Diversa italianità

Lo sbarco in America di Fiat e l'incognita Ilva sulla manifattura

Ugo Bertone

Non è facile far cambiare idea al capo di Fiat, Sergio Marchionne. Ne sanno qualcosa i “Figli d’Italia”, l’associazione di Washington che venerdì scorso ha premiato lui e l’ex segretario di stato americano, Colin Powell. Tutti in smoking all’ombra del Campidoglio, salvo lui: “E’ una vita che non indosso un tuxedo” si è limitato a rispondere l’ad di Fiat, per niente imbarazzato al fianco del generale. E così, se assieme a John Philip Elkann ha davvero deciso la ritirata dall’Italia, sarà difficile che Flavio Zanonato, il neo   ministro dello Sviluppo economico (figlio di un ex operaio Fiat), possa fargli cambiare idea chiedendogli, come anticipato in tv, “dimmi cosa possiamo fare per mantenere Fiat e i suoi impianti produttivi in Italia”.

    Non è facile far cambiare idea al capo di Fiat, Sergio Marchionne. Ne sanno qualcosa i “Figli d’Italia”, l’associazione di Washington che venerdì scorso ha premiato lui e l’ex segretario di stato americano, Colin Powell. Tutti in smoking all’ombra del Campidoglio, salvo lui: “E’ una vita che non indosso un tuxedo” si è limitato a rispondere l’ad di Fiat, per niente imbarazzato al fianco del generale.
    E così, se assieme a John Philip Elkann ha davvero deciso la ritirata dall’Italia, sarà difficile che Flavio Zanonato, il neo   ministro dello Sviluppo economico (figlio di un ex operaio Fiat), possa fargli cambiare idea chiedendogli, come anticipato in tv, “dimmi cosa possiamo fare per mantenere Fiat e i suoi impianti produttivi in Italia”. “Ma io penso che sia necessaria una riflessione da parte di entrambi. A Marchionne bisogna offrire certezze istituzionali: vogliamo difendere la nostra base industriale e lei, per noi, è un pezzo importante della squadra. Giochiamo insieme in Europa”. Parla così Patrizio Bianchi, assessore al Lavoro in Emilia Romagna ma soprattutto economista industriale e autore de “La rincorsa frenata” (Il Mulino), un saggio su quella che è ancora la seconda nazione manifatturiera d’Europa.

    Il rischio è che Fiat faccia, almeno in parte, le valigie e che l’Ilva invece scompaia sotto il peso dei sequestri e delle ingiunzioni: un’azienda che non può chiudere, sulla quale ieri la commissione Industria del Senato ha deciso di promuovere un’indagine conoscitiva sulle ultime vicende, in seguito al vertice tra azienda e il premier Enrico Letta. “E’ una storia parallela – dice Bianchi – Sessant’anni fa ci fu una divisione dei ruoli: allo stato la siderurgia, base per il nostro sviluppo industriale, alla Fiat le auto. Un binomio che ha subìto una revisione negli anni Settanta. Urge una terza onda, in grado di tracciare lo sviluppo dei prossimi trent’anni. Ma prima bisogna capire che la manifattura è importante. Ed è una cosa seria: possibile che si parli di tutto ma non degli acciai da fare a Taranto? Il futuro sta negli acciai speciali”. E la Fiat, dice Bianchi, “non può dimenticare che alla base dello sbarco in Chrysler c’è la tecnologia italiana”.

    “Ancor oggi – continua Bianchi – il principale fornitore di motori è la Vm di Cento. L’Italia non può avere un ruolo marginale. Per questo il governo ha il dovere di chiedere quali siano i piani di sviluppo”.  In questi giorni, i motori Fiat rombano più in Borsa (il titolo è salito del 13 per cento nelle ultime tre sedute) che negli stabilimenti. Per la terza seduta di fila i titoli del Lingotto fanno scintille in Piazza Affari. Merito delle prossime nozze con Chrysler, che gli analisti danno ormai per scontate, compreso il costo della cerimonia (20 miliardi di dollari tra acquisizioni di quote, aumenti di capitale e prestiti da rinnovare) e la residenza. Anzi, le residenze: perché, spiega John Elkann, “abbiamo un mercato importante in Europa governato da Torino, uno in nord America, gestito da Detroit, e uno in sud America, da Belo Horizonte. Quello asiatico da Shanghai. Più si va avanti, più quello della sede è un concetto che non ha senso per le organizzazioni grandi che hanno bisogno di tante sedi”. Già, ma uno o più centri di gravità ci vogliono: sul piano finanziario si sa che la nuova società sarà quotata a Wall Street (Milano, forse, sede secondaria almeno per un po’); per la sede legale, facile si scelga una governance che consenta al socio di maggioranza di controllare il gruppo con uno sforzo limitato (come avviene per Fiat Industrial-Cnh basata ad Amsterdam). E il quartier generale? Nulla di deciso, ma l’Europa, nell’universo Fiat, conta meno. “Però la Fiat non s’illuda – conclude Bianchi – che il futuro appartenga a un’azienda apolide, costruita come un patchwork. Una base ci vuole, e l’America non è facile”. Prima o poi lì bisogna indossare lo smoking.