Cialtrone sarai tu

Andrea Ballarini

Qualità precipua del cialtrone è la mediocrità. Egli ne ha fatto una regola di vita. Anzi, la regola. Il cialtrone non spicca in nulla, neppure nella cialtroneria; al massimo può arrivare a essere un mediocre cialtrone, essendogli l’eccellenza, foss’anche in negativo, preclusa per definizione. A lui si attaglia perfettamente quel che Leo Longanesi diceva per insultare qualcuno, attribuendogli l’appellativo di “testina di manzo numero due”, per non concedere il primato neppure in negativo. Di perfezione, quindi, nemmeno a parlarne, essendo la dimensione dell’apprendimento, con la sottesa tensione al miglioramento, fondamentalmente estranea alla natura di questo tipo umano.

Vietti La cialtroneria non si crea né si distrugge, si può solo distribuire

    Pubblichiamo stralci di “Fenomenologia del cialtrone” (Laterza, 131 pp., 14 euro), il nuovo libro di Andrea Ballarini

    Qualità precipua del cialtrone è la mediocrità. Egli ne ha fatto una regola di vita. Anzi, la regola. Il cialtrone non spicca in nulla, neppure nella cialtroneria; al massimo può arrivare a essere un mediocre cialtrone, essendogli l’eccellenza, foss’anche in negativo, preclusa per definizione. A lui si attaglia perfettamente quel che Leo Longanesi diceva per insultare qualcuno, attribuendogli l’appellativo di “testina di manzo numero due”, per non concedere il primato neppure in negativo. Di perfezione, quindi, nemmeno a parlarne, essendo la dimensione dell’apprendimento, con la sottesa tensione al miglioramento, fondamentalmente estranea alla natura di questo tipo umano. Il cialtrone è quel che è, formato una volta e per sempre, ontologicamente determinato, immutabile come le montagne eppure proteiforme nella sua insipienza. Sono concetti densi e di non immediata comprensibilità (è palese), ma è il rischio che si deve correre se si vuole trattare una materia così gravida e magmatica come quella che è oggetto di questo studio. D’altra parte, dopo millenni di empirismo cui finora ci siamo attenuti nei rapporti con il cialtrone, credo che i tempi siano maturi per tentare un qualche grado di elaborazione teorica.

