Bersani insicuro nella galassia impazzita delle liste di sinistra

Alessandra Sardoni

Per gli scettici vale la prima parte della frase: “Non mi candido”. Per i cultori della materia, i fan e quanti scommettevano da tempo sull’icona (o la edificavano), la seconda: “Non rinuncio alla possibilità di costruire un nuovo percorso in questo paese”. I primi si attaccano alla professione di fede nel “mestiere di scrittore”, i secondi al concetto che “le parole sono azione”, di più “prassi”.

    Per gli scettici vale la prima parte della frase: “Non mi candido”. Per i cultori della materia, i fan e quanti scommettevano da tempo sull’icona (o la edificavano), la seconda: “Non rinuncio alla possibilità di costruire un nuovo percorso in questo paese”. I primi si attaccano alla professione di fede nel “mestiere di scrittore”, i secondi al concetto che “le parole sono azione”, di più “prassi”. Per i primi vale la smentita, per i secondi la conferma, che le ambizioni politiche di Repubblica esistono e che forse i suoi vertici hanno convinto la loro star. Roberto Saviano si aggiunge – e diventa il numero uno – all’elenco di quelli “on the edge”, lacerati dal dilemma scendo o non scendo in politica, tentati dalla possibilità, attratti dai vuoti del postberlusconismo. Da Luca Cordero di Montezemolo al ceto medo riflessivo di Paul Ginsborg e Luciano Gallino; dai sindaci Luigi De Magistris e Michele Emiliano sensibili alle suggestioni dell’ennesimo partito dei sindaci; fino alla Fiom. Senza contare il ministro Corrado Passera, impallidito nel profilo di leader, ma deciso a giocare la carta della popolarità, se è vero che aveva programmato per mercoledì scorso perfino il passaggio da Maurizio Crozza, poi annullato in segno di lutto per il terremoto dell’Emilia.

    Affidata all’Antitaliano, la rubrica che Ezio Mauro e Bruno Manfellotto hanno pensato di consegnargli nella veste di erede di Giorgio Bocca, la linea di Saviano su Saviano è pubblicata dall’Espresso di questa settimana, proprio mentre il caso liste civiche agita il Pd e il segretario. Con retroscena contrastanti come sempre quando si tratta del rapporto controverso con il mondo di Rep., che di tutte le possibili liste è ovviamente la più ingombrante, nel bene – la capacità di contrastare il grillismo –  e nel male – la sempiterna passione del gruppo De Benedetti per l’eterodirezione del centrosinistra e dei suoi leader. A Bersani era piaciuta l’idea di Eugenio Scalfari, la lista civica in soccorso del Pd, e della candidatura a premier dello stesso segretario con personaggi icone della legalità. Da Largo Fochetti filtrava che fosse stato lo stesso segretario a suggerirla. Ma anche la versione opposta. Meno graditi al Pd gli sviluppi, il rimbalzo della festa di Rep. di giugno, la “Repubblica delle Idee”. Tra i bersaniani del resto nel corso delle settimane era prevalsa la diffidenza, il timore di dover dare alla fine “trenta posti a personaggi legati a Repubblica”, questa la previsione, tra il disincanto e la scaramanzia, che circolava nel gruppo della Camera.

    Il dossier sulla legge elettorale
    Pagina dell’Espresso alla mano, il Pd riflette in preda a opposte considerazioni: Saviano in campo specie se non candidato, ma testimonial forte, guru, leader carismatico è un buon antidoto contro Beppe Grillo, un antagonista popolare, ma istituzionalmente sensibile e meno populista. Per di più, sarebbe in grado di dare filo da torcere agli altri, i molti isolotti dell’arcipelago liste civiche specie quelli più a sinistra. Ma la capacità di condizionamento del Pd sarebbe comunque altrettanto forte. “Inutile ipotizzare liste senza conoscere quale sarà la legge elettorale”, commenta il segretario. Come dire inutile tentare di razionalizzare prima quello che non è razionalizzabile perché troppo fluido. I suoi aggiungono che tra settembre e ottobre tutto potrebbe esser diverso, a cominciare dalla situazione dell’Europa, Grecia, Portogallo e Spagna.  Il problema è che nel frattempo le liste si ipotizzano da sole. E sono molte. Potrebbero materializzarsi tutte insieme il 9 giugno per iniziativa della Fiom, a leggere Luca Telese sul Fatto quotidiano, promotrice di un’iniziativa in tutto e per tutto politica e minacciosa. Maurizio Landini e Giorgio Airaudo hanno invitato tutti i leader, da Bersani a Di Pietro a Nichi Vendola, Paolo Ferrero, Diliberto e tutti i movimenti in campo ex girotondini, Libertà e Giustizia, MicroMega, sindaci ecc. a un confronto sulla “rappresentanza del lavoro”. Hanno accettato tutti, Bersani però non ha ancora deciso: “L’appuntamento è in agenda, ma non sappiamo se andrà”, dicono i suoi. Intanto per contenerle punta  sulle primarie aperte. “Con Landini, sulle vertenze e altro si sente di frequente, dunque non è detto che sia necessario partecipare al confronto pubblico”, è la linea. Ma a voler tentare una ricognizione bisogna comunque partire dai leader dei metalmeccanici e dal loro attivismo. Ecco, cominciamo da qui.

