Farinetti, Eataly e quella pazza idea di salvare l'Italia con la bellezza

Redazione

Era il 2004 quando Oscar Farinetti, 55 anni piemontese di Alba, già proprietario di Unieuro, iniziò a studiare il modo di promuovere il made in Italy del gusto. Il cibo faceva già parte della sua vita (papà che faceva la pasta a mano e nonno mugnaio), ma solo tre anni più tardi, nel 2007, aprì il primo tempio del gusto, a Torino. Da allora, Eataly è stato un notevole successo: 19 centri sparsi in tutto il mondo, da New York a Tokyo, 9 nel nostro paese, con un’ulteriore espansione già prevista per il prossimo triennio.

    Era il 2004 quando Oscar Farinetti, 55 anni piemontese di Alba, già proprietario di Unieuro, iniziò a studiare il modo di promuovere il made in Italy del gusto. Il cibo faceva già parte della sua vita (papà che faceva la pasta a mano e nonno mugnaio), ma solo tre anni più tardi, nel 2007, aprì il primo tempio del gusto, a Torino. Da allora, Eataly è stato un notevole successo: 19 centri sparsi in tutto il mondo, da New York a Tokyo, 9 nel nostro paese, con un’ulteriore espansione già prevista per il prossimo triennio. A cominciare da Roma, dove oggi, all’Air Terminal della stazione Ostiense, apre il più grande tempio dell’eccellenza dell’agroalimentare e della ristorazione italiana. Quello di Roma, dedicato “alla bellezza che salverà l’Italia”, sarà il più grande di tutti: quattro piani, 17 mila metri quadrati di superficie, 23 luoghi di ristoro, 8 aree di produzione a vista. E poi sale riunioni, un centro congressi e 40 aule dedicate alla didattica per sapere tutto sulla cultura, la storia e le caratteristiche dei prodotti in esposizione. Per chi vorrà, poi, ci sarà l’opportunità di partecipare ai corsi di educazione e godimento alimentare, rivolti a bambini e pensionati, per “imparare a cucinare bene una buga da 3 euro al chilo contro i 30 euro al chilo del branzino”. Preparare “piatti ricchi con ingredienti poveri” è il titolo scelto per le lezioni. Fondamentale, nella filosofia di Farinetti, è capire cosa si mangia. “E come nell’amore, dove se conosci il o la partner godi di più, così avviene nel cibo. Se conosci ciò che mangi e bevi, godi il doppio”.

    Eataly di Roma è “una Disneyworld della bellezza italiana”, come l’ha definita il suo fondatore, e appena si entra nell’immenso spazio circondato da enormi vetrate con vista sulla piramide Cestia, l’effetto è quello di trovarsi in un luogo dove trionfa il meglio dell’Italia e dell’italianità: dall’arte alla musica, fino all’ironia, con l’esposizione di 100 vignette satiriche originali (dal 1861 al 2012) sulla politica italiana intrecciata al cibo. Non c’è da stupirsi se girando tra gli spazi espositivi, il pastificio e il grande forno a legna, il birrificio e l’officina di tostatura del caffè interamente a vista, la cioccolateria e la gelateria, capiterà di ascoltare in sottofondo un’ouverture di Rossini o un successo di Lucio Dalla. Agli amanti dell’arte, poi, sarà gradito pranzare al Ristorante Italia in compagnia di quattro opere autentiche di Amedeo Modigliani, tra sculture e matite su carta.
    Nell’Air Terminal Ostiense, struttura realizzata per i Mondiali di calcio del 1990 su progetto di Julio Lafuente e successivamente abbandonata al degrado e alla desolazione prima dell’arrivo di Farinetti che le ha ridato vita, il cibo di grande qualità (e di stagione) sarà esposto, messo in vendita e, per chi vorrà, cucinato. Si tratta di un’esperienza unica in cui l’integrazione totale tra mercato, ristorazione e didattica trova perfetto compimento.

    Tutto è curato nel minimo dettaglio (dalle lampade azzurre del ristorantino del pesce all’atmosfera vagamente Belle Époque della caffetteria): nulla è lasciato al caso e all’improvvisazione: il cliente (“che non ha sempre ragione”, come spiega il primo punto della politica perseguita da Eataly) deve sentirsi bene, trovare l’armonia e imparare di più su ciò che mangia. Da sempre Eataly offre particolare spazio ai prodotti della regione che la ospita, ma non è nella filosofia di Farinetti la lode del chilometro zero, anche perché “senza la circolazione delle merci il mondo si ferma”.