    L’arte di smerciare luoghi comuni
    Il cialtrone trova il suo presupposto esistenziale nella fondamentale superficialità del 90 per cento delle comunicazioni interpersonali. Se la conversazione sta trattando, facciamo un esempio, gli ultimi sviluppi della fisica, il cialtrone riuscirà di sicuro a lasciar cadere un riferimento al principio di indeterminazione di Heisenberg, in base al quale non è possibile determinare la posizione e la quantità di energia di una particella in un determinato momento. Questa è quasi certamente l’unica sua nozione di fisica teorica e se dovesse cercare di spiegare lo stesso concetto con altre parole non sarebbe in grado di dire “che non si può misurare un fenomeno senza alterarlo”. Nondimeno, quest’ultima frase gli è giunta alle orecchie più di una volta nella sua vita e quindi non gli mancherà l’occasione per usarla, una volta o l’altra, e chi se ne importa se il cialtrone non sospetta neppure la sua relazione con quell’altra. Anche se gli altri interlocutori saranno altrettanti titolari di premi Nobel per le loro ricerche sulla fisica delle alte velocità, il cialtrone non avrà alcuna difficoltà a spendere l’unica cosa che sa, facendola apparire come una minima parte emersa dell’immenso iceberg di conoscenze sottostante. E’ la letteratura il tema in tavola? Si sta dissertando del crogiolo d’ingegni che fu la Parigi di fine secolo e qualcuno avrà fatto il nome di Mallarmé? Ebbene, osservate con quanta calibratissima nonchalance il nostro pronuncerà con un appena percepibile accento di intima sofferenza la frase “Eh bien, j’aime les poètes maudits”, prima di veleggiare verso altri capannelli e altri argomenti, armato solo di un bicchiere contenente un Manhattan o un Vodka Martini (che fino a qualche anno fa avrebbe rigorosamente ordinato “Shaken not stirred”, finché il rilancio dell’immagine di James Bond non ha reso troppo ordinario quello stilema di raffinatezza ed eleganza, rendendolo di fatto inutilizzabile). Con una sola frase egli avrà lasciato immaginare una conoscenza filologica dei tre articoli dedicati ai poeti maledetti da Verlaine nel 1883, una naturale dimestichezza con il vasto fenomeno del decadentismo europeo e una completa padronanza del francese (che in realtà non si spinge più in là del “plateau royal de coquillages” scovato sul menù plastificato di una trattoria di Mentone, “splendida gita di un giorno al Santuario de Notre-Dame-de-Laghet, con pranzo in tipica trattoria francese a soli Euro 12.99 – Durante il viaggio di ritorno sarà effettuata una dimostrazione commerciale di pentole e attrezzi da cucina”). Da notare come il bicchiere sia un accessorio quasi immancabile nella dimensione sociale del cialtrone, perché serve a sottolineare iconicamente la suprema naturalezza con cui egli cavalca, leggero come un surfista (ricordate la tôle ondulée?), ogni corrugamento del pensiero. Come Dean Martin quando, tra uno standard e l’altro, dialogava con Frank Sinatra senza smettere di ruotare due cubetti di ghiaccio nel suo tumbler di bourbon facendo sbellicare la platea del Sands di Las Vegas, così lui spazierà tra la poesia simbolista e la sua iniziazione ai piaceri dell’eros con una commessa di Amburgo in una comune della swinging London, sempre ostentando la più completa disinvoltura. Ma il bicchiere può anche diventare esso stesso il coprotagonista dello spettacolo che il cialtrone allestisce. Il vino negli ultimi anni è diventato un protagonista della nostra vita sociale. Per secoli lo si è bevuto, venduto, versato senza alcuna particolare attenzione; poi, improvvisamente, i salotti si sono affollati di esperti di barriques e tonneaux, terroirs e cru, archetti glicerici e sentori di frutti rossi. Un vero cialtrone può forse non distinguere uno Chateau Margaux da una Coca-Cola Zero, ma sa con esattezza quale nome di produttore buttare lì, quale dei nove Grand Crus dello Chablis citare e magari può anche spingersi ad affermare di preferire il Grenouilles al Les Clos senza, ovviamente, aver mai assaggiato né l’uno né l’altro. L’importante – la sola cosa veramente importante – è che agli astanti traspaia senza ombra di dubbio che quei nomi e quei luoghi sono parte della sua vita come della nostra lo sono l’edicolante sotto casa o il giardinetto dove portiamo a passeggiare il cocker. Sapere tutto e non conoscere nulla è l’aurea misura a cui il cialtrone ispira la propria azione, indipendentemente dal campo a cui essa si applichi. Come il Don Giovanni di Mozart-Da Ponte egli sa bene che – con le materie dello scibile umano, così come con le donne “chi verso l’una è fedele verso l’altre è crudele”, perciò come un farfallone amoroso d’intorno girando posa qui un motto, là una frase, più in là ancora una citazione. Ne risulta una figura di uomo omnidirezionale, conforme alle aspirazioni rinascimentali, giusto riportate da quelle leonardesche altezze a una più abbordabile humana mediocritas. O meglio ancora, a una più accessibile apparenza (che, proverbialmente, inganna). Animale sociale per antonomasia, il cialtrone sa che per essere apprezzato dall’umano consesso è più utile sembrare qualcosa che esserlo veramente e che, ai fini del risultato, apparire è equivalente a essere. Il mondo va di fretta e solo se corri più di lui puoi sperare di riuscire a sopravvivere. Chi ha più il tempo di fermarsi a verificare la prima impressione? Nessuno. Qualunque ragionamento sia più lungo di un titolo cade inesorabilmente nel nulla. Tullio De Mauro sul Corriere della Sera scrive con allarmante regolarità che un terzo degli italiani non è in grado di leggere e riassumere un articolo di giornale di difficoltà media. E allora, se si ha a che fare con questa platea, che senso ha leggersi tutto il “Cortegiano” del Castiglione (tanto più che nessuno lo fa da decenni) se per lasciare intendere di averlo fatto basta accennare alla sprezzatura? Il cialtrone sa meglio di chiunque che nella vita di tutti i giorni siamo bombardati da mille, centinaia di migliaia, milioni di stimoli: segni, segnali, semi. Molto più di quanto si sia umanamente capaci di interpretare. Chi domina i segni, domina il mondo, ergo: sembro, quindi sono.

