Sulla legalità del Fiscal compact s'interrogano pure i tedeschi

Giovanni Boggero

Berlino. Continuano a far discutere le tesi dell’ex ministro delle Finanze Giuseppe Guarino che, sul Foglio di martedì scorso, ha definito inapplicabile e nullo il Fiscal compact, ossia il trattato internazionale firmato lo scorso marzo e che impone a venticinque stati dell’Unione europea ferree regole di bilancio. In particolare, secondo Guarino, il trattato va applicato e interpretato in conformità ai trattati Ue in materia economica e finanziaria.

    Berlino. Continuano a far discutere le tesi dell’ex ministro delle Finanze Giuseppe Guarino che, sul Foglio di martedì scorso, ha definito inapplicabile e nullo il Fiscal compact, ossia il trattato internazionale firmato lo scorso marzo e che impone a venticinque stati dell’Unione europea ferree regole di bilancio. In particolare, secondo Guarino, il trattato va applicato e interpretato in conformità ai trattati Ue in materia economica e finanziaria. In realtà però il Fiscal compact, che prescrive come obbligo per gli stati il rispetto del “bilancio in pareggio”, deroga in questo modo al Protocollo allegato al Trattato di Lisbona che fissa come regola aurea un rapporto deficit/pil pari al 3 per cento. In altre parole,  il Trattato di Lisbona sarebbe stato surrettiziamente modificato dal Fiscal compact senza passare dalla procedura ordinaria di revisione (che avrebbe richiesto il consenso di tutti e ventisette gli stati membri), imponendo così più austerity del dovuto.  Matthias Ruffert, ordinario di Diritto comunitario all’Università di Jena, non è d’accordo. Nel 2011, sulla Common Market Law Review, Ruffert mostrò tutte le falle giuridiche in cui era incappata la Commissione europea nel disegnare la nuova architettura economica post Lisbona. Ora, però, lette le argomentazioni di Guarino, Ruffert dice al Foglio: “Credo che tali interpretazioni non aiutino affatto l’individuazione di vie d’uscita dalla crisi. Il professor Guarino fa confusione tra fonti primarie, secondarie e internazionali. Le disposizioni del Trattato di Lisbona non possono affatto essere state cancellate da quelle del Fiscal compact, perché quest’ultimo è un trattato internazionale che obbliga soltanto venticinque stati e non ventisette”. In altre parole nulla vieta che, sulla base del diritto internazionale, un certo numero di stati si possa accordare per autoimporsi un limite all’indebitamento annuo diverso e più stringente rispetto a quello sancito in un altro trattato.

    Tanto più che, come spiega al Foglio il professor Frank Schorkopf, docente di Diritto Ue all’Università di Gottinga, “il limite del 3 per cento fissato da Maastricht è un tetto massimo. Non esiste un diritto degli stati a indebitarsi per forza in tale misura”. Secondo il giurista italiano, però, Maastricht avrebbe imposto un divieto implicito a che il rapporto deficit/pil al 3 per cento potesse essere modificato al ribasso. Ciò si desumerebbe dal fatto che senza passare per una procedura ordinaria di revisione, nessuna modifica del parametro sarebbe possibile. Anche Schorkopf segue il filo del ragionamento di Guarino, ma poi, giunto qui, frena. “Oltre alla dottrina, questa argomentazione l’ha respinta nella sua recente sentenza anche la Corte di giustizia europea nel caso Pringle. Gli stati membri possono continuare a coordinarsi a livello intergovernativo, dandosi regole anche più severe”. Il professor Schorkopf, che in passato ha redatto per i cinque saggi economici del governo tedesco un parere favorevole a dei simil-Eurobond, ammette tuttavia che qualche incongruenza possa leggersi nei regolamenti comunitari del “Six pack” in materia economica e finanziaria emanati lo scorso anno. Uno di questi, apparentemente in deroga a Lisbona, prevede infatti che il tetto per l’indebitamento annuo scenda all’1 per cento e non invece al 3, come da Trattato. Ruffert non nega che siano necessarie ulteriori indagini sulla compatibilità tra Fiscal compact e diritto Ue. In particolare, rinvia alla lettura di un testo di Paul Craig, nel quale il giurista inglese chiarisce che il Fiscal compact non ha la natura giuridica dell’Accordo di Schengen siglato nel 1985, quando tutti gli stati membri si accordarono in ordine a una modifica ai trattati destinata ad applicarsi solo ad alcuni di essi. Insomma, qualche dubbio sulla legalità di tutto ciò rimane.