Il lato oscuro di Haaretz

Redazione

Stavolta il quotidiano simbolo dei caffè di via Shenkin, rifugio della bohème pacifista israeliana, riconosciuto per la sua indipendenza e per il suo prestigio, sembra averla fatta davvero grossa. In prima pagina su Haaretz è apparso un articolo di Amira Hass in cui difende e sprona i palestinesi che attaccano gli automobilisti israeliani. “Il lancio di pietre è un diritto e un dovere innato per chi si trovi sotto un regime straniero”, ha scritto apertamente la Hass sul giornale della borghesia di Tel Aviv.

    Stavolta il quotidiano simbolo dei caffè di via Shenkin, rifugio della bohème pacifista israeliana, riconosciuto per la sua indipendenza e per il suo prestigio, sembra averla fatta davvero grossa. In prima pagina su Haaretz è apparso un articolo di Amira Hass in cui difende e sprona i palestinesi che attaccano gli automobilisti israeliani. “Il lancio di pietre è un diritto e un dovere innato per chi si trovi sotto un regime straniero”, ha scritto apertamente la Hass sul giornale della borghesia di Tel Aviv. Sguardo severo dell’intellettuale centroeuropeo, Hass, che a Ramallah, capitale dell’Autonomia palestinese, ha preso persino casa, è diventata nell’opinione pubblica israeliana la maggiore avvocatessa della causa palestinese. La vicenda Hass esplode mentre la Cisgiordania è sull’orlo di una nuova Intifada. L’articolo è uscito nel giorno stesso in cui un tribunale israeliano ha creato un precedente condannando per omicidio un palestinese colpevole di aver lanciato da un’auto in corsa una grande pietra contro un veicolo israeliano che viaggiava in direzione opposta. L’autista perse il controllo dell’automezzo e rimase ucciso con il figlio di un anno.

    Anche fra i lettori di Haaretz, avvezzi agli eccessi ideologici del giornale più cosmopolita d’Israele, si sono accumulati decine di commenti contro la giornalista e in molti hanno annunciato di sospendere l’abbonamento. “Questa è pura incitazione alla violenza: ma è mai permesso?”, ha chiesto un lettore. Anche da sinistra Amira Hass è stata duramente attaccata. Yossi Beilin, colomba e leader del processo di Oslo, sul giornale Israel Hayom ha denunciato l’articolo di prima pagina. Non è la prima volta che su Haaretz appare un editoriale in difesa della “resistenza palestinese”. Durante la Seconda Intifada il professor Ze’ev Sternhell pubblicò un articolo in cui diceva che “se i palestinesi avessero più buon senso punterebbero la loro lotta contro gli insediamenti, così potrebbero anche evitare di collocare cariche esplosive a ovest della linea verde”.

    E’ il cuore oscuro del giornale che nei suoi oltre novant’anni di vita ha sempre cercato di portare alla luce le ferite dello stato ebraico, le sue contraddizioni, i suoi drammi, ma ormai in modo considerato sempre più sleale dalla maggioranza dell’opinione pubblica israeliana. Così la “coscienza d’Israele”, come è stato ribattezzato Haaretz, ha finito per ignorare le sofferenze della popolazione civile sotto decennale minaccia terroristica. Quando scoppiò la Seconda Intifada e i kamikaze insanguinarono bar, ristoranti e centri commerciali, Amnon Dankner, firma di punta di Haaretz, attaccò i colleghi di redazione: “E’ sbagliato chiedere ai reporter di Haaretz un po’ di compassione per il proprio popolo?”.