Altro che evoluzionismo, la nuova frontiera genetica è la de-estinzione

Piero Vietti

Basta con il darwinismo, la nuova frontiera della scienza è la de-estinzione. Non contenti di studiare come le specie animali si sarebbero evolute nel tempo, ora i biologi stanno cercando di riportare in vita quelle ormai estinte. Un paio di settimane fa, sotto l’egida del National Geographic, un gruppo di biologi si è radunato a Washington in occasione della TedxDeExtinction, una conferenza a metà tra un raduno di aspiranti Frankenstein e un racconto di Maurizio Milani. Dopo anni nelle catacombe dei laboratori scientifici, gli studiosi di questa tecnica hanno deciso di organizzare il primo dibattito pubblico, e spiegare che – come in una sceneggiatura di “Jurassic Park” – basta un po’ di Dna di un essere per riportarlo in vita.

    Basta con il darwinismo, la nuova frontiera della scienza è la de-estinzione. Non contenti di studiare come le specie animali si sarebbero evolute nel tempo, ora i biologi stanno cercando di riportare in vita quelle ormai estinte. Un paio di settimane fa, sotto l’egida del National Geographic, un gruppo di biologi si è radunato a Washington in occasione della TedxDeExtinction, una conferenza a metà tra un raduno di aspiranti Frankenstein e un racconto di Maurizio Milani. Dopo anni nelle catacombe dei laboratori scientifici, gli studiosi di questa tecnica hanno deciso di organizzare il primo dibattito pubblico, e spiegare che – come in una sceneggiatura di “Jurassic Park” – basta un po’ di Dna di un essere per riportarlo in vita. Al netto delle semplificazioni e delle ironie, questo tipo di ricerca mira a ricostruire il Dna di specie estinte partendo da altre ancora esistenti. Un esempio: in America si sta pensando di ricreare una specie di piccione viaggiatore estinta nel Diciannovesimo secolo (e i cui escrementi erano un ottimo fertilizzante) partendo dal suo Dna conservato nei musei di scienze naturali e dai piccioni che attualmente volano nei cieli degli Stati Uniti.

    L’australiano Michael Archer insegna Scienze in una università australiana dal nome indicativo, Create (che sta per Coalition for Research into the Evolution of Australian Ecosystems). Assieme ad altri colleghi ha inventato un progetto con un altro nome indicativo, Lazarus, e ha riportato in vita la Rheobatrachus silus, una specie di rana che si era estinta nel 1980. Oltre Darwin e più di Darwin, dunque: là dove la “superstizione ottocentesca” – per dirla alla Camillo Langone e fare così un piacere a Piergiorgio Odifreddi – dell’evoluzionismo sosterrebbe che una specie si è estinta perché non è stata in grado di adattarsi ai cambiamenti, l’uomo-creatore interviene e la riporta in vita. Il prossimo passaggio è naturalmente l’essere umano: in una intervista allo Spiegel, il ricercatore di Harvard George Church ha assicurato di essere riuscito a recuperare, da alcuni resti vecchi di trentatremila anni, il Dna dell’uomo di Neanderthal. Secondo Church basterebbe  iniettarlo in un embrione umano nei suoi primissimi stadi di sviluppo, o in un ovocita, per vedere svilupparsi un uomo delle caverne. “Adesso mi serve solo una coraggiosa femmina umana” da fecondare, ha detto il professore con il tono di chi ha molta voglia di far parlare di sé.

    Giunta da poco alla ribalta pubblica, la de-estinzione è in realtà un vestito nuovo della clonazione, ultimamente considerata troppo vintage e legata ai romanzi di fantascienza. Puntare sulle specie estinte (meglio se per colpa dell’uomo) potrebbe darle un aria più pop e assicurarle miglior successo. Una delle più antiche e prestigiose riviste di divulgazione scientifica, Scientific American, pochi giorni fa parlava di incipiente “nuova èra degli ibridi”. Un’èra possibile grazie a un mix di biologia e ingegneria genetica: i nuovi esseri “creati” da questi innesti di Dna di specie estinte saranno infatti una via di mezzo tra gli animali che conosciamo noi e quelli di cui ci hanno parlato i libri di scienze. Conviene precisare che la tecnica è ancora lontana dal produrre effetti duraturi, per stessa ammissione degli studiosi impegnati in questi tentativi, ma come in un romanzo di Huxley, non mancano assicurazioni sul fatto che il tutto è fatto per uno scopo buono: curare malattie come l’Aids e il cancro. “Entro la fine del secolo avremo sulla vita un controllo che fino a oggi non potevamo nemmeno sognare”, ha assicurato l’avvocato e bioeticista Hank Greely.

    • Piero Vietti
    • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.