviamente, non si tratti di manovre dilatorie: il Pd non potrebbe reggere nemmeno il sospetto di un escamotage per favorire Berlusconi e allungare la vita al governo. “Se entri nella sala della giunta per le immunità ti accorgi che il posto per il governo non esiste, è una dinamica avulsa dalla dialettica fra l’esecutivo e il legislativo proprio in base alla legge Severino”, precisa Francesco Sanna, consigliere politico di Enrico Letta ed ex membro della giunta, che ci tiene a tenere al riparo il governo dalla partita sulla decadenza. E che tuttavia vede lo spazio “per una discussione parlamentare non sulla retroattività della legge Severino, assodata, bensì sul nuovo istituto, visto che la giunta – così dice al Foglio – è organo giurisdizionale e che quella di Berlusconi è una decadenza eccellente”. Secondo Sanna, molto informato sulle “tecnicalità”, molto attento al dibattito fra i costituzionalisti, il Pd deve prima capire cosa deciderà Berlusconi: “Potrebbe resistere tentando di far assimilare la sua situazione a quella di un’elezione contestata, e in quel caso aprire una discussione pubblica e allungare i tempi. Non tantissimo: un mese”. In Senato si guarda al precedente del senatore Di Girolamo, la cui elezione, nel Pdl (italiani all’estero, 2008), fu contestata per via di una falsa residenza. “Oppure”, aggiunge ancora Sanna, “potrebbe chiedere di verificare la costituzionalità della legge Severino, tempi ancora più lunghi, ma impatto sull’opinione pubblica tutto da verificare. Fermo restando che comunque in caso di strappo, alle prossime elezioni Berlusconi sarebbe comunque incandidabile”.

    Il tutto passa per voti della giunta e poi dell’Aula, per maggioranze da trovare e difficoltà del Pd e del governo ineliminabili. Di qui la prudenza estrema del premier. Lo staff ne ripete a menadito le uscite pubbliche sulla condanna di Berlusconi e la decadenza: “La legge si applica, non c’è discrezionalità”, disse a caldo, nel primo Consiglio dei ministri post sentenza. Poi si associò alla linea dura di Epifani senza altre parole. Giorni complicati insomma. Anche sul versante congressuale: Letta, ieri, ha dovuto prendere le distanze dal documento congressuale di Francesco Boccia (e Dario Ginefra) di sostegno al governo, ma un po’ troppo aspro e “rottamatore”. Ne erano a conoscenza il suo consigliere e lo staff, ma è suonato un po’ troppo divisivo anche fra i lettiani. 

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