La lista pazza di Marco

Marianna Rizzini

Sorrideva come un folletto, Marco Pannella, domenica scorsa, quando, dopo una settimana di sciopero totale della fame e della sete, si è affacciato in video a Radio radicale, durante la conversazione settimanale con Massimo Bordin, per spiegare con un sigaro in mano e la forza scavata da combattente ultraottantenne, le ragioni e l’obiettivo della sua lotta di civiltà attorno al tema “amnistia, diritto, libertà”.

    Sorrideva come un folletto, Marco Pannella, domenica scorsa, quando, dopo una settimana di sciopero totale della fame e della sete, si è affacciato in video a Radio radicale, durante la conversazione settimanale con Massimo Bordin, per spiegare con un sigaro in mano e la forza scavata da combattente ultraottantenne, le ragioni e l’obiettivo della sua lotta di civiltà attorno al tema “amnistia, diritto, libertà”: riportare in condizione di legalità lo stato italiano, con le sue carceri sovraffollate che non rieducano (alla faccia dell’art. 27 della Costituzione) e il “macigno” di trent’anni di condanne da parte della giustizia europea contro un paese in “flagranza di reato”, con detenuti in condizioni disumane e milioni di procedimenti pendenti nella giustizia penale e civile. Ma ieri, quando appariva al Tg5 dopo aver sciolto la voce impastata con una caramella – e prima di lasciare la clinica contro il parere dei medici – Pannella il folletto si faceva manuale vivente di “non violenza” e spiegava perché non serve dirgli “però ora bevi” e perché non basta dirgli “condivido” (come hanno fatto, tra gli altri, Nichi Vendola e Gianfranco Fini). Pannella, diceva Pannella, non può ricominciare a bere se nessuno “ci mette la faccia”: “Urgono personalità” disposte “ad annunciare la disponibilità a candidarsi” nelle liste “Amnistia, giustizia e libertà”, diceva. Era un invito ai singoli (ieri i Radicali lanciavano tweet ai personaggi dello spettacolo, da Jovanotti a Benigni – invitato, sui social network, a parlare della battaglia di Pannella su RaiUno ieri sera). Ma era anche, in prospettiva, un invito a un mondo politico trasversale, interessato al recupero di un’identità garantista (per esempio i liberali di centrodestra).

    “Amnistia, giustizia e libertà”, cioè lo slogan della marcia per l’amnistia del Natale 2005 e della marcia di Pasqua del 2006. “Amnistia, giustizia e libertà”, diceva Pannella, sperando che qualcuno facesse come Giuseppe Saragat, Pietro Nenni, Ferruccio Parri e Ignazio Silone nella primavera del 1976, quando, in mezzo a molti altri nomi del mondo politico e intellettuale di allora, le “personalità” suddette fecero appello ai presidenti delle Camere con un’inserzione a pagamento su Repubblica, perché venissero accolte le “civili richieste dei Radicali” per una campagna elettorale pubblica che rispettasse “elementari criteri di equità e di giustizia”.

    Non serviva, ieri, la visita (con lettera) del ministro della Giustizia Paola Severino. Non serviva perché il problema era troppo più grande del rimedio: è lo stato che disattende se stesso, sembrava dire Pannella in una dura risposta al presidente della Repubblica, dopo aver ascoltato il suo discorso per gli auguri alle Alte cariche, discorso in cui le carceri comparivano in un accenno, giudicato molto insufficiente dal leader radicale. “Sto lottando e sto dando corpo anche alla tua salvezza”, diceva Pannella a Napolitano, e “ritengo che verrai processato dalla giustizia internazionale”. Criticava “Cesare”, Pannella, definendo poi “ponziopilatino” Pier Luigi Bersani (tra Cesare e le catacombe carcerarie). Ringraziava i tanti che gli avevano manifestato affetto e appoggio su Twitter al grido di #iostoconmarco, Pannella, quasi divertito al suono della parola “hashtag”. C’erano nomi noti della politica, del giornalismo e dello spettacolo, da Benedetto Della Vedova (che annunciava l’iscrizione per il 2013) a Luigi De Magistris a Gad Lerner a Celentano a Roberto Saviano (il suo tweet – “rispetto lo sciopero della fame e della sete di Pannella per la legalità nelle carceri” – otteneva immediata risposta: “Grazie Robé, ma io sto per il trittico indissolubile, Amnistia, Diritto, Legalità per tutti e non per i carcerati. Abbiamo pochissime ore”. E parevano ancora di meno, le ore, quando Pannella appariva in un video dinoccolato e fragile quanto irremovibile, dopo aver succhiato un mandarino per poter parlare.

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.