Aridatece il Bagaglino

Pietrangelo Buttafuoco

Lo trovava simpatico, Ninni Pingitore, il Silvio Berlusconi che un giorno andò da lui, prese posto davanti al pianoforte e gli fece un po’ di musica. Come un Apicella ante marcia. Gli cantò – infatti – qualcosa del repertorio napoletano, qualche altro brano francese, quindi picchettò un altro giro di note e si guardò intorno. Proprio simpatico. Soppesò scene, attori, primedonne e ballerine, gli ballò la gioia agli occhi e gli chiese: “Fai tutto tu, scrivi e scegli tu le ragazze e i comici?”. Certo, “certo”, rispose Ninni e Berlusconi, simpaticissimo, sospirò: “Proprio quello che avrei voluto fare io”.

    Lo trovava simpatico, Ninni Pingitore, il Silvio Berlusconi che un giorno andò da lui, prese posto davanti al pianoforte e gli fece un po’ di musica. Come un Apicella ante marcia. Gli cantò – infatti – qualcosa del repertorio napoletano, qualche altro brano francese, quindi picchettò un altro giro di note e si guardò intorno.
    Proprio simpatico. Soppesò scene, attori, primedonne e ballerine, gli ballò la gioia agli occhi e gli chiese: “Fai tutto tu, scrivi e scegli tu le ragazze e i comici?”.
    Certo, “certo”, rispose Ninni e Berlusconi, simpaticissimo, sospirò: “Proprio quello che avrei voluto fare io”.
    E fu così che al termine di quel primo incontro, aprì il libretto degli assegni e gli chiese: “Quanto devo scrivere?”.

    E fu così che Berlusconi vide dunque il Bagaglino e ne fece subito un suo desiderio già risolto nella domanda: “Quanto?”. La risposta di Ninni, fu: “Niente”. E gli spiegò ancora meglio: “Se un giorno deciderò di venire a Mediaset, non sarà mai questione di soldi”.
    Lo trovava simpatico. “Lo trovavo simpatico”, scrive infine Ninni nel suo “Memorie dal Bagaglino, Diario intimo di un cabaret” (Edizione Mursia 16,00 euro). “Tutti lo trovavano simpatico, anche gli oppositori, anche i nemici. Sarebbe stato un grande showman. Anzi, lo è stato. Il suo punto debole, a mio giudizio di regista, sta proprio in quello che lui ritiene sia un suo asso nella manica: la voglia gioiosa di raccontare le barzellette”.

    Ed è simpatico Berlusconi – “una personalità prorompente”, lo definirà Mario Monti prendendogli il posto a Palazzo Chigi – ma adesso che esce di scena, ora che anche del Bagaglino, non ci resta che un album di ricordi, a noi viziosi dell’avanspettacolo, chi ci divertirà più?
    Simul stabunt e stabunt a tal punto i due – Berlusconi e il Bagaglino – che facevano qualcosa come i vasi comunicanti, ecco: una sera Silvio Berlusconi chiamò al telefono Pingitore per chiedergli la cortesia di non sforare con lo spettacolo “non oltre le undici e un quarto” e non sovrapporsi a un “Porta a Porta”. Forse era giusto la puntata del “contratto con gli italiani”, forse quella della “santità” con tanto di ostensione della sacra mano del Cav., chissà, a ogni modo Ninni disse sì, “altri avrebbero  fatto pervenire un ordine perentorio attraverso qualche funzionario della rete”, e gli italiani poterono avere – come in una porta girevole – l’epifania di Giano, il dio dei due volti, assiso appunto sul Gianicolo e non al Palatino che, un lapsus del destino, vorrà sede operativa delle produzioni Mediaset nella capitale.
    Berlusconi che è simpatico chiamò di persona e tutta la sua storia ebbe a trovarsi già scritta e non solo perché tante altre volte chiamerà personalmente, fosse pure per “la nipote di Mubarak” e spianare con garbo vicende altrimenti complicate, ma perché quelle storie di fiori e soubrette esigono gente pratica dell’arte di vivere e dove però Ninni, il fondatore del varietà più varietà della nostra storia, ha già incassato un vantaggio proprio chic. Potrà, infatti, vantare – giusto vicino a casa sua – la targa che solo un Berlusconi in grande spolvero potrebbe azzardarsi di immaginare, ed è questa: “Questo locale è stato ampliato con una parte dei soldi che ha speso qui da noi Pier Francesco Pingitore”. E’ il negozio di fiori che la buona sorte volle prossimo al domicilio di Ninni. Ha accompagnato ogni prima, ogni stagione e ogni ovazione del Bagaglino. Dai tempi delle cantine, al Salone Margherita, fino agli studi di Cinecittà. E’ la bottega generatrice di composizioni floreali e di tante raffiche di rose incendiate di saluti e baci.

