Atlantico in ritirata

Così le nomine obamiane possono lasciare troppo solo il Draghi salva euro

Domenico Lombardi

Nell’anniversario del discorso che il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, tenne a Londra poco più di un anno fa, in molti hanno rilevato la solitudine istituzionale del banchiere centrale dell’Eurozona: attaccato dai falchi del rigorismo monetario, ma soprattutto abbandonato proprio da quei paesi come l’Italia che hanno vanificato l’opportunità strategica generata dalla successiva stabilizzazione delle condizioni di mercato, arrestando l’iniziale impeto dell’agenda riformista.

    Nell’anniversario del discorso che il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, tenne a Londra poco più di un anno fa, in molti hanno rilevato la solitudine istituzionale del banchiere centrale dell’Eurozona: attaccato dai falchi del rigorismo monetario, ma soprattutto abbandonato proprio da quei paesi come l’Italia che hanno vanificato l’opportunità strategica generata dalla successiva stabilizzazione delle condizioni di mercato, arrestando l’iniziale impeto dell’agenda riformista. Quello che è passato inosservato, tuttavia, è che la solitudine del banchiere centrale europeo è destinata ad accrescersi ulteriormente, anche dall’altro lato dell’Atlantico, per l’avvicendarsi di esponenti autorevoli nell’Amministrazione Obama, la cui sostituzione, al di là delle personalità in gioco, segnala un evidente cambio di rotta rispetto all’indirizzo relativamente interventista che la Casa Bianca ha inteso dare sulla crisi dell’Eurozona nel primo quadriennio.

    Il più evidente di tali avvicendamenti è già operativo da pochi mesi e riguarda la sostituzione al vertice del Tesoro americano di Tim Geithner con Jack Lew, un super ragioniere dello stato ma con scarsa esperienza internazionale. Le strade dell’ex segretario Geithner e di Draghi si erano incrociate regolarmente nelle loro precedenti carriere nei rispettivi ministeri finanziari, avendo i due partecipato a importanti gruppi di lavoro internazionali con il compito di diagnosticare gli elementi di vulnerabilità del sistema finanziario internazionale che la crisi asiatica, negli anni Novanta, e la crisi finanziaria internazionale nel 2007-’09, avevano messo in luce. In tale contesto, per esempio, svilupparono nel 2009 l’idea di fondare il Financial stability board di cui Draghi è stato presidente fondatore, e hanno partecipato alla regia del celebre summit del G20 di Londra nell’aprile del 2009 che tanto credito vanta nella stabilizzazione della dirompente crisi mondiale. Tali interazioni apicali erano state affiancate, negli anni Novanta, da un continuo dialogo nell’ambito del G7 finanziario, consentendo loro di cementare un’affinità non solo istituzionale ma anche personale. Al culmine dell’eurocrisi, tale affinità si è rivelata un elemento prezioso che ha fornito a Draghi il sostegno personale e intellettuale, prima ancora che politico, delle due sedi di Pennsylvania Avenue – Tesoro e Casa Bianca.

    Ispirato dal suo precedente ruolo di banchiere centrale americano all’apice della crisi finanziaria internazionale, Geithner era stato tra i primi a teorizzare e ad appoggiare anzitempo, nei circoli internazionali utilizzando tutto il peso che si conviene al segretario al Tesoro, un ruolo più aggressivo per la Bce che valorizzasse appieno il suo potenziale stabilizzante in condizioni di mercato prossime allo sgretolamento. D’altro canto, proprio la presenza di Geithner nei massimi ranghi dell’Amministrazione Obama garantiva la costante sensibilizzazione di un presidente le cui energie intellettuali, politiche e diplomatiche sono, per definizione, contese da moltiplici dossier sia domestici che internazionali.

    Lew e Raskin poco “internazionalizzati”
    Pochi mesi dopo la scelta del successore di Geithner, il cambio di rotta su una traiettoria squisitamente domestica è stato appena confermato con la nomina presidenziale del nuovo vicesegretario, Sarah Raskin, che dovrebbe essere confermata dal Senato nelle prossime settimane. Avvocato, una carriera di regolatore bancario e finanziario alla spalle, la Raskin è stata responsabile della Vigilanza bancaria nello stato del Maryland, prima di essere nominata nel tempio della Fed tre anni fa.
    Le sue credenziali confermano il disegno dell’Amministrazione di rafforzare il profilo del neo segretario al Tesoro, bilanciando la sua indiscussa competenza in materiale fiscale, con quella finanziaria, ma non internazionale, del suo vice. In pratica, il numero due del Tesoro sarà responsabile dell’attuazione del nuovo, complesso quadro regolamentare e di vigilanza che l’Amministrazione e il Congresso hanno partorito all’indomani della crisi, noto come legge Dodd-Frank, che il presidente Obama intende lasciare come parte della sua eredità politica.
    A confermare i timori di una svolta sempre più rivolta agli affari domestici dell’Amministrazione, c’è anche la possibile vacanza della posizione di sottosegretario per gli Affari internazionali nel medesimo Tesoro americano.

    L’incarico di sottosegretario per gli Affari internazionali al Tesoro americano era stato ricoperto sinora da Lael Brainard, ex vicepresidente della Brookings Institution. Questa posizione si renderà vacante il prossimo autunno, una decisione maturata proprio in seguito alla scelta del nuovo vicesegretario. Non ancora riportata dai media americani, la fuoriuscita della “zarina dell’euro” – come è stata ribattezzata per il suo ruolo nel momento di crisi più acuta della moneta unica – dai ranghi dell’Amministrazione segnala in modo inequivocabile il nuovo corso obamiano deciso a valorizzare quelle figure la cui esperienza può essere più immediatamente utilizzabile sul fronte delle politiche interne piuttosto che internazionali. La fuoriuscita della Brainard, inoltre, ha l’effetto indiretto di congelare la nomina del suo numero due, Charles Collyns, proveniente dai ranghi del Fondo monetario internazionale, le cui dimissioni sono diventate operative pochi giorni fa.

    La solitudine atlantica del banchiere centrale europeo potrebbe acuirsi ulteriormente con la nomina da parte di Barack Obama del nuovo presidente della Fed attesa nelle prossime settimane. La posizione è contesa dal professore harvardiano Larry Summers, ex consigliere della Casa Bianca, e da Janet Yellen, attuale numero due della Banca centrale americana. Entrambi dalle credenziali indiscutibili, anche se la seconda, al momento e sulla carta, garantirebbe una conferma molto più agevole da parte del Senato statunitense. Il primo, tuttavia, rappresenterebbe un ponte con l’Europa per la sua inclinazione a pensare fuori dagli schemi economici tradizionali e, soprattutto, per la vicinanza accademica, intellettuale e personale a molti economisti europei di formazione americana, incluso Draghi.