Parola per parola la “trasparenza” atomica dell'iraniano Rohani

Tatiana Boutourline

Nell’entusiasmo internazionale che circonda l’ascesa del neo presidente iraniano Hassan Rohani, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è l’unica voce fuori dal coro: la moderazione del nuovo numero due di Teheran è solo fumo negli occhi, wishful thinking. “Per noi non cambia nulla”, ha detto il ministro della Difesa israeliano Moshe Yaalon, nel frattempo però la luna di miele tra il presidente Rohani e le cancellerie occidentali si è aperta in grande stile. Secondo il New York Times la sua elezione “è molto promettente”, il ministro degli Esteri Emma Bonino e il presidente francese François Hollande caldeggiano la partecipazione dell’Iran alla conferenza di pace sulla Siria Ginevra 2, la Russia rappresenta la vittoria di Rohani come una specie di primavera iraniana cui spalancare le braccia.

    Nell’entusiasmo internazionale che circonda l’ascesa del neo presidente iraniano Hassan Rohani, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è l’unica voce fuori dal coro: la moderazione del nuovo numero due di Teheran è solo fumo negli occhi, wishful thinking. “Per noi non cambia nulla”, ha detto il ministro della Difesa israeliano Moshe Yaalon, nel frattempo però la luna di miele tra il presidente Rohani e le cancellerie occidentali si è aperta in grande stile. Secondo il New York Times la sua elezione “è molto promettente”, il ministro degli Esteri Emma Bonino e il presidente francese François Hollande caldeggiano la partecipazione dell’Iran alla conferenza di pace sulla Siria Ginevra 2, la Russia rappresenta la vittoria di Rohani come una specie di primavera iraniana cui spalancare le braccia. Il presidente russo Vladimir Putin, che ormai gestisce buona parte degli affari mediorientali su cui l’America balbetta (vedi la crisi siriana) lo definisce “un uomo molto esperto” e il plenipotenziario agli Esteri russo Sergei Lavrov si toglie i panni da “Mr Niet” e assicura: l’Iran è disponibile a sospendere il suo arricchimento dell’uranio al 20 per cento, bisogna pensare a sollevare Teheran dal peso delle sanzioni.

    Rohani lunedì ha esplicitamente escluso l’ipotesi di sospendere l’arricchimento dell’uranio, ma secondo Haaretz, i russi non si sarebbero esposti senza essere stati imbeccati dagli iraniani. Forse –  scrive il quotidiano israeliano – il nuovo corso di Teheran è stato anticipato a Mosca a febbraio durante una visita in Kazakistan di Rohani alla vigilia dei colloqui tra L’Iran e i 5 più 1. Intanto l’Iran cerca di sfruttare il vento a favore: il nuovo round negoziale è in calendario ad agosto, ma un portavoce del ministero degli Esteri iraniano ha lasciato intendere che Teheran è disposta a tornare a trattare anche prima e la disponibilità è stata subito sottolineata come un altro segnale di distensione.

    Solo due settimane fa Rohani criticava la politica estera iraniana degli ultimi otto anni (“possiamo contare amici e alleati sulle dita di una mano”), sottolineava la correlazione tra economia e dossier nucleare (le sanzioni hanno dimezzato le esportazioni petrolifere iraniane e contribuito al declino del riyal) e prometteva di restaurare la gloria nazionale con uno stile meno dogmatico e più razionale. La strategia nucleare compete alla Guida suprema Ali Khamenei – specificava Rohani – ma il governo può influire “sulla tattica e sul metodo di esecuzione”. Gli è bastato definirsi moderato e ripetere la parola “trasparenza” più volte durante la sua prima conferenza stampa per trasformarsi nella nuova speranza della comunità internazionale, anche se “trasparenza” è una parola curiosa in bocca a Rohani.
    Essere stato definito il “no nonsense nuclear negotiator” non è garanzia del fatto che alla forma corrisponda la sostanza, lo ha ripetuto più volte lo stesso Rohani. Nel 2006 per esempio raccontava: “Mentre parlavamo con gli europei a Teheran, installavamo l’equipaggiamento necessario nella centrale di Isfahan. In effetti creando un clima di calma e serenità siamo riusciti a completare il lavoro a Isfahan” (la conversione dell’uranio da yellowcake a hexafluoride, ossia il gas che può andare nelle centrifughe). Così – si è vantato Rohani – mentre gli Stati Uniti supplicavano gli europei di non crederci, “gli europei rispondevano: noi ci fidiamo di loro”. Erano gli anni in cui Washington voleva mandare il dossier iraniano al Consiglio di sicurezza. “Gli americani volevano fermarci e noi invece abbiamo raggiunto il nostro obiettivo – ha ribadito in un’intervista recente Rohani – Ho iniziato a parlare con i ministri e ho finito per negoziare con i presidenti. Questo è quello che dovremmo fare oggi”.