    Ecco, se solo la storia fosse benigna e non matrigna e vendicativa, per com’è, ahimé, quanti riconoscimenti (in forma di targhe, statue e dediche) dovrebbero essere recapitati a Berlusconi da intere strade – per esempio via de’ Coronari, a Roma, per gli acquisti di preziosi  – o dalle concessionarie Mercedes – per via delle Smart regalate alle amiche – e poi ancora dagli artigiani, realizzatori delle celeberrime “farfalline”, esposte sulle generose balconate di ragazze, prim’ancora che amazzoni, amiche dell’uomo-sirena, l’uomo smarrito nel mare grande delle lenzuola?
    Di stare, Berlusconi e il Bagaglino, ci stanno simul sulla scena ma il vantaggio vero tra le due deità dei lustrini e delle paillette se lo aggiudica Pingitore. Il signore dal cappello importante e dagli occhiali a gocce ha fatto sempre quello che anche l’altro – un uomo dai molti cappelli e dalla cosmesi abbondante – avrebbe voluto fare, da sempre: scegliere ballerine e comici, scene e musiche, perfino pubblico e sala. Berlusconi ci ha provato, con la politica, a fare di tutte quelle zucche capitategli per mano, dei deputati-comici buoni per legislature che fossero puro intrattenimento a uso del grande pubblico ma il fatto è che – barzellette a parte – non ha voluto scegliersi il ruolo del regista, piuttosto quello delle vedette.

    E adesso, Ninni, con questo libro, ha fatto più largo il suo vantaggio e mezzo secolo di vita italiana ritrova ossigeno con l’aria del varietà dove – giusto etimo – il variare dei registri offre al lettore il codice della commozione, basti solo ricordare Bombolo (“occhi celesti, radi capelli biondi, carnagione rosea, viso paffuto”), quindi quello dell’amore (ma è un capitolo di cui scriverò in chiusura del pezzo), e quello della risata tutta terremotata se poi nel leggere le pagine dedicate a Oreste Lionello, il libro trema in mano dal tanto ridere.

    Provate a leggere un accenno del “Matusa”, uno dei più famosi monologhi dei primi anni: “Ci ho seicentovent’anni. Pe’ me Ricasso puzza ancora de latte. E a me il latte me farebbe bene. Ma come faccio? Quando me lo versano è latte… ma finché arriva quassù (fa l’atto di portare il bicchiere alla bocca con mano tremante) diventa ricotta. E a me la ricotta me fa male… l’altra sera all’ospizio m’hanno fatto la prova fisiologica. M’hanno portato in camera una ragazzetta. Ci avrà avuto settantacinque-ottant’anni. Un fiore! Dico: E mo’ che te faccio io a te? Tie’, m’ha risposto, famme vento. E m’ha messo un ventaglio in mano. M’è morta sotto. De polmonite!”.

    Ha anche un vantaggio, Ninni – lo dico così – è di limpieza di stile: è un signore dell’anarchia, un ragazzaccio dell’arcitalia, un ceffo del cattiverio, insomma. E’ uno della Repubblica laddove per “Repubblica” deve intendersi Salò e se pure Ninni non ha l’età per dirsi reduce, da giovanissimo bevve tutto quel mondo fatto di Salgari, Dumas e Mussolini da farsi stampare in petto tutto l’incendio della nostra storia. “A vent’anni non si poteva non partire volontari”.
    L’album dei suoi ricordi è quello di Mario Castellacci, l’autore della più bella e più maledetta delle canzoni: “Le donne non ci vogliono più bene”. Mario Castellacci, scrive Ninni prendendo a prestito le parole della sua donna, da lui tanto amata, “aveva un’anima di poeta incassata in un corpo di fruttarolo”. E il fascismo c’è tutto: “Si andava nella Repubblica per un malinteso senso dell’onore, hanno scritto nel migliore dei casi. E quale sarebbe il beninteso? La storia dirà poi se la parte scelta era giusta o sbagliata. Giusta se si vince, sbagliata se si perde”.

