La piazza egiziana non esiste più, ma Morsi rischia il default

Carlo Panella

Piazza Tahrir è tornata a essere quel che era: il crocevia del traffico caotico del Cairo. Nulla più. Non una manifestazione, non un presidio, non le urla dei giovani ribelli, non gli scontri abituali: la piazza simbolo della cacciata del rais Mubarak è ora il monumento alla sconfitta politica delle opposizioni egiziane. La deriva autoritaria della Fratellanza musulmana è culminata nella approvazione della nuova Costituzione islamista col 63,8 per cento di sì.

    Piazza Tahrir è tornata a essere quel che era: il crocevia del traffico caotico del Cairo. Nulla più. Non una manifestazione, non un presidio, non le urla dei giovani ribelli, non gli scontri abituali: la piazza simbolo della cacciata del rais Mubarak è ora il monumento alla sconfitta politica delle opposizioni egiziane. La deriva autoritaria della Fratellanza musulmana è culminata nella approvazione della nuova Costituzione islamista col 63,8 per cento di sì. In realtà il testo è stato approvato soltanto da poco più di 8 milioni di egiziani, su un corpo elettorale di 52 milioni di persone, circa il 20 per cento dei consensi. Ma la forza del presidente, Mohammed Morsi, e della Fratellanza ha basi solide, che vanno al di là della potenza organizzativa della più antica e radicata organizzazione politica araba. Divisi e intenti innanzitutto ad accapigliarsi tra di loro, Mohammed ElBaradei, Abdel Shafiq, Amr Moussa, Abou Fotouh e il tycoon copto Naguib Sawiris non si sono risparmiati nessun errore. Si sono presentati divisi e in polemica fra di loro a tutte le scadenze elettorali, soltanto negli ultimi giorni – e con fatica – si sono uniti in un Fronte di salvezza nazionale, ma si sono divisi sino all’ultimo sulla scelta di partecipare o no al referendum costituzionale e solo da pochi giorni hanno deciso di fondersi in un unico partito per le imminenti elezioni per la Camera bassa. Così non sono riusciti a dare rappresentanza politica non soltanto alla forza dei “giovani di piazza Tahrir”, ma soprattutto delle centinaia di migliaia di manifestanti “anti islamisti” che sono scesi in piazza contro la Costituzione al Cairo, ad Alessandria, a Port Said e a Suez, e in decine di città minori. La frammentazione dell’opposizione impedisce anche di sfruttare le divisioni interne agli islamisti: dopo le dimissioni del copto Rafiq Habib, vicepresidente di Libertà e Giustizia (il partito della Fratellanza), sabato scorso ci sono state le dimissioni del vicepresidente Mahmoud Mekki, che di Morsi era il braccio destro. Mekki ha motivato la sua dipartita con l’impossibilità di esercitare il mandato senza entrare in conflitto con la sua ex professione di magistrato, rendendo così plastica la frattura tra la magistratura egiziana, alta e bassa, e gli islamisti.

    In Egitto accade l’opposto di quanto avviene in Tunisia, là dove il pur rigido Rachid Ghannouchi, leader del partito islamico Ennahda, si è dovuto confrontare con una opposizione laica più omogenea e capace, il cui leader, Moncef Marzouki, è ora presidente della Repubblica, mentre il governo si basa su una alleanza tra Ennahda, il partito di Marzouki e un’altra forza laica. In Tunisia come in Egitto, la pressione degli islamisti è forte nel sociale, nelle scuole e nelle moschee e sono numerosi gli episodi di intolleranza fanatica, ma almeno a Tunisi opera un pur fragile presidio istituzionale dei laici, assente al Cairo. Ancora, i laici egiziani, a differenza di quelli tunisini, sono riusciti nel capolavoro di non raccordarsi con nessuna “cordata” di generali, cosicché Morsi si è liberato senza problemi del gruppo di militari legato a Hussein al Tantawi per sostituirlo al comando delle Forze armate col “giovane” generale Abdul Fattah al Sisi. Il quale si dichiara neutrale, ma in realtà favorisce la deriva autoritaria di Morsi che gli ha garantito di continuare a esercitare il controllo sul 30 per cento dell’economia egiziana e gli stessi privilegi di casta dell’èra Mubarak. La crisi economica è ampliata dalla fuga dei turisti e degli investitori esteri e Morsi, nonostante le rassicurazioni nel dicorso di ieri per celebrare la Costituzione e gli stimoli agli investimenti dall’estero, ha dovuto sospendere la richiesta del prestito di 4,8 miliardi di dollari del Fondo monetario internazionale. Se non tutto, molto è predisposto per definire in Egitto una originale “via islamista al default”.