Israele ha trovato un amico a Mosca

Massimo Boffa

Ci sono eventi culturali che, per il loro significato simbolico, sigillano il senso di un’epoca. L’inaugurazione, in pompa magna, del museo ebraico di Mosca, il più grande d’Europa, è uno di questi. Dice infatti al mondo, che magari si era un po’ distratto, quanto sia cambiata la condizione degli ebrei nella nuova Russia, in una nazione dove tradizionalmente l’antisemitismo ha sempre trovato un assai fertile terreno.

    Mosca. Ci sono eventi culturali che, per il loro significato simbolico, sigillano il senso di un’epoca. L’inaugurazione, in pompa magna, del museo ebraico di Mosca, il più grande d’Europa, è uno di questi. Dice infatti al mondo, che magari si era un po’ distratto, quanto sia cambiata la condizione degli ebrei nella nuova Russia, in una nazione dove tradizionalmente l’antisemitismo ha sempre trovato un assai fertile terreno. E che si sia entrati in una fase nuova lo ha voluto sottolineare, proprio in questa occasione solenne, il rabbino capo Berel Lazar, quando ha dichiarato – guardando indietro alla storia del paese – che “mai in Russia gli ebrei hanno vissuto così bene come oggi”.
    Il nuovo museo, che ha sede in un gioiello dell’architettura costruttivista, disegnato negli anni Venti da Konstantin Melnikov (e che fino all’anno scorso ospitava il Garage, il centro di arte contemporanea diretto da Daria Zhukova, moglie di Roman Abramovich, uno dei luoghi più glamour di Mosca), si impone allo spettatore non solo per l’estrema modernità del suo impianto (qualcuno, con un po’ di supponenza, ha parlato di “Disneyland ebraica”) ma anche per l’accuratezza con cui sono state ricostruite e documentate le più importanti pagine della vita ebraica in Russia.

    I primi shtetl, i tentativi di integrazione, le sanguinose persecuzioni (i pogrom) dell’epoca zarista, la nascita del movimento sionista, la partecipazione degli ebrei alla rivoluzione bolscevica, lo sterminio nei territori occupati dai nazisti, le campagne staliniane contro il “cosmopolitismo”, le aperte e sotterranee discriminazioni dell’epoca sovietica, quando quasi ogni traccia del culto era stata cancellata, l’emigrazione verso Israele negli anni di Breznev e Gorbaciov. Il culmine drammatico della visita è naturalmente nella Shoah, ma anche nell’avanzata dell’Armata rossa verso Berlino: perché la Russia rivendica a gran voce il proprio ruolo a fianco degli ebrei nel momento storico decisivo (“nessuno deve negare l’Olocausto – ha dichiarato Vladimir Putin – e nessuno deve negare il contributo russo alla vittoria nella guerra”).

    L’ottimismo esibito dal rabbino capo ha le sue ragioni. Ovviamente nessuno sottovaluta la permanenza di sentimenti antisemiti, tra gli strati più bassi della popolazione e nella propaganda dei movimenti nazionalisti. Ma certo l’atmosfera, rispetto a un passato anche recente, è del tutto nuova. Per la prima volta nella storia russa, dopo le ondate migratorie di fine Ottocento verso gli Stati Uniti e il massiccio esodo verso Israele nell’epoca sovietica, il flusso si è invertito: negli ultimi anni, da 100 mila ebrei (secondo le stime del rabbino capo) a 300 mila (secondo le stime dell’Accademia delle scienze) sono tornati da Israele in Russia, grazie al netto miglioramento delle condizioni nel paese (è impossibile conoscere il numero esatto, perché molti mantengono il doppio passaporto e la doppia residenza). E’ rinata una vita comunitaria: solo quindici anni fa non esisteva alcuna scuola ebraica, ora ci sono circa 15 mila studenti ebrei. Facoltosi mecenati (a cominciare da Abramovich, ma anche Viktor Vekselberg, principale sponsor del museo) finanziano le istituzioni della comunità. Anche le autorità politiche fanno la loro parte per incoraggiare il ritorno degli ebrei: Putin, che molto investe nella propria immagine di protettore delle tre grandi religioni russe (ortodossia, islam, ebraismo), non perde occasione per presentarsi in pubblico accanto al rabbino capo e per sostenere le sue iniziative. Con il suo mezzo milione di ebrei (stima del rabbino), Mosca ambisce a mostrare sempre di più un volto “jewish friendly”. Certo non sarà mai come New York, non fosse altro che per la presenza di una vasta popolazione musulmana (20 milioni in tutta la Russia, molto gelosi di un trattamento paritario – c’è già chi scommette che il prossimo grande museo sarà islamico), ma tutti hanno notato la grande hanukia che, da diversi anni, viene eretta sulla piazza del Maneggio, a due passi dal Cremlino, durante le feste di Hanukka.

    Esiste poi anche una diplomazia delle inaugurazioni. Shimon Peres è venuto a Mosca per aprire il nuovo museo ebraico; nel giugno scorso Putin è andato in Israele per inaugurare, a Netanya, il monumento all’Armata rossa. Il fatto è che, anche in campo strategico, le cose si stanno muovendo. Da quando, nel 1991, la Russia ha ristabilito le relazioni diplomatiche con Israele, i rapporti tra i due paesi hanno fatto molta strada. Ma è soprattutto negli ultimi due anni che hanno subìto una certa accelerazione. Nel medio oriente, infatti, la situazione è in rapida evoluzione: antiche partnership vengono meno e se ne cercano di nuove. E’ interessante, a questo proposito, sentire l’autorevole opinione di Tatiana Karasova, capo del dipartimento di Studi su Israele dell’Accademia delle scienze. “Ci sono tre importanti novità – dichiara Karasova al Foglio – che influenzano i rapporti tra i nostri paesi: la primavera araba ha prodotto in Israele un sentimento di maggiore insicurezza; Barack Obama viene percepito, rispetto ai suoi predecessori, come un presidente meno amico di Israele; incombe la minaccia dell’atomica iraniana. Inoltre, Russia e Israele, oltre a divergenze, hanno anche interessi in comune, soprattutto nel campo della lotta al terrorismo, e non è un mistero per nessuno che, quando Gerusalemme colpisce nella Striscia di Gaza, trova più comprensione a Mosca che in certe capitali europee. Tutto ciò ha dato impulso a una serie di collaborazioni strategiche, anche in campo militare. Voglio ricordare solo l’importante accordo raggiunto per costruire aerei senza pilota (droni) a Kazan con tecnologia israeliana (in cambio, Gerusalemme ha chiesto e ottenuto che la Russia non fornisca più all’Iran pezzi di ricambio per i missili S-300). Se solo cinque anni fa qualcuno me lo avesse detto, non lo avrei creduto possibile. Quanto al dossier iraniano, io mi auguro di tutto cuore che lo strike israeliano contro l’Iran non avvenga, sarebbe terribile innanzitutto per Israele. Ma nella sciagurata ipotesi che ci si arrivasse, la mia opinione personale è che la Russia protesterà con tutti i suoi mezzi diplomatici, ma non si immischierà”.