Benedetto XVI, l'ultimo platonico sul soglio

Marco Burini

C’è del metodo, in questa follia ratzingeriana. I giorni passano e la prima impressione si conferma: la rinuncia al pontificato è il tentativo estremo di mettere la chiesa, i suoi pastori anzitutto, di fronte alla gravità del momento. Durante il rito delle Ceneri Benedetto XVI ha detto che “molti sono pronti a ‘stracciarsi le vesti’ di fronte a scandali e ingiustizie – naturalmente commessi da altri –, ma pochi sembrano disponibili ad agire sul proprio ‘cuore’, sulla propria coscienza e sulle proprie intenzioni”. E, se non bastasse, ha stigmatizzato “l’ipocrisia religiosa, il comportamento che vuole apparire, gli atteggiamenti che cercano l’applauso e l’approvazione.

    C’è del metodo, in questa follia ratzingeriana. I giorni passano e la prima impressione si conferma: la rinuncia al pontificato è il tentativo estremo di mettere la chiesa, i suoi pastori anzitutto, di fronte alla gravità del momento. Durante il rito delle Ceneri Benedetto XVI ha detto che “molti sono pronti a ‘stracciarsi le vesti’ di fronte a scandali e ingiustizie – naturalmente commessi da altri –, ma pochi sembrano disponibili ad agire sul proprio ‘cuore’, sulla propria coscienza e sulle proprie intenzioni”. E, se non bastasse, ha stigmatizzato “l’ipocrisia religiosa, il comportamento che vuole apparire, gli atteggiamenti che cercano l’applauso e l’approvazione. Il vero discepolo non serve se stesso o il ‘pubblico’, ma il suo Signore, nella semplicità e nella generosità”. C’è una bella dose di parresia, in queste parole, la stessa delle lettere paoline. E certo anche tormento interiore, pur dissimulato da un sorriso lieve.

    In questo senso il Papa tedesco somiglia a un suo predecessore, Giovanni Battista Montini. L’accostamento ce lo suggerisce un grande esperto di storia del papato, Roberto Rusconi. “Paolo VI in realtà è uomo di curia, entrambi però sono intellettuali di forte caratura teologica e di spiritualità non comune, due che ci credono davvero, e proprio questa coerenza interiore permette loro analisi così lucide. Certo, lo stile è diverso. Montini è un pastore, Ratzinger è un professore e per un professore quello che si deve dire si dice e quello che si deve fare si fa, senza calcolare troppo le conseguenze. Si pensi al celebre discorso Ratisbona”. Nel Novecento c’è un altro filone rappresentato da Pio XII e Giovanni Paolo II. “Sono i Papi con la p maiuscola, grandi statisti e attori di prim’ordine. Per loro il Papa deve morire da Papa”. Eppure, ricorda Rusconi, anche Pacelli aveva considerato l’ipotesi di lasciare: “Avrebbe scritto una lettera di dimissioni in caso di cattura da parte dei nazisti, con l’ipotesi di un Conclave a Lisbona”. A questo proposito, in un breve saggio che sarà pubblicato nei prossimi giorni da Morcelliana, Rusconi sostiene che con Benedetto XVI, e precisamente dal giorno della sua elezione otto anni fa, siamo entrati in una situazione inedita nella storia, un “Conclave permanente” che è destinato a modificare l’assetto istituzionale della chiesa. “Lo hanno eletto che era già anziano, magari pensando che morisse presto. Invece è andata come sappiamo e adesso, con la rinuncia, si apre uno scenario complesso. In ogni caso si riapre il discorso della collegialità”. Ma è davvero finita la “papolatria” di cui parlava il teologo domenicano Yves Congar, uno dei protagonisti del Vaticano II? “Solo se il prossimo Papa seguirà il nuovo spartito”. Non è affatto scontato. Lo storico, docente all’Università di Roma Tre ricorda che “per un lungo periodo non era neanche immaginabile che il sovrano pontefice potesse abdicare. Ci volle Pio VI prigioniero dei francesi, alla fine del Settecento, per scuotere l’istituzione”. Ma erano vibrazioni che la christianitas poteva riassorbire. Oggi quell’epoca è tramontata, perciò il governo della chiesa va ridefinito. “Il vero problema è la curia – conviene Rusconi –, da organo di servizio è diventata apparato di potere”. Contro la logica mondana del potere, Ratzinger è stato duro fin dall’inizio del pontificato. “E’ vero, si è scagliato spesso contro il carrierismo. Ma aveva gli strumenti per stroncare i carrieristi? Per fare le riforme ci vuole il consenso. Sennò succede come in Vietnam, quando il generale Giap lasciava avanzare i tank americani e poi faceva allagare le risaie…”. In ogni caso, conclude Rusconi, “questa è una partita ancora tutta da giocare. Certo, un altro Papa di transizione sarebbe un suicidio”.

