Miliband ridisegna il Labour inglese senza il giogo dei sindacati

Federico Sarica

Erano state la parole di Tony Blair a dare maggiore peso alle aspettative che circondavano ieri mattina Ed Miliband poco prima del suo discorso con cui aveva annunciato di voler ridisegnare, una volta per tutte, il rapporto centenario fra sindacati e Partito laburista inglese. “Penso sia un momento decisivo, chiaro e forte. Un’iniziativa da vero leader, perché apre un processo di riforma che il Labour aspetta da tempo. Miliband sta mandando un messaggio forte – ha dichiarato Blair – e cioè che alla fine farà quello che è giusto: governare per tutto il paese e non solo per una parte di esso”.

    Erano state la parole di Tony Blair a dare maggiore peso alle aspettative che circondavano ieri mattina Ed Miliband poco prima del suo discorso con cui aveva annunciato di voler ridisegnare, una volta per tutte, il rapporto centenario fra sindacati e Partito laburista inglese. “Penso sia un momento decisivo, chiaro e forte. Un’iniziativa da vero leader, perché apre un processo di riforma che il Labour aspetta da tempo. Miliband sta mandando un messaggio forte – ha dichiarato Blair – e cioè che alla fine farà quello che è giusto: governare per tutto il paese e non solo per una parte di esso”.
    Alla fine l’eternamente indeciso Ed, il leader accusato di non riuscire a esserlo fino in fondo, il mediatore con enormi debiti elettorali di riconoscenza a sinistra e l’ombra ingombrante di personalità come lo stesso Blair e il fratello David a schiacciarlo da destra, ha tirato fuori una stoffa insospettabile: dai fatti di Falkirk della settimana scorsa – coi sindacati sospettati di aver gonfiato voti e tesserati per far vincere un proprio candidato locale e tanto d’indagine aperta sul tema – si esce solo con una riforma radicale, ha detto.

    A Falkirk è andata in scena la sconfitta della vecchia politica, ha detto Miliband, con l’apparato che ha dato il peggio di sé; abbiamo restituito l’idea di un partito chiuso in meccanismi oscuri che allontanano elettori e militanti. Il punto cui gira attorno la vicenda è il meccanismo per cui da sempre gli iscritti al sindacato Unite sono anche automaticamente militanti del partito, in virtù del consistente sostegno economico che quest’ultimo riceve dall’organizzazione sindacale. Da un punto di vista tecnico, Miliband ha chiesto il passaggio dalla cosiddetta logica dell’opt-out – l’affiliazione automatica al Labour derivante da quella al sindacato – a quella dell’opt-in, per la quale è il singolo lavoratore che deve eventualmente chiedere la tessera del partito. “Nel XXI secolo è del tutto insensato che ci siano individui affiliati a un partito politico senza che l’abbiano esplicitamente scelto”, è stata la frase chiave del discorso di Miliband, tutto teso a disegnare le coordinate di un partito più aperto, meno pesante e novecentesco, un partito di individui e non di truppe cammellate, con cenni di apertura a un tema decisivo come quello delle primarie. La strategia è sembrata più quella di provare a recuperare un rapporto diretto coi singoli iscritti ai sindacati – nei passaggi fondamentali Miliband si è rivolto a loro in prima persona – regalando a quel mondo fortemente identitario uno scenario che non lo taglia fuori ma che potrebbe coinvolgerlo maggiormente.

    La sfida al leader sindacale Len McCluskey, durissimo con l’ala blairiana del partito durante i fatti della settimana scorsa, è lanciata. Lui si dice contento delle parole chiare di Miliband, “è la prima volta che io e Blair andiamo d’accordo”, ha dichiarato con ironia, ma più di un commentatore concorda nel leggere la sua apertura come l’inizio di una lunga trattativa, il cui punto centrale saranno le mani più o meno libere dei vertici di Unite nel redistribuire e riorganizzare a proprio vantaggio gli investimenti del sindacato in politica. Di fatto, il discorso di Miliband di ieri è solo l’inizio di un processo non completo ma in qualche modo irreversibile (anche se passibile di sfumature: il coordinamento dei lavori passa ora in mano a Ray Collins, un passato nei sindacati e un presente nel gruppo dirigente laburista). Ed “il rosso” ottiene così due risultati rilevanti: un passo avanti mediaticamente molto importante verso la riconoscibilità del proprio ruolo di leader candidato a guidare il paese, e un’accelerata nell’opinione pubblica dei vantaggi che comporterebbe costruire il futuro del Labour attorno a un progetto di partito aperto e leggero. La leadership e la fine della forma partito pesante tradizionale. Ancora una volta, prendere nota.