Da Assisi ad Allah, passando per Ratisbona. Il nuovo Pontefice e l'islam

Marco Burini

Ama incontrare gli altri, si è capito bene. Ne ha un bisogno fisico. Ma non dà l’idea di una mammoletta, anzi. Ha una gran voglia di dire quello in cui crede. Per questo stupisce fino a un certo punto che Papa Francesco nei suoi primi interventi abbia chiamato in causa più di una volta ebrei e musulmani. Non sono citazioni di prammatica, conferma Brunetto Salvarani, che insegna Teologia della missione e del dialogo alla facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna: “Siamo di fronte a una figura di pastore con una profonda spiritualità legata al Concilio e al suo essere gesuita".

Unità dei cristiani separati - Matzuzzi Nella Pasqua di magro di Bergoglio anche “i riti durano meno”

    Ama incontrare gli altri, si è capito bene. Ne ha un bisogno fisico. Ma non dà l’idea di una mammoletta, anzi. Ha una gran voglia di dire quello in cui crede. Per questo stupisce fino a un certo punto che Papa Francesco nei suoi primi interventi abbia chiamato in causa più di una volta ebrei e musulmani. Non sono citazioni di prammatica, conferma Brunetto Salvarani, che insegna Teologia della missione e del dialogo alla facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna: “Siamo di fronte a una figura di pastore con una profonda spiritualità legata al Concilio e al suo essere gesuita. E non dobbiamo dimenticare che a Buenos Aires c’è una storica comunità ebraica e, da quello che abbiamo letto nelle biografie, come vescovo ha sempre sostenuto le celebrazioni interconfessionali. Una prassi non scontata, se pensiamo all’ebraismo ortodosso di casa nostra. Là, invece, la rabbina Silvina Chemen ha predicato nel duomo mentre il cardinale Bergoglio ha preso la parola in sinagoga. Comunque lui sta portando avanti la linea del Concilio come i suoi predecessori, ognuno con il suo stile: Giovanni Paolo II aveva la pedagogia dei gesti, Benedetto XVI l’attenzione interculturale. Francesco di suo ha un’apertura al mondo molto spontanea, appare meno preoccupato e alla fine meno pessimista. Ma in fondo queste sono approssimazioni giornalistiche”. In Bergoglio si avverte la matrice gesuitica. “Di gesuiti stupidi non ne ho mai conosciuti… Hanno una preparazione culturale e una formazione che li abilita al confronto con gli altri mondi religiosi, una tradizione che risale a Francesco Saverio”. Il nome stesso che questo Papa si è scelto evoca un incontro storico tra cristianesimo e islam, quello tra Francesco d’Assisi e il sultano. “E’ vero – osserva Salvarani – La stessa regola francescana parla dell’incontro con i saraceni: bisogna essere pronti a testimoniare fino al martirio, se necessario”. Nessun irenismo, dunque. “Infatti. Non bisogna dimenticare che Francesco è colui che porta i suoi frati nel regno del conflitto, la città, non vivono più appartati come i monaci classici. Ma la sua visione è strategica: nel periodo in cui il nemico viene combattuto con le crociate e in nome della conquista dei luoghi santi, chiesa occidentale e orientale mettono da parte le divisioni, lui propone uno stile di testimonianza alternativo”.

    A proposito di alternativa: dialogo interreligioso o interculturale? Benedetto XVI disse chiaro e tondo (nella prefazione al libro di Marcello Pera “Perché dobbiamo dirci cristiani”) che “un dialogo interreligioso nel senso stretto della parola non è possibile, mentre urge tanto più il dialogo interculturale che approfondisce le conseguenze culturali della decisione religiosa di fondo”. “In realtà lo stesso Ratzinger ha fatto scelte di tipo interreligioso – osserva Salvarani –, come la visita alla moschea blu di Istanbul dove si raccolse in preghiera”. Era il 30 novembre 2006, due mesi dopo il celebre discorso di Ratisbona. “La sensibilità di Benedetto XVI era comunque nella direzione culturale. E in fondo lo capisco: abbiamo bisogno anzitutto di connessioni a livello di vita quotidiana, abbiamo cioè bisogno di riconoscerci in un tratto di umanità comune”.
    Anche per il gesuita Felix Körner, islamologo e docente di Teologia sacramentale alla Pontificia Università Gregoriana, “questo dialogo di Papa Francesco con i musulmani fa parte di un progetto in continuità con i predecessori. Anche Benedetto ne ha sottolineato l’importanza: nell’esortazione ‘Ecclesia in Medio Oriente’ parla del musulmano come di ‘un fratello da rispettare e da amare’. Ancor prima fa parte del suo progetto di continuità con il Vaticano II che nella ‘Nostra Aetate’ sottolinea la stima per i musulmani, anzi parla della ‘fides islamica’. La scelta del nome in realtà non vuol dare un messaggio di dialogo interreligioso, ma alcuni musulmani hanno immediatamente ricordato l’atteggiamento di amicizia di san Francesco d’Assisi”. Ma qual è oggi lo stato dei rapporti, dopo Ratisbona e tutti gli sviluppi di quella vicenda, compresa la lettera di risposta dei 138 saggi musulmani? Secondo Körner “si possono scandire gli ultimi cinquant’anni del rapporto cattolicesimo-islam in tre fasi: realizzare, relazionarsi, riflettere insieme. Paolo VI è il primo Pontefice che realizza quanto è teologicamente interessante, anzi importante considerare la testimonianza musulmana. Giovanni Paolo II è stato visto da parte di tanti musulmani come una persona capace di creare buoni rapporti. Benedetto XVI ha sottolineato l’importanza di prendere sul serio questi rapporti stabiliti come occasione per approfondire il nostro pensiero religioso; in risposta alla lettera dei 138 saggi invitò una delegazione musulmana a Roma, creando così il forum cattolico-musulmano di cui faccio parte. Nel primo seminario del forum abbiamo approfondito le nostre comprensioni di amore di Dio e del prossimo, arrivando così ai diritti umani; nel secondo seminario, nel novembre 2011, abbiamo discusso la relazione fra fede e razionalità, concretizzandola nella concezione della persona umana”.

    Ma si tratta di dialogo interreligioso o interculturale? “Come ogni altro teologo cristiano Benedetto faceva una distinzione di gran rilievo: il dialogo teologico con gli altri cristiani, il processo ecumenico, non è da confondere con il dialogo interreligioso. La speranza ecumenica è ritrovare l’unità della chiesa. La speranza del dialogo con i musulmani non è l’unità teologica, ma l’essere amici rispettando la differenza religiosa”, conclude il professore (che ha vissuto in Turchia per sei anni e mantiene lo scambio accademico fra la Gregoriana e la Facoltà di teologia musulmana dell’Università di Ankara). Bergoglio pare particolarmente determinato a sottolineare il carattere missionario della chiesa. “Papa Francesco vive la missionarietà della chiesa in maniera credibile, alla maniera di Gesù” – dice Körner –. Il nostro entusiasmo nell’annunciare il Cristo è una maniera di amarlo. E lo facciamo nel suo stile: in umiltà, onestà e rispetto per la scelta dell’altro. E i musulmani capiscono questo meglio di chiunque altro”.

    Unità dei cristiani separati - Matzuzzi Nella Pasqua di magro di Bergoglio anche “i riti durano meno”