    Gli scrittori da Web
    La dicitura è ampia e si adatta a una disparata varietà di scribacchini, accomunati però tutti dall’unanime disprezzo per la regola fondante della letteratura mondiale, e cioè che per scrivere è necessario avere qualcosa da dire. Il criminale all’origine di questa autentica iattura – la probabile inconsapevolezza spiega il suo agire, ma certo non lo giustifica – è Raymond Carver, il padre di quella corrente letteraria contemporanea che è stata chiamata minimalismo. La capacità di osservazione entomologica delle dinamiche umane che lo ha spinto a scrivere racconti di due personaggi che, magari, neanche si incontrano ma si limitano a osservarsi dalle finestre dei rispettivi appartamenti in queste desolate città americane ha indotto migliaia di epigoni detalentati a concepire racconti dove non succede niente, i personaggi non fanno niente se non agonizzare in trame boccheggianti per una decina di pagine senza capo né coda, ignorando tutto ciò che potrebbe essere coerenza, logica, intreccio. Possa il Padreterno perdonare Carver perché non sapeva quel che faceva. Questa modalità di scrittura trova la sua estrema incarnazione, la sua apoteosi, la sua quintessenza nei blog e nei social network. Gli scrittori da blog – non tutti, sia ben chiaro, solo quelli cialtroni – si sono liberati d’un colpo di qualunque convenzione e riempiono pagine e pagine di prosa sperimentale, la cui sperimentalità consiste essenzialmente nel non fare capire un tubo al lettore. Concetto da affermare con cautela, però, perché scagliarsi contro brani tipo il seguente, scaricato da un blog a caso tra i milioni presenti in rete, in certi ambienti rischierebbe di attirare l’accusa di aridità: “Si alza alto nel cielo senza sbiadire. Ha con sé l’essenza estrema di quella persona. Vuole conservarla. Custodirne il ricordo. Non la conosceva prima, ma ora c’è stato uno scambio intenso. E dolente. Su nel cielo non v’è nulla che vi possa trovare. Nessuno a cui l’aria mutata in respiro possa implorare aiuto. Negli immensi spazi le nuvole giocano a rimpiattino, scivolando sulle correnti, totalmente indifferenti a quel che accade là, molto più in basso. Anche l’aria è respiro. Prima nulla la tangeva. Tutto le era indifferente. Ma in questo momento. Divenuta respiro è avvilita. Umiliata. Chi non ha ascoltato le sue preghiere?”. Chi? Che cosa? Quando? Dove? Mah! Si potrebbe dire che qualunque brano letterario estrapolato brutalmente dal contesto può risultare di difficile comprensibilità. Ma, a parte il fatto che non è vero, tutto il racconto da cui queste righe sono estratte è di questo tenore. Perché infliggere al prossimo tali esempi di grafomania patologica? Semplice: perché ora la tecnologia consente di farlo. E se una cosa può essere fatta, perché non farla? Perché trattenersi? Solo perché è una cazzata? A parte il fatto che il criterio estetico per decidere cosa rientri in quella categoria aristotelica è tutto da definire, non dimentichiamoci che il cialtrone pensa di essere adeguato per definizione. E la stessa linea di pensiero, portata alle estreme conseguenze, conduce inesorabilmente il cialtrone grafomane a usare Facebook come se fosse una clava con cui tramortire quei disgraziati che hanno la sfortuna di essergli, diciamo così, amici. Ecco che, allora, non resiste a cenare in un ristorante senza fotografare un comunissimo piatto di trenette al pesto e postarne la foto accompagnata dall’insostituibile commento: “Trenette al pesto! Yum-yum!”. Ci sono poi quelli che, invece, ci tengono a comunicare urbi et orbi che stanno andando “Verso Casteggio!”. Altri ancora sentono l’impulso di postare una foto di una scritta, ma non una scritta particolare, solo una scritta: semplice, banale, che dice: “E adesso?”. Per non parlare di quelli che non si trattengono e devono proprio esprimere il loro travolgente entusiasmo culturale per “Ildegarda di Bingen. Che ganza!”. I peggiori, però, sono quelli che hanno distillato il minimalismo da blog trasformandolo in una versione de noantri di un haiku, con lo sfondo dell’Appennino al posto del Fujiyama: “_tu sei cavallo. Come me. Sapido”. O anche “_sesquipedale. Campo semantico”. La loro urgenza è quella di esprimersi e chi se ne importa se esprimono cazzate. Dico, quindi sono.  

