Spari sulla primavera araba

Scontri e rivolte dopo il primo omicidio politico nella Tunisia islamista

Carlo Panella

Chokri Belaïd, leader del Fronte popolare tunisino, l’opposizione parlamentare di sinistra al governo islamista di Ennahda, è stato assassinato ieri mattina a Tunisi. Una sua amica, Radhia Nasraoui, avvocato per i diritti umani, è corsa alla clinica Ennasr dove era stato portato Belaïd e ha raccontato al Foglio in lacrime la dinamica dell’omicidio: “Usciva da casa e stava entrando in automobile quando si è avvicinato un uomo coperto da un burnous, la tipica veste tunisina di panno con cappuccio a punta, e gli ha sparato a bruciapelo una pallottola al viso, una al collo, una al petto vicino al cuore.

    Chokri Belaïd, leader del Fronte popolare tunisino, l’opposizione parlamentare di sinistra al governo islamista di Ennahda, è stato assassinato ieri mattina a Tunisi. Una sua amica, Radhia Nasraoui, avvocato per i diritti umani, è corsa alla clinica Ennasr dove era stato portato Belaïd e ha raccontato al Foglio in lacrime la dinamica dell’omicidio: “Usciva da casa e stava entrando in automobile quando si è avvicinato un uomo coperto da un burnous, la tipica veste tunisina di panno con cappuccio a punta, e gli ha sparato a bruciapelo una pallottola al viso, una al collo, una al petto vicino al cuore. Sul posto c’erano un autista e – pensa – due donne che facevano jogging”. Forte e vasta in tutto il paese l’emozione per il primo assassinio politico dell’epoca post Ben Ali, che ha provocato ovunque manifestazioni di protesta. A Tunisi, Avenue Bourguiba si è riempita sin dalla tarda mattinata di una folla crescente di manifestanti, mentre cortei intenzionati a prendere d’assalto le sedi del partito dei Fratelli musulmani Ennahda si sono mossi a Sfax, Sidi Bouzid, Gafsa, Hammamet, Bizerte e altrove.

    Rachid Ghannouchi, il leader di Ennahda, ha condannato gli assassini “che puntano a un bagno di sangue, ma che non riusciranno a provocarlo”, ma ha anche tentato – con goffaggine – di negare ogni responsabilità politica. Fin dalla notizia dell’omicidio, il fratello di Belaïd s’è scagliato contro Ennahda stessa, attribuendo l’omicidio a un “regolamento di conti politico”, quasi che fosse prodotto da tensioni interne all’opposizione. In realtà questo omicidio – di probabile, se non sicura, matrice salafita – cade in un momento non casuale e rende drammatica la crisi politica che da settimane paralizza il governo tunisino e che il premier islamico, Hamadi Jebali, non riesce a gestire. I due partiti laici della cosiddetta “troika” di governo, il Congresso per la Repubblica (il cui leader è Moncef Marzouki, presidente della Repubblica) e Ettakatol, membro dell’Internazionale socialista (il cui leader è Mustapha Ben Jaafar, presidente della Costituente), da settimane chiedono un deciso rimpasto di governo.

    Il rimpasto appare indispensabile a fronte della tolleranza che i ministeri preposti all’ordine pubblico retti da Ennahda garantiscono alle sempre più violente scorribande delle squadre di salafiti nelle scuole, nelle università, nei quartieri, nel centro stesso della laica Tunisi, nella provincia e che hanno avuto come terribile monumento visivo la distruzione di 40 mausolei sufi, compreso quello notissimo di Sidi Bou Said. La complicità è così scandalosa che per denunciarla, a ottobre, gli agenti della Guardia nazionale hanno indossato un nastro rosso al braccio. La richiesta del Cpr e di Ettakatol è ultimativa: Ennahda deve subito cedere loro quantomeno il ministero della Giustizia e quello degli Esteri. La richiesta è risultata tanto più drastica in quanto i due partiti laici (forti di un consenso elettorale attorno al 10 per cento) hanno ormai usurato il loro consenso, considerati come sono, e non a torto, dai loro stessi elettori totalmente subordinati all’egemonia di Ennahda. Secondo un sondaggio, Nidaa Tounes, il partito neo bourguibista liberale di opposizione, dell’ex premier ad interim Béji Caïd Essebsi, è quotato al 33,1 per cento dei voti, superando così persino il 33 per cento di Ennahda.

    La crisi di governo ha paralizzato l’esecutivo, perché Ennahda non esprime una posizione univoca e si è frazionata al suo interno, mentre i salafiti diventano sempre più forti. Lo stesso Belaïd aveva affermato che gli episodi di violenza erano diretta conseguenza delle crisi all’interno di Ennahda. Una minoranza del partito guarda infatti al Akp del premier turco Recep Tayyip Erdogan, si spinge sino ad accettare lo stato laico ed è disposta a dare al Cpr e a Ettakatol quanto richiesto. Sul fronte opposto è controbilanciata da una più forte minoranza di filosalafiti, che premono per una Costituzione shariatica, vogliono abolire il Codice di statuto personale (che sancisce la parità effettiva della donna) e non intendono per nulla contrastare le scorribande dei salafiti. Al centro, il corpo maggioritario del partito islamista fa capo al leader storico Rashid Ghannouchi, un realpolitiker, che non vorrebbe allontanare i turisti europei (fonte indispensabile di entrate) e gli investimenti stranieri, ma che si mostra ora incapace di esercitare leadership sul suo stesso partito. Il quadro non è dissimile a quello dei Fratelli musulmani dell’Egitto di Mohammed Morsi, che ha appena falciato nelle piazze sessanta manifestanti e che a causa della sua incapacità di governo è ora persino minacciato dai suoi generali di un golpe. Il risultato dell’inadeguatezza politica di Ennahda è che il turismo precipita, gli investitori fuggono, il paese è sconvolto dalla crisi economica – soltanto ieri la Borsa ha perso il 3 per cento – e non è governato e ora, con l’omicidio di Chokri Belaïd, rischia inziare una nuova fase di violenza politica. Per evitarla, il premier ha annunciato lo scioglimento del governo in vista di un esecutivo tecnico di unità nazionale, ma la proposta appare tardiva e l’opposizione ha già indetto uno sciopero generale per oggi.