I conti in tasca alla Lagarde

Redazione

Quando i tempi si fanno duri è fatale che cresca l’attenzione verso i pulpiti da cui arrivano certe prediche, a prescindere dalla loro indubbia fondatezza. Christine Lagarde, direttrice del Fondo monetario internazionale, intervistata dal Guardian il 25 maggio aveva detto, forse troppo bruscamente, qualcosa che è difficile non condividere, e cioè che i greci, per cominciare a darsi una mano da soli,  dovrebbero imparare a pagare le tasse, tutti.

    Quando i tempi si fanno duri è fatale che cresca l’attenzione verso i pulpiti da cui arrivano certe prediche, a prescindere dalla loro indubbia fondatezza. Christine Lagarde, direttrice del Fondo monetario internazionale, intervistata dal Guardian il 25 maggio aveva detto, forse troppo bruscamente, qualcosa che è difficile non condividere, e cioè che i greci, per cominciare a darsi una mano da soli,  dovrebbero imparare a pagare le tasse, tutti. Avrà messo in conto qualche reazione risentita – il socialista Venizelos l’ha accusata di aver voluto umiliare il popolo greco, il leader della sinistra radicale, Alexis Tsipras, le ha mandato a dire che i lavoratori hanno sempre pagato – ma nemmeno sette gelide righe di precisazione su Facebook le hanno risparmiato un po’ di conti in tasca da parte dei blogger di mezzo mondo. E c’è voluto poco a scoprire che, in quanto funzionario di un’istituzione internazionale, Christine Lagarde non deve pagare un centesimo di tasse sullo stipendio (467.940 dollari annui più altri 83.760 di benefit, soggetti per contratto a un aumento annuale per i cinque anni del mandato: più di quanto guadagna il presidente americano

    Obama, che però le tasse sul suo compenso le paga).
    Niente di personale: l’ex ministro delle Finanze francese, anche se volesse “incominciare ad aiutare se stessa”cosa di cui non si dubita, quelle tasse non potrebbe pagarle. A proteggerla (e a proteggere tutti i funzionari incaricati di missioni diplomatiche internazionali) dalle noie fiscali che affliggono i comuni mortali, c’è la Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche, firmata nel 1961 da 187 nazioni. Il testo è chiaro: “L’agente diplomatico è esente da ogni imposta e tassa personale o reale, nazionale, regionale o comunale”. Pagherà solo le imposte indirette, le tasse di successione e altre tasse su imprese commerciali private, su investimenti personali o su redditi diversi da quelli legati alla sua missione. Durante la conferenza di Bretton Woods, nel 1944, quando fu creato il Fondo monetario internazionale, erano stati i delegati americani, contro quelli britannici, a proporre quel vantaggioso status per le buste paga dei burocrati senza frontiere. L’economista John Maynard Keynes definì “mostruosa” la proposta americana, ma non lo ascoltarono. Che sia il caso di ripensarci?