    Non ho niente da dire ma devo dirlo
    Al gradino più basso di questi interpreti espressionisti delle regole del vivere e dello scrivere civile ci sono gli scrittori da Web che, per insondabili ragioni della politica editoriale, arrivano alla pubblicazione. Spesso stampati da editori APS, cioè A Proprie Spese – secondo l’immortale definizione data da Umberto Eco nel “Pendolo di Foucault” – il momento di massima gloria di questi pubblici infelicitatori è la presentazione del loro libro. Stante che detto volume è di fatto non distribuito, la presentazione è per i malcapitati amici, parenti o semplici conoscenti del grafomane la sola occasione di entrare in contatto con il parto della creatività cialtronesca. Solitamente queste presentazioni si svolgono in orridi sottoscala di librerie semiperiferiche. Di norma c’è un tavolo in formica, tipo sezione sgarrupata del Pci del Dopoguerra, dietro cui siedono il cialtrone, il professor Teotochi Albizzati Fringibello del Rosso, antico insegnante di greco del cialtrone ai tempi del liceo, e una settantenne con filo di perle e parecchi braccialetti d’oro, piuttosto ben tenuta ancorché un poco scricchiolante, nota animatrice culturale della parrocchia. Il pubblico può essere di due tipi: prezzolato o spontaneo. Se è del primo tipo sono circa quindici persone, cioè tutti, ma proprio tutti, gli amici del cialtrone e quei due o tre congiunti (madri, padri, fratelli) che non hanno potuto esimersi dal presenziare; se è del secondo tipo, sono rigorosamente due anziane pensionate che non hanno mai niente da fare alle sei del pomeriggio e che preferiscono sonnecchiare a un evento culturale – che fa prestigio e tiene la mente attiva – piuttosto che in chiesa o davanti a qualche programma tv del pomeriggio. In ogni caso il pubblico spontaneo è sempre numericamente inferiore a quelli che presentano. L’animatrice culturale introduce l’opera del cialtrone APS magnificando la sensibilità dell’autore, lo stile potente e la sottigliezza psicologica che, del resto, traspare fin dal titolo: “Decrittando Cupido”. Finalmente il cialtrone APS può prendere la parola e sfiancare i presenti con un vaniloquio di mezz’ora che spinge la madre dell’autore a un passo dal disconoscimento. Quando, ebbro di sé, deve prendere fiato, offre involontariamente l’opportunità al Teotochi Albizzati Fringibello del Rosso di porre una domanda sulle ragioni inconsce che hanno spinto l’autore ad ambientare la sua storia d’amore – ché di questo si tratta – tra una pr milanese e un ex lama tibetano a Sharm el-Sheikh. Desiderio di épater le bourgeois o intima necessità creativa? Segue altro vaniloquio – di cui non vale la pena dare conto –, quindi debole applauso, prosecchino con patatina rancida e tartine ossidate e poi dediche e dediche come neppure Ken Follett: “A Sandro, amico, mentore, sodale, drudo, così lontano eppur così vicino” e altre variazioni sul genere. E’ molto difficile che Carver possa mai essere perdonato.

    Vietti La cialtroneria non si crea né si distrugge, si può solo distribuire