Tre ex capi di stato maggiore al comando

Il triumvirato d'Israele

Giulio Meotti

Con una mossa a sorpresa il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha disdetto le elezioni anticipate per settembre e ampliato la coalizione di governo con l’ingresso di Kadima di Shaul Mofaz. Si va avanti fino all’ottobre 2013 con un superesecutivo di unità nazionale che comprenderà 90 dei 120 deputati della Knesset. Il nuovo leader di Kadima Mofaz (subentrato a Tzipi Livni) sarà vicepremier e parteciperà al Consiglio di difesa, il celebre “ottetto” dove vengono prese le decisioni più critiche. Il patto Netanyahu-Mofaz sancisce l’irrilevanza della sinistra del Labour e dell’astro liberal nascente, Yair Lapid.

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    Con una mossa a sorpresa il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha disdetto le elezioni anticipate per settembre e ampliato la coalizione di governo con l’ingresso di Kadima di Shaul Mofaz. Si va avanti fino all’ottobre 2013 con un superesecutivo di unità nazionale che comprenderà 90 dei 120 deputati della Knesset. Il nuovo leader di Kadima Mofaz (subentrato a Tzipi Livni) sarà vicepremier e parteciperà al Consiglio di difesa, il celebre “ottetto” dove vengono prese le decisioni più critiche. Il patto Netanyahu-Mofaz sancisce l’irrilevanza della sinistra del Labour e dell’astro liberal nascente, Yair Lapid. L’unica loro ragione d’essere era la battaglia contro gli ultraortodossi, che Netanyahu spegnerà varando una nuova legge sul reclutamento di religiosi e arabi (esentati dal servizio militare) a un servizio civile obbligatorio. Arik Bender, analista politico di Maariv, scrive che il patto è “un colpo durissimo” per la leader della sinistra, Shelly Yachimovich, e “mortale” per Lapid. Qualcuno parla già della “fine della sinistra israeliana”. La “nuova questione sociale”, le tende di protesta della scorsa estate, non ha retto di fronte ai numeri di Netanyahu sull’economia. Grazie al programma di liberalizzazioni e privatizzazioni del Likud, Israele gode del magico “cinque per cento”, che è il tasso di disoccupazione al minimo storico e il prodotto interno lordo fra i migliori al mondo.

    Ma al di là delle questioni interne ci si interroga se la mossa di Netanyahu sia da collegare a un attacco di Israele alle centrali nucleari dell’Iran. E’ il “triumvirato della sicurezza”, Netanyahu, Mofaz e il ministro della Difesa, Ehud Barak. Per la prima volta un esecutivo israeliano vede al comando tre ex capi di stato maggiore (Barak, Mofaz e il vicepremier Moshe Yaalon). La sicurezza è tanto importante oggi nello stato ebraico che le figure più chiacchierate sull’ingresso in politica riguardano l’ex capo di stato maggiore che ha guidato “Piombo fuso”, Gabi Ashkenazi, e l’ex capo del Mossad, Meir Dagan. L’esperto d’intelligence di Haaretz, Amir Oren, ha scritto: “L’accordo Mofaz-Netanyahu potrebbe essere l’inizio dello strike all’Iran”. E’ anche l’opinione di Jeffrey Goldberg, il giornalista dell’Atlantic che segue Israele: “Netanyahu può procedere tranquillo sui siti nucleari iraniani”. E se il commentatore Amnon Abramovich ha detto che Netanyahu pensa a un attacco preventivo all’Iran per la fine dell’estate-inizio autunno, su Yedioth Ahronoth Ron Ben-Yishai, il maggiore giornalista militare israeliano, ha scritto: “Il patto Netanyahu-Mofaz rafforza la deterrenza contro l’Iran”. Infine, David Weinberg su Israel Hayom: “Preparate le bottiglie d’acqua. Il confronto con l’Iran sta arrivando”. 

    Di origini iraniane, ex capo di stato maggiore, ex ministro della Difesa, ex Likud, il generale Mofaz è noto come “Mr. Security” ed è diventato famoso in occidente come quello del massacro, che massacro si rivelò non essere, di Jenin. Tra i fondatori dell’insediamento di Elqana, la carriera militare di Mofaz decolla, letteralmente, nel 1976 quando fu uno dei protagonisti del blitz a Entebbe (in cui persa la vita il fratello di Netanyahu, Yoni). Ancora di recente, Mofaz ha invocato “un’azione strategica che spazzi via il regime di Hamas da Gaza”. Fu sempre lui a volere le “esecuzioni mirate” dei terroristi. La durezza di Mofaz è tale che molti lo chiamano “Ghever-Ghever”: il duro per antonomasia. Sull’Iran, Mofaz dice che è “la radice di ogni male” e quando Mahmoud Ahmadinejad disse che Israele sarebbe scomparso dalla mappa geografica Mofaz replicò: “Scomparirà prima lui”. Mofaz è vicino alla linea Barak: attaccare prima che Teheran entri nella “zona di immunità”. A spia risponde spia. A Yuval Diskin, l’ex capo dell’intelligence che giorni fa aveva denunciato la linea “messianica” di Netanyahu sull’Iran, ha risposto un altro capo dello Shin Bet, Avi Dichter: “Un Iran nucleare è più pericoloso dello strike israeliano all’Iran”. Il quotidiano Makor Rishon intanto ha pubblicato una simulazione dell’attacco israeliano all’Iran. Il 14 e il 15 ottobre prossimo il Mossad rivela che l’Iran ha iniziato a spostare dispositivi nucleari nei siti sotterranei di Qom e che è pronto ad arricchire uranio al livello militare. Nell’Operazione Yahalom (“Diamanti”), che ha luogo il 16 ottobre, Israele perde dieci aerei ma riporta indietro di sette anni il programma iraniano. Da una nave nel Mediterraneo agenti iraniani lanciano un missile contro un aereo della El Al, uccidendo trecento persone. A Tel Aviv radiazioni sono emesse da una “bomba sporca”. Per ora è solo una simulazione.

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    • Giulio Meotti
    • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.