    La transizione epocale che stiamo vivendo, invece, non si può arrestare ma soltanto benedire. E’ la lezione di Elmar Salmann, benedettino tedesco che ha insegnato filosofia e teologia a Roma per decenni prima di tornare nell’abbazia di Gerleve, in Westfalia. A suo parere la rinuncia di Benedetto XVI non è così sorprendente. “Questo gesto finale mi pare che getti luce su tutto il pontificato a partire dall’incipit, quando si presentò come un umile operaio nella vigna del Signore. Allora poteva sembrare civetteria, adesso si potrebbe dire: quando un operaio non sa più operare si licenzia”. Salmann abbozza un ritratto di Joseph Ratzinger: “Un intellettuale timido, autore di encicliche più spirituali e mistagogiche che dottrinali. Un uomo in balia dell’apparato, di spirito benedettino e agostiniano, che ha fatto il suo dovere e se n’è andato quando ha capito che non era più all’altezza del compito. E’ l’opposto del suo predecessore, uno statista e un attore che aveva messo in scena la sua malattia fino allo spasimo. Ratzinger è un uomo solitario, schivo, alieno a logiche moderne e postmoderne e alla stessa logica ecclesiale. Da qui nasce il suo fascino ma anche una catena di umiliazioni e di gaffe”. Secondo Salmann, Ratzinger “potrebbe essere l’ultimo platonico sul soglio di Pietro. E’ stato l’uomo della verità, del logos, il combattente contro il relativismo. Certo il platonismo ha qualcosa di totalitario, imponente, altezzoso, difficilmente compatibile con la politica attuale e ciò che detta il kairos. Platone dopo il fallimento di Siracusa si ritirò in silenzio. Sprovvisto di ogni tocco di filosofia moderna e postmoderna, Ratzinger con questo congedo ha compiuto però un gesto relativista facendo saltare l’ontologia sacrale del ministero”. Da Vicario di Cristo a funzionario, ha sentenziato qualcuno. “Fino a questo punto no, diciamo che si dà spazio alla funzionalità del ruolo e quindi anche alla possibilità di non funzionare più. D’altronde dopo il 1870 (dogma dell’infallibilità sancito dal Concilio Vaticano I, ndr) il papato ha giocato un ruolo così madornale che un passo del genere potrebbe essere un segno più umano, vivibile, per i vari mondi che vivono nella chiesa e per gli altri cristiani. E’ un fermento in questa direzione”.

    La rinuncia non è stato un gesto romantico, come qualcuno ha detto. “Tutt’altro. Ratzinger è un bavarese con una vena prussiana, quasi kantiana: la ragione che regola tutto e l’imperativo di capire l’altro e ridimensionare se stessi. Basta leggere il suo comunicato di addio, così sobrio, privo di fronzoli. E’ disarmante”. Secondo Salmann, la rinuncia “potrebbe dare nuovo equilibrio al rapporto tra clero e laici, eppure sembra che i più disorientati siano i non credenti. D’altronde viene facile dire che non c’è più religione di fronte a un gesto così ardito, pieno di grandezza e stupore. Quale istituzione umana obbliga a tornare indietro di oltre settecento anni per trovare un precedente? Dentro la chiesa, invece, il disorientamento si deve alla svolta conciliare, con il nuovo linguaggio della fede, che non è stata ancora smaltita”. Salmann si augura che “questo gesto di impotenza che si rovescia in un gesto di signoria e di sovranità, dal sapore lievemente amaro, riscatti il papato dalle incrostazioni e ridia vivibilità al ministero petrino. Adesso tocca al prossimo Papa, ma al gioco dei pronostici guardo con sorridente distacco”.