I due grandi occhi d'Israele

Giulio Meotti

La guerra fra Israele e Hamas ha già stabilito numerosi record, come i missili su Gerusalemme che mancavano dal 1971. Non si ricordava neppure che le autorità israeliane dovessero modificare, come è stato ordinato ieri, le tratte dei voli di linea in arrivo e in partenza dall’aeroporto internazionale Ben Gurion. La minaccia missilistica da Gaza resta alta.

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    Roma. La guerra fra Israele e Hamas ha già stabilito numerosi record, come i missili su Gerusalemme che mancavano dal 1971. Non si ricordava neppure che le autorità israeliane dovessero modificare, come è stato ordinato ieri, le tratte dei voli di linea in arrivo e in partenza dall’aeroporto internazionale Ben Gurion. La minaccia missilistica da Gaza resta alta. Se tre anni fa, durante “Piombo Fuso”, Hamas lanciò 600 razzi in ventidue giorni di guerra, nei primi quattro giorni di “Pilastro di difesa” ne sono caduti su Israele già 550.

    E’ una guerra che Israele combatte con due occhi speciali, uno da terra e uno dal cielo. Dei Patriot americani gli israeliani non hanno una buona memoria: durante la prima guerra del Golfo, quando l’allora primo ministro Yitzhak Shamir si teneva la testa fra le mani corrucciato e il ministro degli Esteri Moshe Arens trattava con gli americani la possibilità che Gerusalemme compisse un gesto simbolico contro Saddam Hussein, i Patriot non riuscirono a distruggere nemmeno uno degli Scud che l’Iraq lanciò contro Tel Aviv. Vent’anni dopo, un nuovo sistema anti missile (“Iron Dome”, la cupola d’acciaio) ha già intercettato 351 missili palestinesi che altrimenti avrebbero provocato un gran numero di vittime civili. “E’ il nostro piccolo miracolo”, ha detto il colonnello Avi Minzer. La cupola ha avuto finora una riuscita dell’88 per cento. Una performance incredibile, considerato che è in funzione da meno di un anno. I militari israeliani addetti a questa missione sono anche noti come “cacciatori di missili”. Si calcola che se anche soltanto il dieci per cento dei missili intercettati fosse caduto nei centri abitati, Israele oggi conterebbe fra i 50 e i 60 morti. I tre morti a Kiryat Malakhi sarebbero stati la conseguenza di un malfunzionamento della cupola. Il maggiore giornale israeliano, Israel Hayom, ha scritto che la cupola sarebbe l’unico motivo per cui ancora il primo ministro, Benjamin Netanyahu, non ha ordinato l’invasione via terra.

    Iron Dome, che il premier ha chiamato “miracolo tecnologico”, costa un’eresia rispetto ai missili palestinesi: ogni proiettile di Iron Dome costa a Israele 50 mila dollari, mentre i razzi di Hamas non superano le poche centinaia di dollari (ogni batteria antimissile vale cinquanta milioni di dollari). Per questo il sistema entra in funzione soltanto quando calcola che il proiettile palestinese cadrà in una zona abitata. Iron Dome, paragonato alla fionda con cui – secondo la Bibbia – Davide sconfisse il gigante Golia, è un progetto congiunto dell’azienda parastatale israeliana Rafael – i cui profitti sono schizzati alle stelle nell’ultimo anno – e della Raytheon Company, la compagnia americana leader nei missili teleguidati. Iron Dome funziona così: un radar, costruito dalla Elta, avvisa del missile, poi un programma informatico calcola il luogo della caduta e a seconda della mappa tracciata il missile entra in funzione. Israele lo ha ribattezzato “Homa”, che in ebraico significa muraglia. Il cuore del progetto è nella base di Palmachim, sorge presso Ashdod e lì primi ministri e generali assistono ai test dietro alla “finestra di Golda”, dal nome dell’ex primo ministro israeliano Meir che amava prendere parte alle esercitazioni.

    L’altro “occhio” d’Israele nella guerra di Gaza è a dodicimila metri di altezza. E’ un drone noto in ebraico come “Eitan”, il robusto (“Heron Tp”, nella denominazione inglese). E’ il vanto della tecnologia israeliana. Da trent’anni Gerusalemme è all’avanguardia nella realizzazione di aerei senza pilota e il dottor David Harari ricorda ancora le risate nell’establishment militare israeliano quando lui sollevò per primo l’idea di velivoli senza pilota. Eitan è lungo tredici metri e ha una apertura alare di ventisei metri (come quella di un Boeing 737). Messo a punto per l’eventuale guerra contro l’Iran, il drone può raggiungere zone distanti centinaia di chilometri da Israele. Il drone raccoglie informazioni sulle piste di lancio di Hamas e le bombarda chirurgicamente.
    Il velivolo che ha ucciso Ahmed Jaabari, capo militare di Hamas, è l’evoluzione del modello usato nel 1992 per assassinare Abbas al Musawi, capo di Hezbollah, come rappresaglia per l’assassinio di tre reclute israeliane, sgozzate da un commando arabo. I droni sono scelti da Israele per le missioni “3D”: dull, dirty and dangerous. Cupe, sporche e pericolose. Non creano problemi di coscienza ai piloti che partecipano alle missioni di assassinio contro i capi di Hamas, con eventuali perdite di civili. Il drone israeliano è usato anche nelle montagne afghane per dare la caccia ai talebani.

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    • Giulio Meotti
    • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.