    Ninni Pingitore, di suo, scrisse “Avanti ragazzi di Buda, avanti ragazzi di Pest”, il canto che ancora oggi riecheggia tra le mura di CasaPound: “Studenti, soldati, operai, il sole non sorge più a est…”. Sono strofe semplici scelte a suo tempo per fare da antidoto al silenzio calato sulla rivolta di Ungheria, quando sull’orlo della fossa di quei ragazzi tutto il mondo rimase seduto. E gli amatori collezionano oggi il 45 giri dal titolo “Il Mercenario”, un’altra canzone scritta da Ninni e che affidò a Pino Caruso, al tempo delle cantine, quando il politicamente corretto ancora non sapeva di dover far fronte ad un testo così: “Addio amiche mie / coi fiori nei capelli / addio dolce compagne / trovate nei bordelli… Con le vostre guêpière / ho fatto una bandiera / portatela agli amici / che invecchiano a Lucera…”. Quel mercenario lui lo conobbe davvero. Glielo portò, una sera, Gualtiero Jacopetti, il regista documentarista di “Mondo cane”. Ancora una volta la storia di un repubblichino, di un tuttimestieri, di un soldato di ventura.

    Chi si prenderà cura, dunque, del nostro buonumore, senza più questo canovaccio di risate e rigatoni, senza più l’arte di un regista “fiero di essere uno dei pochi amici di Fellini. Pochi. Al massimo due o trecentomila”, cerimoniere di un mondo dove vi arrivava – fosse solo per una sera – un Gianni Agnelli, un Giulio Einaudi o un Angelo Guglielmi, a dispetto di quei critici, tutti, ormai col naso a turacciolo a forza di farselo venire storto davanti all’ancheggiare sublime di Aida Yespica, l’Ur-Belen della nostra memoria, la fata primigenia cui accostare nella giostra delle belle cosce, Pamela Prati, Lorenza Mario, Milena Miconi, Angela Melillo (ricordate? Leggeva in camerino “La goccia cinese”, il libro di Paolo Mieli), e poi ancora Nathalie Caldonazzo e Ramona Badescu, e le gemelle Bertuzzi, Tiziana e Ombretta, le “Kessler” del Bagaglino. La più burrosa, ricordate?, Valeria Marini, io la ricordo quando usciva in pausa dalle prove, dal Salone Margherita, e scendeva al bar di via della Mercede, a Roma. Era una ragazza e aveva una magia tutta sua di debuttante, niente a che vedere col fumetto che è diventata.

    Ha fabbricato un mondo, Ninni, senza avere santi in Paradiso. Tutto il suo vantaggio su Silvio che pure ne ha vampirizzato l’immaginario facendo del bunga-bunga una dose di omeopatia sul Bagaglino è fatto di malinconia e di letteratura. In quella via di Panìco, a Roma, dove iniziò l’avventura del ragazzo lesto di festa e di risata, sboccia come una rosa di palcoscenico tutto il rimpianto per ciò che fu: “Se mi guardo indietro vedo una miriade di facce, di luci, di colori, di gente che ride, che applaude, che urla, e visi di donne seducenti e bellissime, e gambe che si alzano e si abbassano e sento la musica che le fa muovere, e cesti di fiori, e rose rosse, e petali leggeri che scendono allegramente dall’alto e pianti di gioia e di emozione”.

    Una pagina bella, bella assai, è quella che Ninni dedica a un monumento d’uomo che questa nostra età, proprio miserabile, manco ha l’idea che possa esserci stato: Luciano Cirri, colonna del Borghese nonché fondatore del Giardino dei Supplizi, l’altro cabaret. Nel libro è Luciano e tutto il racconto di Ninni è fatto di omissioni di cognomi. Lo fa come con le materie delicate del cuore, non scomoda l’anagrafe, li interpella col cuore. Il suo grande amore, infatti, nel libro che è un’autobiografia, è “Lei”, con tanto di doverosa maiuscola. E solo chi lo conosce individua Lei, accanto a lui, come quella volta in cui se ne partirono da Roma alla volta di Verona. Se ne andarono dopo lo spettacolo, dopo la mezzanotte, lui guidò tutta la notte fino all’alba, quando il pedale dei freni pompava a vuoto  e l’auto, di tutte le curve, gli fece un rettilineo. E lui, allora, scalò di marcia, azzerò l’acceleratore, strappò infine il freno a mano e, nel sussulto, urtando con gli pneumatici un cordolo, ci fu Lei che si svegliò. Sorrise felice, osservando la bella Verona disse a lui: “Che succede?”. Erano a bordo di una Giulietta Sprint. Lui rispose: “Niente, dormi”.

