La Bank of England imita la Fed, i banchieri centrali invece le rockstar

Ugo Bertone

I tassi resteranno bassi per un bel po’, fino al 2016 almeno, se non oltre, ovvero finché il tasso di disoccupazione non scenderà sotto il 7 per cento (oggi è al 7,8 per cento) che, “sia ben chiaro, non è il nostro obiettivo finale, ma solo una tappa, seppur importante, sulla strada del pieno recupero”. Mark Carney, il canadese chiamato da David Cameron alla testa della Banca d’Inghilterra, al suo debutto ieri non ha certo deluso le attese del governo, ansioso di affidare a un oriundo l’onere di dare una scossa all’economia.

    I tassi resteranno bassi per un bel po’, fino al 2016 almeno, se non oltre, ovvero finché il tasso di disoccupazione non scenderà sotto il 7 per cento (oggi è al 7,8 per cento) che, “sia ben chiaro, non è il nostro obiettivo finale, ma solo una tappa, seppur importante, sulla strada del pieno recupero”. Mark Carney, il canadese chiamato da David Cameron alla testa della Banca d’Inghilterra, al suo debutto ieri non ha certo deluso le attese del governo, ansioso di affidare a un oriundo l’onere di dare una scossa all’economia. E Carney, insediatosi in Threadneedle Street meno di quaranta giorni fa, si è messo all’opera, nei metodi come nei contenuti. La veneranda Bank of England, decana delle Banche centrali, si toglie la parrucca e indossa un costume all’americana. Per la prima volta l’Istituto – che comunque già con la gestione precedente di Mervyn King non era stato ingessatissimo in quanto a espansione monetaria, anzi – adotta una “guidance” che non lascia spazi a dubbi di sorta: l’obiettivo è stimolare l’economia perché la ripresa, comunque ben più robusta di quella che si profila in Italia, “è troppo debole, la più debole che ci sia mai stata dopo una recessione così pesante”.

    E allora avanti a tutta crescita, con una politica che cambierà solo se l’inflazione, una volta varcata la soglia del 2,5 per cento, minaccerà di andare fuori controllo. Ma prima di allora, confida Carney, già premiato come miglior governatore del mondo per l’ottima performance delle banche canadesi sotto il suo mandato, “l’economia inglese avrà trovato la sua velocità di fuga”, ovvero un tasso di crescita spontaneo e robusto, in grado di fare a meno delle stampelle della Banca centrale. Chissà se Carney ha convinto tutti i suoi colleghi. Quattro dei nove membri del comitato monetario, in passato, si erano detti contrari a stabilire un guidance, ovvero un’indicazione esplicita degli obiettivi della banca. Ma è inutile chiedere a Carney se la sua linea è passata all’unanimità. “Di questo non parlo…”, ha dichiarato secco in conferenza stampa, circondato da tv e fotografi. Come una rockstar.

    Rajan è il nuovo “acquisto” dell’India
    Cosa che non stupisce, perché “i banchieri centrali di questi tempi godono di una popolarità proprio da rockstar. Con pieno merito, perché la loro capacità di reazione durante e dopo il tracollo dell’economia è stata impeccabile”. Tanto entusiasmo, forse, è sincero. Perché a pronunciare queste parole in epoca non sospetta, a inizio 2012, è stato Raghuram Rajan, ovvero il capo economista del Fondo monetario internazionale che nel 2008 fu tra i primi a capire la gravità della crisi in arrivo, con largo anticipo rispetto a Ben Bernanke o alla Banca centrale europea. Ma da due giorni mister Rajan fa parte del club. Il governo di Nuova Delhi, di fronte a una crisi economica che sta mettendo a dura prova le ambizioni indiane, ha scelto infatti Rajan per cercare di tamponare la frana della rupia. Una scelta che assomiglia, in un certo senso, a quella del governo della Regina: Rajan, che ha sviluppato la sua carriera tra Washington, New York e Chicago, è lontano dalle lobby della politica indiana forse ancor di più di Carney, il governatore che viene dal Canada e, come Mario Draghi, ha un passato in Goldman Sachs.

    Insomma, per avviare un ciclo di riforme non c’è niente di meglio che affidarsi a uno “straniero” che, almeno nel caso di Rajan, non si fa troppe illusioni: “I banchieri centrali, dopo i successi di questi anni – ha detto sempre in epoca non sospetta – devono esser capaci di capire quando hanno consumato le loro munizioni. In fin dei conti, il passo da eroe a nullità è breve”. Il rischio, per ora, sembra lontano. Ma è vero che, sotto i cieli della crisi, il ruolo di governatore della Banca centrale assume un valore più politico e meno tecnico che in passato. Come dimostra, ad esempio, la difficoltà che Benjamin Netanyahu incontra per trovare un successore adeguato per il ruolo di Stanley Fischer, uscito di scena a giugno. Niente di paragonabile ai problemi di Barack Obama, costretto a rinviare la nomina del successore di Ben Bernanke a settembre, sperando che si plachi il fuoco di fila dei democratici contro il suo candidato, Lawrence Summers. Un’ostilità forse immotivata sotto il profilo scientifico, perché sia Summers che Janet Yellen possono essere considerati, dai fautori delle etichette a tutti i costi, sensibili a correnti di pensiero “neokeynesiane”. Ma in questi anni Wall Street è diventata Fed-dipendente come forse non era mai stata, al punto di pendere dalle labbra dei governatori della Fed. Compresa Sandra Pianalto, della Fed di Cleveland, ieri alla ribalta. A proposito di rockstar, la banchiera vicentina d’origine, è una che se ne intende: per rilanciare il turismo a Cleveland nel momento della crisi non ha esitato a promuovere la nascita del Museo del rock. E’ proprio vero, sotto i cieli della crisi i governatori fanno praticamente di tutto.