“Fine dell'egemonia tedesca”

A Bruxelles si prepara una cena informale pro Keynes e anti Merkel

David Carretta

Dopo l’Olanda, il fronte della rivolta antimerkeliana la scorsa settimana ha contagiato la Romania. A Bucarest 235 parlamentari hanno votato contro il governo di centrodestra del premier Mihai Razvan Ungureanu e le misure di austerità imposte dal Fondo monetario internazionale in cambio di un prestito di 6,6 miliardi di dollari. Il presidente Traian Basescu ha incaricato il leader dei socialdemocratici, Victor Ponta, di formare un nuovo governo un po’ politico, un po’ tecnico.

    Bruxelles. Dopo l’Olanda, il fronte della rivolta antimerkeliana la scorsa settimana ha contagiato la Romania. A Bucarest 235 parlamentari hanno votato contro il governo di centrodestra del premier Mihai Razvan Ungureanu e le misure di austerità imposte dal Fondo monetario internazionale in cambio di un prestito di 6,6 miliardi di dollari. Il presidente Traian Basescu ha incaricato il leader dei socialdemocratici, Victor Ponta, di formare un nuovo governo un po’ politico, un po’ tecnico. Malgrado la promessa di “continuità” per continuare a ottenere dal Fmi gli aiuti Ponta, uomo della sinistra dura e pura, ha detto che restituirà “ai rumeni la speranza che le cose possano evolvere nella buona direzione”.
    Venerdì, anche il governo di centrodestra della Repubblica ceca ha rischiato di cadere. Il premier Petr Necas è sopravvissuto per cinque voti a un voto di fiducia in Parlamento. In attesa dei grandi appuntamenti elettorali di maggio – le presidenziali in Francia, le legislative in Grecia, le regionali in Germania e il referendum sul Fiscal compact in Irlanda – “i domino stanno cadendo, in particolare negli stati più piccoli”, dice Jan Techau, direttore dell’ufficio europeo del Carnegie Endowment for International Peace. Se il candidato socialista François Hollande come predicono tutti i sondaggi domenica conquisterà l’Eliseo, secondo Wolfang Munchau del Financial Times, sarà “l’inizio di un’insurrezione progressista”.

    “Il Growth Bloc di Hollande significa la fine dell’egemonia tedesca in Europa”, ha scritto sul Telegraph Ambrose Evans-Pritchard. A Bruxelles sono già in corso i preparativi per la grande svolta keynesiana. Il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, convocherà una cena informale dei capi di stato e di governo appena dopo le presidenziali francesi. “Per due anni la Germania ha fatto come voleva in Europa, trattando nazioni storiche come Bismarck trattava la Baviera”, cioè ignorando la loro sovranità, spiega Evans-Pritchard.

    La cancelliera Angela Merkel ha potuto imporre la sua politica di austerità “solo perché Nicolas Sarkozy l’ha seguita a ogni fase invece di usare il potere decisivo della Francia nel sistema Ue per fermarla”. Secondo Evans-Pritchard, Sarkozy “ha sacrificato tutto per l’illusione della parità franco-tedesca”. Ma ora “l’era vagamente Petenista del Merkozy è finita”. E “Merkel dovrà re-imparare l’arte dimenticata del compromesso”.
    Mario Monti di fatto si è candidato a fare da ponte tra la cancelliera Merkel e un presidente Hollande. La scorsa settimana il premier italiano ha rigettato le politiche “keynesiane vecchio stile”, ma ha chiesto di scorporare gli investimenti pubblici dall’apparato legale – Six Pack sulla governance economica e Fiscal compact – messo in piedi dal Merkozy in questi due anni. L’altro Super Mario d’Europa, il presidente della Banca centrale europea, vuole invece un “Growth Compact”, fatto di riforme strutturali dolorose – mercato del lavoro, liberalizzazioni, tagli salariali – che piacciono a Merkel e che Hollande aborra. Ma il fronte della rivolta antimerkeliana ogni giorno si rafforza.

    In Spagna, dentro il governo di Mariano Rajoy si moltiplicano gli appelli per un intervento diretto della Bce nella crisi. Domenica in Grecia, i partiti antiausterità potrebbero ottenere più voti dei conservatori di Nuova Democrazia e dei socialisti del Pasok, anche se la legge elettorale consentirà alla coppia Antonis Samaras e Evangelos Venizelos di formare un governo di coalizione per continuare con tagli, tasse e riforme. In Irlanda, dove il 31 maggio si vota sul Fiscal compact, i sondaggi danno il risultato in bilico: 47 per cento a favore, 35 per cento contro, e un 18 per cento decisivo di indecisi. Gli irlandesi hanno già bocciato il trattato di Nizza e quello di Lisbona. I “sì” al Fiscal compact sono calati di due punti rispetto all'ultimo sondaggio di marzo e il governo di Dublino sta correndo ai ripari avvertendo gli irlandesi che un “no” metterebbe a rischio futuri salvataggi. In Germania, la stessa cancelliera non è immune dalla rivolta antimerkelliana. Il potente sindacato IG Metall si prepara a manifestazioni e scioperi per ottenere il 6,5 per cento di aumento salariale. Domenica si vota in Schleswig-Holstein, una settimana dopo in Nord Reno-Westfalia. In vista di un possibile ritorno nel 2013 alla grande coalizione con i socialdemocratici, Merkel ha fatto una concessione sull’austerità, acconsentendo alla creazione di una commissione indipendente per negoziare un aumento del salario minimo. In serata Jean-Claude Juncker ha deciso di lasciare la carica di presidente dell’Eurogruppo perché “stanco” delle ingerenze franco-tedesche nella gestione della crisi.