    Fiom, “rappresentare il lavoro”. Giorgio Airaudo puntualizza con il Foglio che quella del 9 giugno è “un’iniziativa sindacale”, punta a mettere in agenda il problema del lavoro “sia sul piano dei contenuti sia su quello della rappresentanza” con una preoccupazione esplicita: “In Parlamento devono tornare rappresentati tutti i corpi sociali, non solo commercialisti, avvocati ecc.”, osserva Airaudo. Se lui o Landini abbiano voglia di candidarsi non è questione da porsi. Semmai sono gli interlocutori naturali, per esempio i vendoliani, a porsela. E questi scommettono che Landini resterà dov’è, “per non lasciare scoperte caselle importanti”, ma che Airaudo invece… Visto da sinistra e da Sel (ma anche dalla Federazione della Sinistra che scalpita per rientrare in Parlamento) tutto genera diffidenza e il timore è di avere più concorrenti che alleati. Specie perché il processo verso la foto di Vasto è ancora non abbastanza definito. E nemmeno quello verso il possibile cartello elettorale con l’Italia dei valori, altro rivale nell’interlocuzione con Landini attraverso l’ex Fiom e ora dipietrista Maurizio Zipponi. Il Pd su queste manovre è cauto, lamenta un insider di Sel che osserva come tuttavia nel suo partito si creda ancora possibile una scomposizione del Pd fra moderati e sinistra e una ricomposizione diversa. Nel Pd sono individuati come simpatizzanti e pronti al dialogo Nicola Latorre e Vincenzo Vita e Cesare Damiano che però non sapevano nemmeno dell’iniziativa Fiom del 9 giugno. Per dire la confusione.

    I sindaci di sinistra. Il partito dei sindaci non interessa a Giuliano Pisapia, il modello Milano è altro, spiegano i suoi, più aperto perfino della foto di Vasto. Da superare con innesti della società civile, Pisapia è attento, ma autonomo, anche se sensibile alle iniziativa di Libertà e Giustizia e ai richiami di Rep. (visto che è stato anche difensore di CDB, ma nulla di più). E’ il sindaco di Milano e con De Magistris ed Emiliano non c’entra nulla. Per la verità la lista dei sindaci è in frenata. Emiliano sconta la vicenda delle cozze, dicono i suoi. Sarebbe stato il leader, ma ha fatto marcia indietro, dicendo che mai avrebbe fatto qualcosa contro il Pd. De Magistris attraverso il suo assessore ai Beni Comuni Alberto Lucarelli dialoga con Alba, l’Associazione Lavoro beni Comuni e Ambiente, il ceto medio riflessivo di Paul Ginsborg, Stefano Rodotà e Luciano Gallino. Ex girotondini che ritengono però impresentabili tutti i partiti. “Abbiamo già sbagliato con la sinistra Arcobaleno, non faremo lo stesso errore”, dice uno di loro, Massimo Torelli, attivista fiorentino, ambasciatore di Ginsborg senza telefonino. Ginsborg all’Unità ha spiegato che non ha intenzione di aiutare il Pd. Più chiaro di così. Anche per loro l’appuntamento è estivo, il 30 giugno e il primo luglio in Emilia. Per solidarietà al terremoto e contro Grillo. Con Rep. molto rispetto, specie Libertà e Giustizia. Lì insomma si ritorna.