Camurri vorrebbe essere Baricco

Edoardo Camurri

Il problema non è Baricco in sé, ma il Baricco in me. Esco dal teatro Palladium di Roma dove Baricco ha appena tenuto una lezione su Kate Moss e commento con Annalena Benini: “Sai che Baricco è proprio bravo? E’ un grande divulgatore, un pedagogo”. Parlo addirittura, a proposito della sua retorica, di formatizzazione televisiva (pronuncio espressamente queste due parole senza la minima autoironia) e quando torno a casa e mi accuccio a letto mi vengono i brividi. Un’ora e mezzo di Baricco mi ha trasformato in una persona piena di ragionevolezza. Che schifo.

    Il problema non è Baricco in sé, ma il Baricco in me. Esco dal teatro Palladium di Roma dove Baricco ha appena tenuto una lezione su Kate Moss e commento con Annalena Benini: “Sai che Baricco è proprio bravo? E’ un grande divulgatore, un pedagogo”. Parlo addirittura, a proposito della sua retorica, di formatizzazione televisiva (pronuncio espressamente queste due parole senza la minima autoironia) e quando torno a casa e mi accuccio a letto mi vengono i brividi. Un’ora e mezzo di Baricco mi ha trasformato in una persona piena di ragionevolezza. Che schifo. Baricco è come Eataly o i diritti umani. Ti obbligano a amarli. Esercitano la tirannia di ciò che è bello, buono e vero. Ed è la tirannia peggiore, il piantone della coscienza.

    Ho paura. Anche perché dire una cosa intelligente dopo una serata come questa è complicatissimo (per esempio mica posso ridurmi a prenderlo in giro con dei luoghi comuni buoni al massimo fino a sei o sette anni fa; oppure mica posso farne l’elogio solo per snobismo); e allora mi viene da ammettere l’inammissibile: io voglio diventare Alessandro Baricco.
    Voglio fare anch’io una conferenza su Kate Moss, voglio fare tac con la bocca, fuamm con il fiato, ciak con la lingua e raccontare di una rivista inglese di nome The Face spiegando al mio pubblico (e scherzando sulla mia superiorità) che era una rivista letta da una élite di persone con “tempo, talento, soldi a sufficienza per fare tutto bene, quelli cioè che hanno il tostapane giusto, il profumo giusto, quelli che si fanno la barba in un certo modo: io praticamente”. Voglio dire questo al mio pubblico e farlo sentire per quello che è e che si può vedere nelle riprese della lezione (su Repubblica.it): maschi gamma generalmente pelati e qualche milf piuttosto disperata. Al Palladium è andata in scena la vita (a proposito di impossibilità di dire cose intelligenti) o il geometra Calboni di Fantozzi. Il vincente contro un gruppetto di perdenti. E’ l’anti pedagogia. O la pedagogia nella sua vocazione più sincera e totalitaria.

    Dinanzi a uno come Baricco, capace di sedurti per un’ora e mezzo senza farti dormire (e io sono uno che a teatro dorme), facendoti persino sentire nel giusto quando, poco prima di prendere egli stesso le distanze da ciò che sta per affermare, anzi, mettendosi egli stesso nel numero degli sfigati, si diverte a massacrarti (“come spesso succede nell’opera lirica – ha detto – il grottesco e il sublime stanno uno dentro l’altro, come per altro, rassegnatevi, anche nelle vostre vite, è così”), non c’è che da arrendersi riconoscendone la superiorità alfa e il ruolo di capobranco. Può parlare per ore e ore di Kate Moss spiegando che non assomigliava per niente a Claudia Schiffer e che questa è una scoperta straordinaria e tu stai lì a ascoltarlo perché in realtà Kate Moss è lui e da Kate Moss ascolteresti di tutto. Al bello, al vero e al giusto ci si arrende. Ai diritti umani ci si piega. Da Eataly ci si attovaglia. Da Baricco si fa il pieno di ragionevolezza. Paura.