Le conseguenze del rinvio del referendum costituzionale

Nello scontro tra islamisti, Morsi sceglie i fratelli più duri

Carlo Panella

La piazza egiziana ieri era ancora piena, sette cortei paralleli nel venerdì della preghiera al Cairo, con scontri davanti al palazzo presidenziale, con sfondamento delle barricate. Dietro a quelle porte, mentre il presidente Mohammed Morsi sembra intenzionato a posticipare il referendum costituzionale previsto per il 15 dicembre, continua la lotta più dura: la lacerazione all’interno dei Fratelli musulmani. Le dimissioni di Saif Abdel Fattah, consigliere di Morsi, e di tutti e sedici i consiglieri presidenziali hanno svelato le fratture che tormentano la componente islamista e la stessa Fratellanza.

    La piazza egiziana ieri era ancora piena, sette cortei paralleli nel venerdì della preghiera al Cairo, con scontri davanti al palazzo presidenziale, con sfondamento delle barricate. Dietro a quelle porte, mentre il presidente Mohammed Morsi sembra intenzionato a posticipare il referendum costituzionale previsto per il 15 dicembre, continua la lotta più dura: la lacerazione all’interno dei Fratelli musulmani. Le dimissioni di Saif Abdel Fattah, consigliere di Morsi, e di tutti e sedici i consiglieri presidenziali hanno svelato le fratture che tormentano la componente islamista e la stessa Fratellanza. La crisi è stata innescata dalla decisione di Mahamud Hussein, segretario generale dei Fratelli musulmani e leader della corrente “populista” e tradizionalmente più legata al Qatar e a Riad, di a costringere Morsi ad assumere potere semidittatoriali, e anticipare la pubblicazione della Costituzione. . Intanto sventolava sul Palazzo lo spettro di un “complotto”, che altro non era se non il tentativo dell’ala della Fratellanza più moderata – che ha come riferimento l’Akp del premier turco Recep Tayyp Erdogan – di scendere a patti con l’opposizione egiziana per la definizione di una Costituzione meno sbilanciata sulla sharia.

    Abdel Fattah, il consigliere dimissionario di Morsi, non è certo un laico (“Tra Allah e il suo servo c’è la sharia” è il titolo di un suo recente saggio), ma è un islamista moderato che non intende essere complice della politica autoritaria che l’ala populista della Fratellanza cerca di imporre, anche a costo di innescare un’altra guerra civile. Le sue posizioni, così come quelle di altri collaboratori di Morsi, sono assimilabili a quelle di Mohammed Gannuchi, leader della Fratellanza della Tunisia, che tenta di governare il paese di concerto con i partiti laici, pur minoritari. Pressato da Mahamud Hussein e dall’iperfondamentalista Mohammed Badie – leader mondiale della Fratellanza – Morsi ha però deciso di recidere i legami con la componente islamista moderata e ha assunto i pieni poteri in stile dittatoriale. Il risultato ottenuto è però ben diverso da quanto sperato: la mossa di Morsi ha compiuto il miracolo di unire una opposizione laica egiziana da sempre divisa, di affiancarle molti esponenti islamisti, di provocare le dimissioni del cristiano Rafiq Harbib, vicepresidente del partito Giustizia e Libertà (proiezione politica della Fratellanza) e persino di creare una pericolosa tensione con i generali egiziani.

    Ieri il ministro dell’Interno, l’ammiraglio Ahamed Gamal Eddin, garante della lealtà di Morsi al quadro di comando militare dopo l’estromissione concordata del feldmaresciallo Hussein al Tantawi, primo successore del rais Mubarak, è stato accusato da Mohammed Hussein di essere “responsabile” dell’assalto subito giovedì dalla sede principale della Fratellanza nel quartiere Muqattam del Cairo: avrebbe ordinato alle forze di sicurezza di “stare a guardare i 3.500 militanti dell’opposizione che incendiavano l’edificio senza fare nulla per impedire lo scempio”. L’accusa forse non è del tutto infondata (assalti simili, non contrastati dalle forze di sicurezze, erano già avvenuti a Ismailia e Suez) ed è il sintomo di un atteggiamento dei militari non allineato a difesa della Fratellanza.
    Con la prima grave crisi interna al blocco islamista, il Fronte delle opposizioni, in cui figurano Mohamed ElBaradei, Amr Moussa e Hamdeen Sabbahi, ieri ha rifiutato l’invito al dialogo (accompagnato però da dure affermazioni sul “diritto di comando” della maggioranza) pronunciato da un Morsi costretto a registrare l’appello nel comando della Guardia nazionale (probabilmente più timoroso dei suoi avversari interni che della piazza).