Il Pd e il tentativo disperato di trovare un canale con Grillo

Alessandra Sardoni

D’accordo, Beppe Grillo ha detto no in blocco al programma di emergenza di Bersani,  lavoro, moralità pubblica e privata, legalità ecc. Senza nemmeno quel tanto di indulgenza che poteva magari far aggiungere al “no” un “grazie”. Gli ha dato del “morto che cammina”, dello “stalker”.  “Era prevedibile, non crederete che Bersani non lo sapesse vero?”, dicono tutti nel Pd.

    D’accordo, Beppe Grillo ha detto no in blocco al programma di emergenza di Bersani,  lavoro, moralità pubblica e privata, legalità ecc. Senza nemmeno quel tanto di indulgenza che poteva magari far aggiungere al “no” un “grazie”. Gli ha dato del “morto che cammina”, dello “stalker”.  “Era prevedibile, non crederete che Bersani non lo sapesse vero?”, dicono tutti nel Pd. L’ala bersaniana cerca argomenti nelle perplessità grilline rimbalzate dalla rete, quelle voci in dissenso dal leader che una mano a Bersani vorrebbero darla, perché “Berlusconi è peggio”. Doveva tentare Bersani, aprire al dialogo per poi magari ripiegare. Soprattutto il dialogo va cercato comunque. Eppure il Pd non demorde e non demorderà: contatti con il movimento di Beppe Grillo vanno trovati. E per la verità la ricerca di una via diplomatica, l’individuazione di sherpa e ambasciatori possibili era  già aperta da settimane e prosegue in attesa degli incontri fisiologicamente ravvicinati in Parlamento. Luogo privilegiato della caccia è l’Emilia Romagna, Bologna del resto è lì che il movimento si è insediato e ha scalato per la prima volta le istituzioni ed è lì che si intravedono squarci vagamente surreali: corteggiamento dei consiglieri comunali bolognesi Bugani e Piazza i grandi accusatori della dissidente Federica Salsi. Piazza per la verità  nega qualunque rapporto con il Pd locale. O la Repubblica edizione bolognese che invitava per la prima volta il sindaco di Parma Pizzarotti a Bologna, per conoscerlo. Soprattutto il Pd emiliano, osservano in loco, si comporta come chi sia pentito di aver snobbato e pensa illudendosi di poter costruire legami che per ora i grillini rifiutano.

    Pier Luigi Bersani conta su Prodi, in fin dei conti (al netto della smentita arrivata ieri da parte della portavoce del prof., “La notizia secondo la quale Romano Prodi avrebbe avuto contatti con esponenti del Movimento 5 stelle in Emilia Romagna o in altra parte d’Italia è priva di qualunque fondamento”) è lui che ha incontrato Casaleggio, lo conosce, assicurano dirigenti non emiliani del Pd confidando nella copertina di Libero di qualche settimana fa che attribuiva al professore lo scouting fra i grillini in funzione Quirinale. La questione è complessa. Ricorda il saggio sul Movimento 5 stelle di Elisabetta Gualmini e Piergiorgio Corbetta  pubblicato dal Mulino che i rapporti fra Grillo e Prodi hanno avuto momenti bui: nel 2006 Grillo preferì Prodi a Berlusconi come (testuale)  “tra il peggio e il leggermente peggio, la merda fumante e quella appena tiepida”. Fiducia poco convinta svaporata nel corso della legislatura e trasformata in contestazione aperta al governo Prodi. Nel 2009 Grillo portò a Prodi tre proposte di legge di iniziativa popolare ma secondo le ricostruzioni dell’ex comico Prodi si assopì. Certo tutto è cambiato e il professore sembra essere stato fra i primi a capirlo. Almeno così penserebbe Bersani. Il quale all’attivismo prodiano e a quello del suo entourage bolognese, Sandra Zampa, ha aggiunto il filtro del presidente della regione Vasco Errani, fedelissimo, che dopo aver gestito l’offensiva renziana si sarebbe dedicato per ora senza successo alla rete grillina locale. Ma tutto è più che difficile. Col passare delle ore tanto per cominciare si sgretolano miti per esempio quello del modello siciliano. Diversamente da quel che si è detto, Rosario Crocetta una maggioranza l’ha trovata facendo entrare al governo della Regione transfughi di Mpa, Grande sud e Pdl. Poi ha cercato di coinvolgere i grillini. I quali hanno votato a favore o contro a seconda dei provvedimenti. Il modello siciliano insomma c’entra poco con il governissimo. Impraticabile a priori spiega al Foglio Elisabetta Gualmini convinta che chiunque abbia studiato il Movimento 5 stelle sa che la regola numero uno è “stare alla larga dalle alleanze”.