Piccolo Continente

La Francia e i suoi gusti no global stritolano Barroso

David Carretta

Nel pieno di una crisi aggravata dall’incapacità di riformare il paese, nell’Europa della Germania riluttante ma egemone, volano gli stracci tra Parigi e Bruxelles. Il pensiero dominante nella classe politica francese continua a essere che “l’Europa deve adattarsi alla Francia”, spiega al Foglio l’europarlamentare Sylvie Goulard commentando le invettive del presidente François Hollande e del governo socialista contro la Commissione europea. La scorsa settimana José Manuel Barroso aveva dato fuoco alle polveri, qualificando come “reazionari” i barricaderi dell’eccezione culturale nei negoziati sull’accordo di libero scambio tra Unione europea e Stati Uniti.

    Bruxelles. Nel pieno di una crisi aggravata dall’incapacità di riformare il paese, nell’Europa della Germania riluttante ma egemone, volano gli stracci tra Parigi e Bruxelles. Il pensiero dominante nella classe politica francese continua a essere che “l’Europa deve adattarsi alla Francia”, spiega al Foglio l’europarlamentare Sylvie Goulard commentando le invettive del presidente François Hollande e del governo socialista contro la Commissione europea. La scorsa settimana José Manuel Barroso aveva dato fuoco alle polveri, qualificando come “reazionari” i barricaderi dell’eccezione culturale nei negoziati sull’accordo di libero scambio tra Unione europea e Stati Uniti. Il ministro dell’Industria di Parigi, Arnaud Montebourg, ha reagito accusando Barroso di essere “il carburante dell’estrema destra”. E Barroso ha risposto mettendo nello stesso sacco il socialista Montebourg e il Front National: su “globalizzazione, riforme economiche ed Europa, alcuni sovranisti di sinistra e di estrema destra fanno lo stesso discorso”. Per Goulard, queste polemiche sono “ridicules” ma nascondono problemi reali nei rapporti tra la Francia di Hollande e Bruxelles.

    Il primo riguarda lo status francese in Europa. I tempi della politica della sedia vuota di De Gaulle, quando il generale si permetteva di dire “no” all’ingresso del Regno Unito nella Comunità europea, sono finiti. La cultura del “villaggio gallico” – come Goulard aveva qualificato la Francia durante la campagna presidenziale del 2012 – “trascende tutti i partiti”. Per Goulard, “volere un’Europa forte con istituzioni deboli è la contraddizione originale della Francia: è il paese di alcuni dei padri fondatori”, ma anche quello che “ha frenato” di più la costruzione europea. In questo momento di ristrutturazione dell’Ue, il conflitto riguarda la “delimitazione dei poteri politici reali” tra Commissione e governi nazionali “su dossier come il commercio internazionale o la governance della zona euro”, conferma Thomas Klau, direttore dell’ufficio di Parigi dell’European Council on Foreign Relations. Le tensioni sui confini tra sovranità nazionale e sovranità europea non toccano solo la Francia. C’è “un’ambiguità fondatrice” che vale per tutti, dice Klau: “Gli stati membri rifiutano di sottomettersi a un vero potere esecutivo, riconoscendo al contempo che se si continua a fare come nei primi 10 anni dell’euro si rischia di andare nel muro”. Ma c’è anche una “specificità francese, legata al sistema costituzionale”: Hollande, come i suoi predecessori, da De Gaulle in poi, è “un monarca eletto che fatica a sottomettersi alle costrizioni di Bruxelles, perché nella Quinta Repubblica il presidente incarna tutta la potenza dello stato”.
    Quanto ai battibecchi Barroso-Montebourg, ci sono “calcoli personali di opportunismo politico”, dice Klau. “Utilizzando la parola reazionario in un contesto altamente sensibile”, Barroso forse vuole ingraziarsi gli Stati Uniti per una futura carriera alla Nato o in un’altra organizzazione. Oppure – dice Klau – ha fatto una “stupidaggine politica”: è chiaro che ha “reso più difficile a Hollande creare un movimento di adesione nella sua maggioranza politica e tra la popolazione” al patto di libero scambio Ue-Usa. Le bordate anti europee e anti globalizzazione di Montebourg, invece, fanno parte “del suo capitale politico”. E qui emerge il secondo grande problema della Francia di Hollande.

    Lamy, Lagarde e Dsk, i francesi global
    Il Partito socialista “non è evoluto verso una socialdemocrazia”, dice Goulard. L’unità socialista è “di facciata: c’è un vero fossato tra chi è pronto ad accettare l’Europa e la socialdemocrazia e chi è ancora in una logica di lotta di classe e nazionalismo di sinistra”. Il nazionalismo in Francia, nato nel 1789, ha sempre bisogno di un “nemico straniero”: Usa, Ue, Germania o la globalizzazione. Solo che nel XXI secolo, “non si fa sparire il resto del mondo con un telecomando”, dice Goulard, tanto più quando si ha una “struttura economica fondata su colossi globalizzati” come Airbus o Areva. L’ha detto ai suoi compagni anche un socialista, che Hollande potrebbe chiamare come premier: “La tesi della de-mondializzazione è reazionaria. Il mondo non torna indietro”. Parola del direttore uscente del Wto, Pascal Lamy, che, con i francesi Dominique Strauss-Khan e Christine Lagarde, ha governato la globalizzazione.