G8 liberoscambista (e pure fiscalista)

David Carretta

I leader del G8 vogliono forse credere che la crisi della zona euro sia ormai alle spalle, e così in cima all’agenda del summit di Enniskillen hanno messo non soltanto il commercio (“la Nato dell’economia” tra Stati Uniti e Ue) ma anche la lotta all’elusione e all’evasione fiscale. Perché? I leader del G8 vogliono credere che la grande crisi della zona euro sia ormai alle spalle e, così, in cima all’agenda del summit di Enniskillen hanno messo il commercio e la lotta all’elusione fiscale. L’avvio dei negoziati per “la Nato dell’economia” è stato annunciato ieri: l’obiettivo è creare “un’alleanza economica tanto forte quanto la nostra alleanza diplomatica e di sicurezza”, ha spiegato il presidente americano, Barack Obama.

    Bruxelles. I leader del G8 vogliono forse credere che la crisi della zona euro sia ormai alle spalle, e così in cima all’agenda del summit di Enniskillen hanno messo non soltanto il commercio (“la Nato dell’economia” tra Stati Uniti e Ue) ma anche la lotta all’elusione e all’evasione fiscale. Perché? I leader del G8 vogliono credere che la grande crisi della zona euro sia ormai alle spalle e, così, in cima all’agenda del summit di Enniskillen hanno messo il commercio e la lotta all’elusione fiscale. L’avvio dei negoziati per “la Nato dell’economia” è stato annunciato ieri: l’obiettivo è creare “un’alleanza economica tanto forte quanto la nostra alleanza diplomatica e di sicurezza”, ha spiegato il presidente americano, Barack Obama. Per la giornata di oggi, l’ambizione di David Cameron, il premier britannico che presiede il vertice del G8, è un accordo globale per lo scambio automatico di informazioni bancarie. Evasione ed elusione “minano il contratto sociale delle nostre società democratiche”, ha detto il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy. Il tema è popolare, al limite del populismo, quando si raschia il fondo del barile dei bilanci nazionali. “In un’epoca di consolidamento, è moralmente, politicamente e finanziariamente inaccettabile”, ha spiegato Van Rompuy.

    Gli scandali delle multinazionali che riescono in tutta legalità a sfuggire al fisco, trasferendo i profitti verso giurisdizioni fiscalmente più convenienti, hanno dato uno slancio inedito alla lotta all’elusione. Starbucks, facendo pagare le royalty alla sua filiale britannica per l’utilizzo del marchio e trasferendole in Olanda, è riuscita a pagare 8,6 milioni di sterline di imposte su 3 miliardi di fatturato nel Regno Unito dal 1998 al 2012. La filiale irlandese di Apple, con 22 miliardi di giro d’affari nel 2011, ha lasciato al fisco appena 10 milioni di dollari. Google, con una triangolazione tra Irlanda, Olanda e Bermuda, dal 2006 al 2011 ha pagato solo lo 0,08 per cento di tasse su un fatturato di 18 miliardi. Ma perfino i peccatori mostrano segnali di pentimento: “Tocca ai governi decidere le regole. Quando lo fanno, le imprese rispondono”, ha scritto sul Financial Times il presidente di Google, Eric Schmidt. Per il presidente della Commissione, José Manuel Barroso, “l’evasione e l’elusione fiscale costano agli stati membri 1 trilione di euro l’anno”. L’Europa dice di essere all’avanguardia, ma in realtà non ha ancora messo seriamente in discussione i suoi piccoli e grandi paradisi fiscali. La modifica della direttiva sulla tassazione dei redditi da risparmio – con la fine del segreto bancario anche su dividendi e capital gain – è ostaggio del veto di Lussemburgo e Austria, che non vogliono subire la concorrenza di Svizzera o Liechtenstein. Irlanda, Olanda e Lussemburgo continuano a essere giurisdizioni fiscali aggressive per attrarre multinazionali e hedge fund.  Anche il Regno Unito ha le sue pecche: Jersey, la mini-isola della Manica che ha fatto dell’ottimizzazione fiscale la sua principale attività economica, è formalmente il primo esportatore al mondo di banane grazie alle sussidiarie di colossi come Del Monte. Secondo Eurostat, nel 2012 “la principale destinazione degli investimenti dell’Ue erano i centri finanziari offshore” dove sono stati trasferiti 18 miliardi. Se ci sono progressi sullo scambio automatico di informazioni il merito non è dell’Ue, ma “delle pressioni americane”, ha ricordato il premier lussemburghese, Jean-Claude Juncker.

    La lotta all’evasione serve anche a nascondere lo stallo dei leader della zona euro sulle misure per superare la crisi. L’Unione bancaria è al palo, per il veto della Germania a una autorità unica di risoluzione. Le misure pro crescita del prossimo vertice Ue non superano i 6 miliardi per la disoccupazione giovanile. I mercati del debito sovrano sono nervosi: in attesa delle decisioni della Fed, nelle ultime settimane gli spread di Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Grecia sono tornati a salire.
    David Carretta