Promesse non mantenute

Gentile Fornero, perché salva le dimissioni in bianco?

Ritanna Armeni

Gentile Fornero, mi dispiace dirlo ma lei non ha mantenuto le promesse. Non ha risolto il problema delle dimissioni in bianco che obbligavano le donne che rimanevano incinte a lasciare il posto di lavoro. Il disegno di legge sul mercato del lavoro lascia confusa e anzi, nella sostanza, può peggiorare la condizione già esistente.

Tra pochi minuti la replica del ministro Elsa Fornero

    Gentile Fornero, mi dispiace dirlo ma lei non ha mantenuto le promesse. Non ha risolto il problema delle dimissioni in bianco che obbligavano le donne che rimanevano incinte a lasciare il posto di lavoro. Il disegno di legge sul mercato del lavoro lascia confusa e anzi, nella sostanza, può peggiorare la condizione già esistente. Non è facile capire quell’articolo 55 tanto l’italiano è sciatto, confuso, ingarbugliato, burocratico. Ci vogliono molte letture e la spiegazione di chi se ne intende di più, ma alla fine il senso è questo. Salvo che il fatto “costituisca reato”, dice la legge, il datore di lavoro che “abusi del foglio firmato in bianco al fine di simulare le dimissioni o la risoluzione consensuale è punito con la sanzione amministrativa da 5.000 a 30.000 euro”. La prima domanda è ovvia: quando è che l’abuso costituisce reato? Siamo di fronte a un datore di lavoro che usa uno strumento illegale, la firma su una lettera di dimissioni per potere licenziare. E’ abuso o reato? Evidentemente, per la sua proposta, il ricatto è, nella maggior parte dei casi, un abuso. E come si interviene nei confronti di un abuso? Con una multa di maggiore o minore entità. Riassumendo e andando alla sostanza: la donna che viene licenziata in seguito alla estorsione di una firma su una lettera di dimissioni senza la quale non sarebbe stata assunta, viene lo stesso licenziata, ma il suo datore di lavoro paga un’ammenda allo stato.

    Ora, ministra, ci spieghi, per piacere, perché il licenziamento di quella donna non è “discriminatorio” e non rientri, di conseguenza, sia secondo la vecchia legge sia secondo la nuova fra i licenziamenti che prevedono il reintegro. Non le pare evidente la discriminazione sessuale? Non è chiaro che rimane intatto l’impedimento alla maternità che in molte le avevamo chiesto di rimuovere? Secondo la sua proposta di legge, se un datore di lavoro commette reato non si sa che cosa succede, se abusa paga una multa, ma per la donna il licenziamento c’è comunque. Dobbiamo dedurne che le norme contro le discriminazione sul luogo di lavoro valgono per tutti, ma non per chi aspetta un bambino e – inoltre – per tutti coloro che hanno firmato, per essere assunti, una lettera di dimissioni. So bene che il primo comma del suo articolo di legge prevede che la lavoratrice madre non possa essere licenziata nei primi tre anni di vita del bambino, so bene che lei ha innalzato questo periodo che prima si limitava a un anno. Con tutto il rispetto possibile, questo è fumo che solo giornali superficiali hanno potuto avallare come grande cambiamento. La pratica delle dimissioni in bianco si è diffusa proprio per evitare la legge e ha davvero poca importanza che questa preveda tre anni o uno di garanzia per la lavoratrice che diventa madre. L’abuso o il reato vanno prevenuti e tagliati alla radice con dei semplici e chiari meccanismi come quelli previsti dalla legge 188 prima che venisse abrogata dal governo Berlusconi.

    Questo le avevamo chiesto. Non quel testo che, quando non è incomprensibile, prevede delle assurdità di cui non si capisce il senso. La donna, dice la sua legge, dovrebbe offrire entro sette giorni dalla ricevuta della raccomandata di licenziamento le proprie prestazioni al datore di lavoro come forma di contestazione. Abbiamo provato a immaginare la scena. La donna incinta che si reca sul luogo di lavoro. Che succede? Invoca la legge sul mercato del lavoro? Qui siamo all’assurdo o al grottesco. Quando proviamo a tradurre il burocratese nel linguaggio della realtà lo sgomento è tanto. Davvero chi fa le leggi è così lontano dalla vita reale? Evidentemente sì. Le donne che si sono impegnate finora in questa battaglia dovranno trovare altre strade per arrivare al loro obiettivo.

    Tra pochi minuti la replica del ministro Elsa Fornero