Tra retorica e tecnocrazia, il viaggio del ribelle greco Tsipras in America

Domenico Lombardi

Passata la decisione del Fondo monetario internazionale e dell’Eurogruppo di premiare l’introduzione delle recenti misure di rigore fiscale e di liberalizzazione con una nuova tranche di credito, ad Atene si sono già aperti i giochi per il prossimo governo. La prossima legislatura dovrebbe cominciare solo dal 2016, ma qualcuno già pensa che il pesante logorio politico a cui è sottoposto l’attuale governo possa indurre a utilizzare le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo nel 2014 nell’ambito di una verifica dei rapporti di forza tra Nuova democrazia, il principale partito di governo, e Syriza, il più importante partito all’opposizione, accorpandovi le elezioni per il Parlamento nazionale.

    Passata la decisione del Fondo monetario internazionale e dell’Eurogruppo di premiare l’introduzione delle recenti misure di rigore fiscale e di liberalizzazione con una nuova tranche di credito, ad Atene si sono già aperti i giochi per il prossimo governo. La prossima legislatura dovrebbe cominciare solo dal 2016, ma qualcuno già pensa che il pesante logorio politico a cui è sottoposto l’attuale governo possa indurre a utilizzare le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo nel 2014 nell’ambito di una verifica dei rapporti di forza tra Nuova democrazia, il principale partito di governo, e Syriza, il più importante partito all’opposizione, accorpandovi le elezioni per il Parlamento nazionale.
    E’ probabile che sia stata proprio questa la molla a spingere il leader del partito di opposizione a trattenersi l’intera settimana scorsa a Washington, con l’obiettivo di accreditare un’immagine di sé come leader carismatico di un partito che starebbe abbandonando la sua originaria collocazione di movimento di sinistra radicale per abbracciare un percorso riformista in chiave socialdemocratica. Gli ultimi sondaggi danno Nuova democrazia e Syriza in un testa a testa, anche se il capo del partito di opposizione, Alexis Tsipras, tende a guidare i sondaggi relativi all’appeal personale dei rispettivi leader.

    Assertivo ma non arrogante, il giovane leader dell’opposizione, meno di quarant’anni, sa che il tempo lavora per lui, per almeno due motivi. Nessuno può accusarlo dell’attuale disastro, non avendo mai condiviso il potere con alcuno, ma lui è invece libero di puntare il dito tanto sul centrodestra che sul centrosinistra alternatisi regolarmente al governo prima di condividerlo nell’attuale coalizione. La sua escalation può destare preoccupazione o anche sconcerto in alcuni ambienti europei e internazionali, ma sta diventando chiaro che una sua eventuale affermazione sarebbe (quasi) una manna dal cielo rispetto all’altro gruppo radicale di pura estrazione nazista, Alba dorata. Dell’enorme latitudine politica di cui si può avvalere, Tsipras ne ha dato ampia prova a Washington. Nel suo discorso pubblico tenuto alla Brookings Institution, think tank presso cui chi scrive è Senior fellow, ha sottolineato che qualsiasi programma di stabilizzazione muore sul nastro di partenza se non è sorretto dalla legittimazione presso gli ampi segmenti della popolazione che sono chiamati ad attuarlo. Eppure, se eletto primo ministro, non denuncerà necessariamente il programma della troika (Fmi, Ue e Bce), ma si limiterà a richiederne una revisione. Di tale programma, i suoi consiglieri dicono di condividere importanti obiettivi intermedi quali il pareggio di bilancio e le riforme strutturali che puntano a una più efficiente amministrazione tributaria e giudiziaria, alla lotta alla corruzione e ai gruppi di rentier che hanno sinora trovato protezione, se non prosperato, all’ombra della farraginosa macchina burocratica statale. Contestano invece l’aggiustamento fiscale eccessivamente sbilanciato in avanti che, dicono, unitamente al perseguimento della svalutazione interna, ha avuto l’effetto di annichilire il mercato domestico portando l’economia in una depressione dai costi umani e sociali, più che economici, senza precedenti nella storia recente. Contestano, parimenti, una strategia di aggiustamento basata sulla mortificazione della classe lavoratrice a cui vengono ridotti i salari invece di accrescerne la produttività per mezzo di investimenti che le imprese non sono neanche in grado di finanziare avendo perso l’accesso al mercato del credito.

    Le curiose convergenze con il Fondo monetario
    Del resto, sull’impatto ultra-recessivo del consolidamento fiscale, Syriza sa di poter contare sul recente “mea culpa” del capo economista del Fmi, Olivier Blanchard, che ha dimostrato come i cosiddetti “moltiplicatori fiscali” siano assai più alti di quanto comunemente assunto. Detto in altre parole: il consolidamento fiscale ha effetti più recessivi di quanto si fosse stimato finora. Sempre recitando il nuovo Washington consensus sulla crisi dell’Eurozona, passa, poi, a stigmatizzare l’aggiustamento unilaterale a carico delle nazioni debitrici sottolineando che anche le economie del nord Europa dovrebbero contribuire allo sforzo generando domanda invece di sottrarla con i loro surplus di parte corrente.

    Sull’euro, il giovane ingegnere ex comunista ribadisce solennemente che il suo governo garantirà la piena adesione di Atene all’Eurozona. A renderne un po’ più credibile l’affermazione è la spiegazione che segue: Atene è l’anello, per quanto il più debole, di una catena importante, quella dell’Eurozona, che include alcune fra le più importanti economie del mondo. Di tale anello occorre sfruttarne freddamente tutte le potenzialità negoziali poiché Berlino sa bene che l’uscita della Grecia potrebbe scatenare conseguenze incalcolabili. Perché, allora, privarsi di una tale arma negoziale? In altre parole, potrebbe dirsi che la Romania, senza l’euro, sia più forte della Grecia, con l’euro? E, di questo ne dà subito prova insistendo sulla necessità di un nuovo accordo sulla ristrutturazione del debito pubblico di Atene. Sa di trovare l’inusuale convergenza, a pochi isolati di distanza, del Fmi che nel comunicato stampa emesso solo pochi giorni prima aveva detto che “i partner europei della Grecia (…) hanno fornito assicurazioni che considereranno misure addizionali (…) per ridurre il debito sostanzialmente al di sotto del 110 per cento del pil entro il 2022”. Eppure la tattica e la scaltrezza negoziale non potranno mai sostituirsi a un piano di riforme che, al di là delle enunciazioni, ancora non esiste. Incalzato dalle domande, il leader carismatico della sinistra radicale non è riuscito a identificare una singola misura concreta di politica economica che, da primo ministro, prenderebbe per portare il suo paese fuori dal baratro. La sua critica è chiara, come pure l’evidenza preoccupante che è sotto gli occhi di tutti. Tuttavia, per conquistare quella classe media che ancora diffida di lui, sa di dover rendersi più credibile, anche potenziando la tecnostruttura del suo movimento e articolando la qualità della sua proposta politica al di là della sola retorica. La domanda che i suoi interlocutori si pongono, invece, è se possa coesistere un elettorato radicale con uno modernizzante con qualche simpatia tecnocratica. Ma una tale domanda non riguarda solo la Grecia.