    Dicevo di Luciano. Ebbero un litigio: “Volò qualche schiaffo. Che imbecille”, scrive oggi Ninni, “a litigare con uno come Luciano, uno dei migliori che abbia mai incontrato. Per cinque anni non ci parlammo. Poi un pomeriggio per via Frattina lo vidi venirmi incontro. Stavo per scansarlo, quando lui mi abbracciò. Anche lì fu migliore di me. Avrei voluto farlo io, ma lo fece lui. Che imbecille doppio. Morì appena uno o due anni dopo”. Che brividi nel ricordo che Ninni fa di Luciano Cirri. Merita un riquadro, ecco: “Giovane, ironico, sfottente e strafottente, aveva talento, piaceva alle donne”.
    E le donne, allora. Era la cantina di via della Campanella. Il primo cabaret romano. Amori, amorazzi, cotte furiose e amplessi di poche notti. Avevano voglia – tutti loro – di cantare “le donne non ci vogliono più bene”. Le donne, al contrario, erano incantate di tutti loro.

    “Ci si innamorava tanto” ricorda Ninni. C’era Orsola, bellissima, filiforme, bionda tedesca di Colonia. Innamorata persa di Luciano, ovviamente. “Mai saputo cosa facesse, forse l’indossatrice, come si diceva allora, o la guida turistica. Lo aspettava bevendo whisky sotto la volta tra le due sale, in un angolo appartato, non aveva occhi che per lui, dello spettacolo e di tutto il resto non le fregava nulla”.
    Le donne, dunque. C’è sempre un momento in cui s’incontra quella che “ti piace di più”. A questo punto Ninni si adopera nella dissimulazione. Convoca nella pagina un certo P. e a questi affida la scena di una notte di neve a Roma. P. accompagna Lei a casa e sotto quell’impolverarsi di neve le dà un bacio. Poi la porta a casa sua e fanno l’amore. La mattina scende al bar, prende cappuccino e bombe, mangiano con allegria e fanno di nuovo l’amore. “Poi”, racconta Ninni, “si rividero la sera nella stanzetta d’aspetto sopra la cantina. C’era altra gente. Si salutarono con un sorriso. Ma lei poco dopo gli andò vicino e gli sussurrò piano all’orecchio: Ti amo. Lui sentì che il fuoco stava divampando e capì di essere perduto”.

    Le donne, solo donne. C’era Laura, moglie di Pippo. E’ Laura Troschel, una donna dalla bellezza avvampante sebbene nascosta da una difficile telegenia. Oreste Lionello la vede fuori dallo schermo e dà di matto: “Possibile? Non è possibile. Non può essere la moglie di Pippo”. Nel senso che lui è brutto e lei, così bella, troppo bella. E Pippo è, appunto, Pippo Franco, “con quel nasone da fontanella” che era l’invidia di Enrico Montesano, uno che doveva far digerire al pubblico il difetto di essere – a differenza di Pippo Franco – un bel giovane.
    Le donne. Quel mondo fatto di tuttimestieri, repubblichini e soldati di ventura, non ha avuto altra meta che le donne. Anzi, la donna. Appunto, Lei.
     
    P.S.
    Le parole le mise Castellacci, il cuore, invece, è tutto di Ninni:
    “Anche tu così presente / così solo nella mia mente / tu che sempre mi amerai /
    Tu che giuri e giuro anch’io / anche tu amore mio / così certo e così bello /
    Anche tu diventerai / come un vecchio ritornello / che nessuno canta più”.

    E lei è solo Lei: Gabriella Ferri.

    • Pietrangelo Buttafuoco
    • Nato a Catania – originario di Leonforte e di Nissoria – è di Agira. Scrive per il Foglio.